Parte seconda: GLI STATUTI, capitolo 1 - Statuta, capitula sive ordinamenta communis Carij
Si parla poi di "capitula" e di "ordinamenta": sono entrambi delle delibere emanate dal consiglio del comune con effetto limitato nel tempo, ma che << a causa del manifestarsi di interessi permanenti della collettività assumono caratteri di costituzionalità >>. (3) Queste delibere, quindi, entrano in vigore per una necessità contingente e possono diventare definitive se l'evolversi della situazione lo richiede, oppure essere abrogate nel momento stesso in cui l'interesse cui miravano viene soddisfatto.
Un esempio ci viene anche dagli statuti di Cairo: nella riunione del 1353, infatti, vengono abrogati 32 capitoli perché avevano esaurito il loro compito, mentre negli anni seguenti altri assumono valore permanente, e vengono riportati con la data della riunione del consiglio in cui sono stati approvati.
Compare nel frontespizio la seguente dicitura: "STATUTA CAPITULA sive ordinamenta Communis Carij Facta ad honorem omnipotentis DEI, et Beatae MARIAE Virginis, et S. Laurentij. Et ad honorem et statum felicem Perillustrium Dominorum de Scarampis Dominorum Carij. Et ad commodum et profectum universorum hominum Communis dicti loci Carij. MEDIOLANI, Apud Haeredes quon. Pacifici Pontij, et Ioan. Baptistam Piccaleum. Anno Domini. MDCIIII". In seconda pagina prima del primo capitolo è scritto invece: "INCIPIUNT STATUTA, CAPITULA, sive ordinamenta Communis loci Carij Alben. Diocesis. I capitoli, non divisi in libri, sono numerati dall'I al CXV, ma in realtà sono 114 perché il cap. LXXX è presente solo nel titolo. Di questo fatto si possono dare due spiegazioni: o il tipografo si è dimenticato di mettere in stampa il testo, oppure ha erroneamente numerato il titolo. Personalmente do credito alla seconda ipotesi, sia perché la dimenticanza di un intero testo mi sembra un errore troppo difficile da commettere, sia perché fra i capitoli sono presenti altri cinque titoli privi di testo e di numero che indicano statuti che sono stati aboliti.
Non esistendo però un indice , queste restano solo ipotesi, per quanto valide possano essere.
Il manoscritto, privo di intestazione, è composto da 76 fogli così suddivisi: 124 pagine che contengono le rubriche; 10 pagine bianche; 9 pagine con l'indice; 1 pagina bianca; 4 pagine con un'appendice; 4 pagine bianche. E' stato restaurato e rilegato di recente. Si trova in buono stato di conservazione, e, a parte alcuni buchi dovuti alla muffa, l'interpretazione non presenta grossi problemi. Contiene 142 capitoli non divisi in libri e una "Rubrica sive Tabula" di 9 pagine che riporta invece 144 titoli. In fondo c'è poi un'appendice di 4 pagine intitolata "Tasse delle scritture civili quanto si paghino a Cario" scritta in volgare. L'intero documento è privo di intestazione e non contiene alcun esplicito elemento di datazione, ma un esame dei caratteri grafici lo fa risalire al Settecento. La numerazione è presente fino al capitolo CVII, ma è sfalsata rispetto al numero parziale degli statuti, in quanto tra il cap. I e il cap. II c'e uno statuto senza numero, e lo stesso succede tra il cap. LXIX il cap. LXX. Tale numerazione è stata aggiunta in un secondo momento, e ciò si arguisce sia dalla posizione del numero ( è tra l'ultima riga di un capitolo e il titolo del capitolo successivo, in uno spazio veramente ristretto), che dalla diversa tonalità dell'inchiostro.
La differenza di maggior rilievo è però un'altra: nella copia a stampa le ammende comminate per i vari reati vengono definite in "solidos", mentre nel manoscritto in "florenos". Poiché l'abbreviazione di soldi con "s" e di fiorini con "f" può dar luogo ad errate interpretazioni, è possibile che nel momento della stesura di una delle due copie ci si sia confusi, e che la "s" sia stata presa per una "f" o viceversa. Per determinare quale delle due versioni sia quella giusta ho esaminato una serie di documenti di poco precedenti il 1353 , anno della stesura del secondo libro statutario. In seguito a questa ricerca ho trovato un passo, in un atto del 14 Settembre 1344, (6) che recita così : ". . . . ipse Dominus Johannes, nec fratris sui, nec successores ipsorum possint levare bannum ultra solidos decem pro bestia grossa, et si bestia perdita esset et aziglaret, et illi qui eam perdisset iret eam inquirendo nihil solvere debeat, eo tamen dampnum quod fecisset emendet . . . . . ". I pagamenti dei bandi avvenivano quindi in "solidos": possiamo allora, con ragione, ritenere esatta l'interpretazione dell'editore seicentesco. Queste le principali diversità. D'ora in poi parlerò degli statuti riferendomi al solo manoscritto, ma Poiché entrambe le copie non sono prive di inesattezze, incertezze di lettura ed interpretazioni arbitrarie, utilizzerò la copia a stampa per trarre alcuni suggerimenti nell'integrare parole o passi di dubbia lettura.
Diciamo subito che la domanda così formulata non è propriamente corretta. Non dobbiamo infatti pensare agli statuti come a norme inalterabili. Francesco Calasso chiama in causa Dante: << . . . . fai tanto/sottili provvedimenti ch'a mezzo novembre/non giugne quel che tu d'ottobre fili >> (Purg. VI, 142-144), e ci ricorda un proverbio fiorentino "Legge fiorentina fatta la sera è guasta la mattina", e uno veneto "Legge di Verona dura da terza a nona" (13). Tutto ciò determinato naturalmente dal repentino mutare della situazione politica, e di conseguenza di quella sociale ed economica.
