Parte seconda: GLI STATUTI, capitolo 1 - Statuta, capitula sive ordinamenta communis Carij

L'analisi

Statuta, Capitula sive Ordinamenta - La tradizione del testo - Confronti tra testimoni - Risoluzione del problema cronologico

1-1 - Statuta, Capitula sive Ordinamenta

I nostri statuti (1) si presentano con una intestazione che ci invita, per non dire obbliga, a porci già una prima domanda: "statuta, capitula sive ordinamenta" si dice a proposito del contenuto del libro, distinguendo così tre diverse formule per definire le norme dettate dal Comune. Severino Caprioli definisce così lo statuto: << Statutum è la scrittura che vincola gli organi di una città a contegni deliberati dall'assemblea; e indirettamente o direttamente vincola tutti i cittadini. Il procedimento normativo stesso è disciplinato in quella scrittura >> (2). In questa definizione è implicito il limite principale dello statuto che è quello territoriale: << vincola gli organi di una città >> e quindi non ha valore universale ma particolare, e si esaurisce entro i confini del comune che lo emana. Non va contro la "lex" ma ad essa è subordinato e in essa trova la sua ragione di essere. Ma questo limite territoriale non ha solo una valenza negativa: questo valore circoscritto è anche il simbolo dell'indipendenza di quella città , il punto di arrivo di un lento processo di autonomizzazione cui il comune giunge, sancendo così il proprio diritto a regolare la sua vita attraverso la costituzione di uno "ius proprium".

Si parla poi di "capitula" e di "ordinamenta": sono entrambi delle delibere emanate dal consiglio del comune con effetto limitato nel tempo, ma che << a causa del manifestarsi di interessi permanenti della collettività assumono caratteri di costituzionalità >>. (3) Queste delibere, quindi, entrano in vigore per una necessità contingente e possono diventare definitive se l'evolversi della situazione lo richiede, oppure essere abrogate nel momento stesso in cui l'interesse cui miravano viene soddisfatto.

Un esempio ci viene anche dagli statuti di Cairo: nella riunione del 1353, infatti, vengono abrogati 32 capitoli perché avevano esaurito il loro compito, mentre negli anni seguenti altri assumono valore permanente, e vengono riportati con la data della riunione del consiglio in cui sono stati approvati.

1-2 - La tradizione del testo

La tradizione del testo degli statuti di Cairo si limita a tre soli esemplari: una copia a stampa risalente al 1604, conservata nella Biblioteca Reale di Torino; un manoscritto, che ne è la fedele riproduzione, conservato nella Biblioteca Vaticana - Fondo Pastetta - Roma; ed un manoscritto, privo di data ed intestazione, fatto risalire al Settecento, conservato all'Archivio di Stato di Savona. Poiché del manoscritto della Biblioteca Vaticana ho avuto notizia attraverso la lettura di un libro, (4) mi limiterò alla sola citazione, mentre delle altre due copie, avendone presa diretta visione, descriverò la stesura e farò dei paragoni. La stampa è composta da 21 fogli (41 pagine). Purtroppo il margine destro di quasi tutti i fogli è stato eroso dalla muffa, ed una paziente opera di restauro non è riuscita a renderci per intero le frasi mutilate dal tempo. E' praticamente impossibile riuscire a risalire al testo originale di parecchi capitoli.

Compare nel frontespizio la seguente dicitura: "STATUTA CAPITULA sive ordinamenta Communis Carij Facta ad honorem omnipotentis DEI, et Beatae MARIAE Virginis, et S. Laurentij. Et ad honorem et statum felicem Perillustrium Dominorum de Scarampis Dominorum Carij. Et ad commodum et profectum universorum hominum Communis dicti loci Carij. MEDIOLANI, Apud Haeredes quon. Pacifici Pontij, et Ioan. Baptistam Piccaleum. Anno Domini. MDCIIII". In seconda pagina prima del primo capitolo è scritto invece: "INCIPIUNT STATUTA, CAPITULA, sive ordinamenta Communis loci Carij Alben. Diocesis. I capitoli, non divisi in libri, sono numerati dall'I al CXV, ma in realtà sono 114 perché il cap. LXXX è presente solo nel titolo. Di questo fatto si possono dare due spiegazioni: o il tipografo si è dimenticato di mettere in stampa il testo, oppure ha erroneamente numerato il titolo. Personalmente do credito alla seconda ipotesi, sia perché la dimenticanza di un intero testo mi sembra un errore troppo difficile da commettere, sia perché fra i capitoli sono presenti altri cinque titoli privi di testo e di numero che indicano statuti che sono stati aboliti.

Non esistendo però un indice , queste restano solo ipotesi, per quanto valide possano essere.

Il manoscritto, privo di intestazione, è composto da 76 fogli così suddivisi: 124 pagine che contengono le rubriche; 10 pagine bianche; 9 pagine con l'indice; 1 pagina bianca; 4 pagine con un'appendice; 4 pagine bianche. E' stato restaurato e rilegato di recente. Si trova in buono stato di conservazione, e, a parte alcuni buchi dovuti alla muffa, l'interpretazione non presenta grossi problemi. Contiene 142 capitoli non divisi in libri e una "Rubrica sive Tabula" di 9 pagine che riporta invece 144 titoli. In fondo c'è poi un'appendice di 4 pagine intitolata "Tasse delle scritture civili quanto si paghino a Cario" scritta in volgare. L'intero documento è privo di intestazione e non contiene alcun esplicito elemento di datazione, ma un esame dei caratteri grafici lo fa risalire al Settecento. La numerazione è presente fino al capitolo CVII, ma è sfalsata rispetto al numero parziale degli statuti, in quanto tra il cap. I e il cap. II c'e uno statuto senza numero, e lo stesso succede tra il cap. LXIX il cap. LXX. Tale numerazione è stata aggiunta in un secondo momento, e ciò si arguisce sia dalla posizione del numero ( è tra l'ultima riga di un capitolo e il titolo del capitolo successivo, in uno spazio veramente ristretto), che dalla diversa tonalità dell'inchiostro.

1-3 - Confronti fra i testimoni

Abbiamo così 114 capitoli nella stampa del 1604, e 142 capitoli nel manoscritto settecentesco. I 114 capitoli della stampa sono interamente contenuti nel manoscritto. Dalla stampa mancano quindi 28 statuti: I-XVII(18), XLVII, LI, LXXXI, XCIX, CIV, CVIII, CVIIII, CX, CXXIX, CXXXV. Di 5 di questi, nella stampa, sono riportati solo i titoli: " De non capiendo alienas messes, et legumina" numerato con LXXX; "De eo qui occiderit, sbudelaverit alienam bestiam grossam" tra il cap. LXXXVI e il cap. LXXXVII; "De bestiis mortuis tra il cap. CVI e il cap. CVI; "Quod homines de Cario possint facere consilium" e "De Galinis" tra il cap. CXI e il cap. CXII. Un ulteriore titolo riportato, invece, non è presente ne' nell'indice, ne' nel testo del manoscritto: si tratta di "Quod dominus sive rector possit ex officio suo procedere, et inquirere super maleficijs, et damnis" (5), probabilmente dimenticato dallo scriba. Dei cinque, poi, "De Galinis" è presente nel manoscritto con il testo di "De non plantando arbores in "Riparia". L'errore commesso è stato questo: l'amanuense ha scritto il titolo "De Galinis" e ha ricopiato il testo di "De non plantando . . . . ", che è il capitolo seguente, omettendo così il testo di "De Galinis" e il titolo del testo ricopiato. Come ho già sottolineato, infine, la "Rubrica" riporta due titoli che non ritroviamo nel testo, e più precisamente "De non ludendo ad logorios" e "De non plantando arboribus in Riparia" (ma in effetti, come abbiamo visto, manca il testo di "De Galinis").