La domanda va quindi riproposta in questi termini: quando il Comune di Cairo decide di riunire tutte le delibere e gli ordinamenti in un unico corpo statutario? La risposta ci viene dal libro stesso: dopo il cap. XCIV troviamo questa scritta: "MCCCXXXIII. Indictione prima die 12 mensis Augusti actum in ecclesia Carij infrascripti consiliares communis Carij ex bailia eis concessa et data Communi, et universitate Carij praedicti statuerunt una cum Domino Franciscoto de Carretto vicecomites Carij". Tutti i capitoli dal I al XCIV (praedicta statuerunt) sono quindi stati riuniti in un unico corpo il 12 agosto 1333. In seguito ne sono stati aggiunti altri fino al 10 marzo 1353 quando il consiglio si riunisce per una revisione degli statuti: ne abolisce 32 e riconferma i rimanenti, sia quelli precedenti sia quelli posteriori al 1333. Negli anni a venire verrà poi ridata validità ad un capitolo abrogato, un altro sarà modificato, ed un terzo verrà convalidato "ex novo".
Questo è tutto quello che le copie pervenuteci ci possono dire. E' però opinione corrente fra chi si occupa di storia locale che prima del 1333 esistesse un altro corpo statutario, e che la copia a stampa del 1604 (teoria peraltro sostenuta anche dal Fontana (14) e dal Manzoni) (15), sia una revisione ed una parziale riconferma degli statuti del XIV secolo, fatta ad uso e consumo di quel periodo. Personalmente dissento da entrambe le ipotesi e brevemente spiegherà il perché .
Il 26 dicembre 1235 Ottone II Del Carretto stabilisce che ". . . . homines de Carij possint et debeant constituere banna et ordinamenta . . . . " (16). Analizzando vari documenti compresi fra il 1235 e il 1333, ho trovato che: il 25 settembre 1307, nell'atto in cui Ottone Del Carretto, suo figlio Manfredino e suo fratello Ugo concedono ai Cairesi l'immunità si dice: ". . . . dictis Dominis, vel eorum eredibus et successoribus pretestu, vel occasiione alicuius iuris generalis vel specialis decretis, ordinamenti, consuetudinis, statuti facti vel faciendi obtente, vel observate in villa Carij, vel posse, vel aliqua alia occasione iure . . . . "; e più sotto "Et insuper quod ipsi Domini et eorum heredes et successores et cuiuslibet eorum omnes et singulas consuetudines scriptas ipsis universaliter et personis singularibus observabunt . . . . " (17); il 17 agosto 1323, nella conferma del Marchese Manfredo di Saluzzo di alcuni previlegi ai Cairesi si dice: " . . . . et vollit ipsis consiliaris supradictis nominibus confirmare, rattificare et approbare omnes bonos usus, consuetudines, immunitates, libertates et franchissias quos et quas habent et habere consueverunt universitas, seu communitas et homines et singulares persone dicta universitatis Carij . . . . ", e ancora: " . . . . et omnes et singulas pactiones, conventiones libertates, immunitates gracias et franchissias datas, factas et concessas communi seu universitati et hominibus Carij . . . . " (18).
Si parla quindi di statuti, ma si dice "facti vel faciendi", di buoni usi, di consuetudini, di ordinamenti e di speciali decreti, ma non si fa mai riferimento ad un preciso corpo statutario.
Il Calasso dice: "Appena il comune civitatis si sarà costituito noi lo vedremo sventolare la carta delle sue consuetudini confermate dall'autorità pubblica come una delle prove della sua libertà : e quella carta si chiamerà allora carta di libertà o di franchigia. Più tardi, quando esso avrà raggiunto una piena maturità di sviluppo, compilerà i suoi statuti, ma allora . . . . non sarà difficile scorgere in quella antica redazione di consuetudini il primissimo germe del suo diritto statutario" (19).
Sulla scia di questa affermazione ritengo allora che prima del 1333 non esistesse un ben determinato "liber statutorum", e fors'anche nemmeno una carta di libertà, ma solo consuetudini scritte e ordinamenti emanati dal consiglio.
Più improbabile ancora mi sembra la convinzione di una riforma degli statuti nel 1604. Innanzitutto non c'è in tutto il libro un solo elemento che ci faccia ritenere possibile una simile eventualità : la data riportata in copertina si riferisce solo all'anno di edizione e non rimanda ne' ipotizza altre soluzioni. Credo che se si fossero veramente riformati i vecchi statuti troveremmo almeno scritto chi, come e perché lo avrebbe fatto. In secondo luogo scopriamo che i capitoli mancanti dalla stampa sono quasi esattamente quelli che vengono aboliti nella riunione del 1353: erano quindi già stati aboliti, e non aboliti nel 1604. Infine, rileggendo i verbali (quelli che sono riuscito a reperire) delle convocazioni comunali degli anni di poco posteriori al 1604, ho trovato che il consiglio ha approvato alcuni ordinamenti nei quali sono stabilite multe per determinati danni alla "campagna": ebbene, in tali ordinamenti si parla di scudi, di fiorini, di grossi, di piastrine, ma mai di lire, di soldi e di denari, che sono le monete contemplate dagli statuti della copia seicentesca (20). Non credo che nel giro di pochi anni ci sia stata una rivoluzione monetaria tale da giustificare un cambiamento così rilevante.
Figlia di queste considerazioni è quindi la mia certezza che il libro a noi pervenuto altro non sia che un'edizione nata per soli scopi culturali o di studio, e senza alcuna finalità legislativa.