La differenza di maggior rilievo è però un'altra: nella copia a stampa le ammende comminate per i vari reati vengono definite in "solidos", mentre nel manoscritto in "florenos". Poiché l'abbreviazione di soldi con "s" e di fiorini con "f" può dar luogo ad errate interpretazioni, è possibile che nel momento della stesura di una delle due copie ci si sia confusi, e che la "s" sia stata presa per una "f" o viceversa. Per determinare quale delle due versioni sia quella giusta ho esaminato una serie di documenti di poco precedenti il 1353 , anno della stesura del secondo libro statutario. In seguito a questa ricerca ho trovato un passo, in un atto del 14 Settembre 1344, (6) che recita così : ". . . . ipse Dominus Johannes, nec fratris sui, nec successores ipsorum possint levare bannum ultra solidos decem pro bestia grossa, et si bestia perdita esset et aziglaret, et illi qui eam perdisset iret eam inquirendo nihil solvere debeat, eo tamen dampnum quod fecisset emendet . . . . . ". I pagamenti dei bandi avvenivano quindi in "solidos": possiamo allora, con ragione, ritenere esatta l'interpretazione dell'editore seicentesco. Queste le principali diversità. D'ora in poi parlerò degli statuti riferendomi al solo manoscritto, ma Poiché entrambe le copie non sono prive di inesattezze, incertezze di lettura ed interpretazioni arbitrarie, utilizzerò la copia a stampa per trarre alcuni suggerimenti nell'integrare parole o passi di dubbia lettura.

1-4 - Le date

Nei nostri statuti troviamo sei date accompagnate da alcuni nomi: 10 Luglio 1307, dove è nominato un certo "Albertus de Ecclesia, notarius"; 12 Agosto 1333 con "Franciscotus de Carretto"; 10 Marzo 1353 con "Iacobus de Scarampi et Ioannes fratris suis Condominorum Carij"; 1 Gennaio 1369 con "Ioannones Scarampis"; 1 Settembre 1370 con "Ambrosius Scarampis; 1376 con "Bonifacius Scarampis et Daniele de Podio Vicarius Carij". Naturalmente tutte queste date ci forniscono preziose indicazioni. La prima in ordine cronologico è la conferma di un ordinamento scritto da un tale Alberto de Ecclesia, notaio, (7) il 10 Luglio 1307, indizione XV, che proibisce di far pascolare le bestie sui prati altrui, e vieta di cogliere erba sui detti prati: purtroppo non ci è dato sapere da dove la suddette norma sia stata estrapolata. Probabilmente era una delle tante "consuetudini" che, non raramente, venivano scritte, anche da privati cittadini, perché non se perdesse l'uso. La seconda data è molto importante: 12 Agosto 1333 indizione I: "Actum in ecclesia Carij infrascriptis consiliares Communis Carij ex bailia eis concessa et data a Communi, et universitate Carij predicta statuerunt cum Domino Franciscoto de Carretto vicecomites Carij": seguono poi i nomi dei consiglieri (8) e il cap. XCIV che comincia con "Primo statum et ordinatum . . . . ". Un'altra data importantissima è quella contenuta nella chiusura: "In nomine Domini Amen Anno MCCCLIII Indictione VI Die X Martij", Iacopo (9) e Giovanni Scarampi (10) incaricano Giovanni Batti, "Vicecomites Carij" di sovraintendere alla "irritatione, annullatione, cassatione, et abolitione, ac etiam confirmatione capitulorum et ordinamentorum suprascriptorum". Cap. CVIX : "Ratificatum fuit suprascriptum statutum (. . . ) per Egreg. Ioannonum Scarampum condominum Carij anno Domini 1369 die prima Ianuari". Questo capitolo quindi, abolito nella revisione del 1353, è stato ratificato 16 anni dopo. Ambrogio Scarampi presenzia alla riunione del consiglio l'1 Settembre 1370 per la modifica del cap. CXVIII . Infine, nel 1376, in presenza di Bonifacio Scarampo (11) e del Vicario Daniele de Podio, in "consilio generali consiliariorum Communis Carij" si decide di tutelare ulteriormente il patrimonio boschivo con l'aggiunta di un capitolo per la protezione di querce e castagni (12).

1-5 - Risoluzione del problema cronologico

In ultimo, ma non ultimo per importanza, c'è da risolvere il problema della datazione. Quando sono stati scritti gli statuti di Cairo?

Diciamo subito che la domanda così formulata non è propriamente corretta. Non dobbiamo infatti pensare agli statuti come a norme inalterabili. Francesco Calasso chiama in causa Dante: << . . . . fai tanto/sottili provvedimenti ch'a mezzo novembre/non giugne quel che tu d'ottobre fili >> (Purg. VI, 142-144), e ci ricorda un proverbio fiorentino "Legge fiorentina fatta la sera è guasta la mattina", e uno veneto "Legge di Verona dura da terza a nona" (13). Tutto ciò determinato naturalmente dal repentino mutare della situazione politica, e di conseguenza di quella sociale ed economica.

La domanda va quindi riproposta in questi termini: quando il Comune di Cairo decide di riunire tutte le delibere e gli ordinamenti in un unico corpo statutario? La risposta ci viene dal libro stesso: dopo il cap. XCIV troviamo questa scritta: "MCCCXXXIII. Indictione prima die 12 mensis Augusti actum in ecclesia Carij infrascripti consiliares communis Carij ex bailia eis concessa et data Communi, et universitate Carij praedicti statuerunt una cum Domino Franciscoto de Carretto vicecomites Carij". Tutti i capitoli dal I al XCIV (praedicta statuerunt) sono quindi stati riuniti in un unico corpo il 12 agosto 1333. In seguito ne sono stati aggiunti altri fino al 10 marzo 1353 quando il consiglio si riunisce per una revisione degli statuti: ne abolisce 32 e riconferma i rimanenti, sia quelli precedenti sia quelli posteriori al 1333. Negli anni a venire verrà poi ridata validità ad un capitolo abrogato, un altro sarà modificato, ed un terzo verrà convalidato "ex novo".

Questo è tutto quello che le copie pervenuteci ci possono dire. E' però opinione corrente fra chi si occupa di storia locale che prima del 1333 esistesse un altro corpo statutario, e che la copia a stampa del 1604 (teoria peraltro sostenuta anche dal Fontana (14) e dal Manzoni) (15), sia una revisione ed una parziale riconferma degli statuti del XIV secolo, fatta ad uso e consumo di quel periodo. Personalmente dissento da entrambe le ipotesi e brevemente spiegherà il perché .

Il 26 dicembre 1235 Ottone II Del Carretto stabilisce che ". . . . homines de Carij possint et debeant constituere banna et ordinamenta . . . . " (16). Analizzando vari documenti compresi fra il 1235 e il 1333, ho trovato che: il 25 settembre 1307, nell'atto in cui Ottone Del Carretto, suo figlio Manfredino e suo fratello Ugo concedono ai Cairesi l'immunità si dice: ". . . . dictis Dominis, vel eorum eredibus et successoribus pretestu, vel occasiione alicuius iuris generalis vel specialis decretis, ordinamenti, consuetudinis, statuti facti vel faciendi obtente, vel observate in villa Carij, vel posse, vel aliqua alia occasione iure . . . . "; e più sotto "Et insuper quod ipsi Domini et eorum heredes et successores et cuiuslibet eorum omnes et singulas consuetudines scriptas ipsis universaliter et personis singularibus observabunt . . . . " (17); il 17 agosto 1323, nella conferma del Marchese Manfredo di Saluzzo di alcuni previlegi ai Cairesi si dice: " . . . . et vollit ipsis consiliaris supradictis nominibus confirmare, rattificare et approbare omnes bonos usus, consuetudines, immunitates, libertates et franchissias quos et quas habent et habere consueverunt universitas, seu communitas et homines et singulares persone dicta universitatis Carij . . . . ", e ancora: " . . . . et omnes et singulas pactiones, conventiones libertates, immunitates gracias et franchissias datas, factas et concessas communi seu universitati et hominibus Carij . . . . " (18).

Si parla quindi di statuti, ma si dice "facti vel faciendi", di buoni usi, di consuetudini, di ordinamenti e di speciali decreti, ma non si fa mai riferimento ad un preciso corpo statutario.

Il Calasso dice: "Appena il comune civitatis si sarà costituito noi lo vedremo sventolare la carta delle sue consuetudini confermate dall'autorità pubblica come una delle prove della sua libertà : e quella carta si chiamerà allora carta di libertà o di franchigia. Più tardi, quando esso avrà raggiunto una piena maturità di sviluppo, compilerà i suoi statuti, ma allora . . . . non sarà difficile scorgere in quella antica redazione di consuetudini il primissimo germe del suo diritto statutario" (19).

Sulla scia di questa affermazione ritengo allora che prima del 1333 non esistesse un ben determinato "liber statutorum", e fors'anche nemmeno una carta di libertà, ma solo consuetudini scritte e ordinamenti emanati dal consiglio.

Più improbabile ancora mi sembra la convinzione di una riforma degli statuti nel 1604. Innanzitutto non c'è in tutto il libro un solo elemento che ci faccia ritenere possibile una simile eventualità : la data riportata in copertina si riferisce solo all'anno di edizione e non rimanda ne' ipotizza altre soluzioni. Credo che se si fossero veramente riformati i vecchi statuti troveremmo almeno scritto chi, come e perché lo avrebbe fatto. In secondo luogo scopriamo che i capitoli mancanti dalla stampa sono quasi esattamente quelli che vengono aboliti nella riunione del 1353: erano quindi già stati aboliti, e non aboliti nel 1604. Infine, rileggendo i verbali (quelli che sono riuscito a reperire) delle convocazioni comunali degli anni di poco posteriori al 1604, ho trovato che il consiglio ha approvato alcuni ordinamenti nei quali sono stabilite multe per determinati danni alla "campagna": ebbene, in tali ordinamenti si parla di scudi, di fiorini, di grossi, di piastrine, ma mai di lire, di soldi e di denari, che sono le monete contemplate dagli statuti della copia seicentesca (20). Non credo che nel giro di pochi anni ci sia stata una rivoluzione monetaria tale da giustificare un cambiamento così rilevante.

Figlia di queste considerazioni è quindi la mia certezza che il libro a noi pervenuto altro non sia che un'edizione nata per soli scopi culturali o di studio, e senza alcuna finalità legislativa.


1) Gli statuti di Cairo sono menzionati da: L. FONTANA, Bibliografia dei comuni dell'Italia superiore, sub voce Cairo; L. MANZONI, Bibliografia degli statuti, ordini e leggi dei municipi italiani, sub voce Cairo. Non troviamo invece menzione di essi in: ROSSI, Gli statuti della Liguria, in Atti Soc. di storia patria, nè nel Catalogo della Biblioteca del Senato
2) S. CAPRIOLI, Per una convenzione sugli statuti, in: "BULLETTINO Dell'Istituto Storico Italiano per il Medioevo e ARCHIVIO MURATORIANO", pag. 315
3) S. CAPRIOLI, o.c. pag. 315
4) N. PARODI, A. SALMOIRAGHI, Appunti per una storia di Cairo, pag. 18
5) Poiché gli Statuti di Cairo sono per molti aspetti simili a quelli di Savona (ricordo che gli "Statuta antiquissima Saone" sono del 1345), possiamo ipotizzare che il contenuto del capitolo mancante sia, nella sostanza, uguale a quello del capitolo "Quod Potestas teneatur facere inquisitionem ex officio suo" (Statuti di Savona, Libro II cap. XXXXVII). Il suddetto capitolo riservava al Podestà la facoltà di indagare su ogni "maleficio facto vel factum diceretur", anche se non denunciato da nessuno, e di punire l'eventuale colpevole secondo quanto disposto dagli statuti
6) Biblioteca Apostolica Vaticana-Roma, Manoscritto Patetta, 37, 81-82. Riprodotto in fotocopia conservata nella biblioteca di Cairo Montenotte, "Carte Buffa"
7) Statuti, cap. CXXXVI
8) I nomi di sei dei consiglieri del 1333 sono menzionati anche nel documento della nota n. 7, e sono: Rachamus de Podio, Iacobus Bazavinus, Guglielmus Berriotus, Andreas Marenchus, Iohannes Chechelius e Franciscus Mazuchus
9) Non risulta però da nessun documento che Giacomo Scarampi sia mai entrato in possesso di una parte di Cairo dopo la divisione del 1339
10) Giovannone Scarampi acquista Cairo nel 1337 insieme ai fratelli Oddone, Matteo, Tomeno e Giacomo. Nel 1339 diventa l'unico proprietario e ottiene l'investitura da parte di Genova
11) Bonifacio Scarampi, figlio di Giovannone, eredita metà di Cairo alla morte del padre
12) Statuti, cap. CIX
13) F. CALASSO, Lezioni di storia del diritto italiano. Le fonti del diritto, pag. 228
14) L. FONTANA, o. c.
15) L. MANZONI, o.c.
16) Arch. St. To., Langhe-Inv., Mazzo I, 1. Questo documento è stato trascritto su un rotolo di pergamena, insieme ad altri 5, nel 1350
17) Idem
18) Idem
19 F. CALASSO, Medioevo del diritto, pag. 208
20) Convocazione del 7 Settembre 1632:
- "E' stato ordinato che nessuno ardisca entrare nelle vigne e filagni d'altri, sotto pena di fiorini due da pagarsi al Podestà un terzo, un terzo per l'amenda et l'altro terzo all'accusatore"
- "Chi porterà via uva dalle vigne d'altri, per ogni uva sia tenuto a pagar grossi sei per la prima volta, per la seconda il doppio, et così successivamente raddoppiando la pena, et ritrovandosi dannificati in tempo di notte, il doppio della pena, o caso siano castigati di furto"
- "Chi si trovera' a dannificare in castagneti d'altri dovrà pagare per ogni volta mezzo scudo per cadauno, et più il danno al patrone"
- "Che nessuno possa introdurre bestie da basto, et porchi, ne' pecore nelli castagneti et vigne d'altri, sotto pena alle bestie bovine fiorini quattro per ogni volta et per cadauna, et per ogni bestia grossa da basto fiorini due et la piccola alla rata, per ogni porco fiorini due et ogni pecora grossi sei per ogni volta"
Convocazione del 19 Dicembre 1632:
-"Come vi erano molti che si mostravano renitenti ad andare in Consiglio, et sovente mancavano, si è imposta a chi mancherà al Consiglio la pena di fiorini sei, oltre alla rata da imporsi dal Podestà conforme gli bisogni occorrenti . .."
Convocazione del 23 Gennaio 1633:
- "Per danni che si davano alle boscaglie della Comunità si è fatta inibizione a tutti, si terrieri che forestieri et abitanti, di asportare ogni qualunque sorta di legname, sotto pena di uno scudo per ogni pianta oltre il danno da bonificarsi"
Convocazione del 8 Maggio 1639:
- "Ordinamenti. Se una bestia entrerà nei possessi altrui il padrone pagherà mezzo piastrino; se poi fosse nei beni dell'Illustrissimo Signore o della Chiesa pagherà il doppio, conforme al solito". (P. BUFFA, Memorie per servire alla storia di Cairo, fotocopie da manoscritto conservate presso la Biblioteca di Cairo Montenotte)