1) St. CAL, Cap. 59, Delle possessioni date à seminare.
2) St. DEGO, De non faciendo cauzagnas, De Anseribus et Galines dantibus damnum in alienis messibus et Marzenchis.
3) A Bardineto nel maggio del 1656 per lenire la fame dovuta a carestia, le autorità ordinano "di mettere mano al barbariato della Compagnia del Santo Rosario" (G. BALBIS, Historia calamitatum, G. Ri. F.L., Rocchetta, 1987).
4) F. BRAUDEL, Le strutture del quotidiano, Torino, 1982.
5) ARCH. COM. MILLESIMO, Spese fatte dagli Spagnoli, 4 Luglio 1706, Cart. N° 434/11.
6) G.L. SCAVINO, La minestra dei nostri antenati, in "Alta Val Bormida", Millesimo, Gennaio '87.
7) Negli statuti di Garessio del Xlll sec. al Cap. 83 si citano i seguenti cereali:"frumentum, siliginem, avenam, ordeum, permolam, speltam, milium". (R. AMEDEO, Garessio medioevale, Fossano, 1979). La spetta, che non compare esplicitamente in Val Bormida, è citata anche tra le merci soggette a gabella negli Statuti di Mondovì del 1415. La spetta è un cereale di scarsa qualità, infatti a Mondovì paga, assieme ad avena ed orzo, una tassa che è la terza parte di quella del grano e circa la metà di quella della segale. (Statuta Civitatis Montis Regalis MCCCCXV, Mondovi, 1989).
8) Le ghiande, che servivano anche per la concia delle pelli, erano certamente portate ai mulini di Mondovì, come si può dedurre dal capitolo statutario sulle gabelle dove le ghiande sono esonerate dal pagamento, purché introdotte in piccola quantità e al solo scopo di macinarle (St. MONDOVI 1415, Collacio Vi, Cap. XIV De afaytatoribus et caligarijs, e Collacio Vll - De gabellis).
9) St. CAL, Cap. 10, Del giuramento, e forma di giurare.
10) F. BRAUDEL, Il Mediterraneo all'età di Filippo 11, Torino, 1987.
11) V. SCAGLIONE, Decime e ragione delle decime in S. Giulia, Niosa, Brovida durante i secoli Xll - XIX, 11 f ascicolo, Cengio, 1986.
12) St. CAL, Cap. 59, Delle possessioni date à seminare.
13) St. BAR, Delli furti fatti nel fieno, paglia, canepa, e letame; St. DEGO, De non colligendo letamen in vijs.
14) St. BAR, Di non rubare aratro, massa, zappa, e simili; St. PAL, De alienis instrumentis, et alicuius possesionibus, non exportandi, sine licentia Domine rei, vel rerum.
15) M. MONTANARI, L'alimentazione contadina nell'Alto Medioevo, Napoli, 1979.
16) Confronta a questo proposito l'interessante lavoro di F. ClclLloFr, Val Bormida tra Medioevo ed età moderna, in 1° Convegno Storico Val Bormida e Riviera, Millesimo, 1985. Anche S.C. NERVI tratta lo stessp argomento nella sua tesi di laurea: La valle Bormida in un notaio del '500, Università degli Studi di Genova, Facoltà di Lettere e Filosofia, Anno Accademico 1979/80.
17) G.G. Vico, Malfare, Ristampa, Mallare, 1982.
18) St. DEGO, De non colligendo herbam in alienis leguminibus et messibus.
19) St. CAIRO, Cap. LXXXXI, De non colligendo hierbam in alienis messibus, et leguminibus.
20) B. PL ATINA, Il piacere onesto e la buona salute, Torino, 1985.
21) M. MONTANARI, L'alimentazione contadina, op. cit. La radice di questa parola viene fatta risalire al greco "erebinthoi", come sostiene E. HYAMS nel volume: É l'uomo creò le sue piante e i suoi animali, Verona, 1973. Altri autori identificano invece questo legume con la robiglia, una specie di lenticchia coltivata in montagna come biada.
22) L'unica citazione per i fagioli compare negli statuti di Mondovi del 1415. Questo legume compare infatti nell'elenco dei prodotti soggetti a gabella: i "faxolios" dovevano essere piuttosto pregiati in quanto pagano la tassa maggiore (12 denari a sestario) come il frumento, le fave rotte e le castagne pestate.
23) L'argomento è trattato in diversi statuti tra cui quelli di Calizzano (Della forma, che s'ha da tenere nelle pignorationi), Millesimo (De beni risalvati a debitori) e Bardineto (Del pagamento da farsi alli creditori).
24) M. MONTANARI, L'alimentazione contadina..., op. cit.
25) Queste denominazlom sl possono ncavare dalla edizione degli Statuti di Millesimo e Cosseria del 1593 curata da L. OLIVERI per la Comunità Montana Alta Val Bormida nel 1987.
26) Come ricordano ancora alcuni detti popolari, la rapa si poteva liberamente raccogliere dopo la festa di S. Andrea (30 Novembre) divenendo cosi cibo anche delle persone povere.
27) Forse è proprio per la loro estrema diffusione che questi ortaggi non vengono citati negli statuti valbormidesi. Negli statuti di Mondovi del 1415, invece, troviamo sul mercato dei "revenditores aglorum et ceparum" cioè di agli e cipolle.
28) E HYAMS, E l'uomo creó..., op. cit.
29) S.C.NERVI, La valle Bormida..., op. cit.
30) St. ALT, Cap. 143, Delle Viti.
31) St. DEGO, De non piantando arbores iuxta aliquam vineam.
32) Nel chiostro del Monastero di S. Stefano, a Millesimo, si conserva un basamento in pietra che serviva come appoggio per il torchio delle noci e che raccolglieva l'olio prodotto facendolo fuoruscite da un apposito foro che si nota in uno dei lati.
33) L. FERRANDO, Millesimo d.o.c., Millesimo, 1986.
34) A.M. NADA PATRONE, Il cibo del ricco e del povero, Torino, 1981.
35) ARCH. COM. MILLESIMO, Antico catasto detto "le carte vecchie", Cart. 416. Per una analisi più completa di questo documento: L. FERRANDO, Dov'è mazapé, Millesimo, 1985.
36) St MILLESIMO 1580, Cap. XCIV, De exportandibus alienas uvas, Arch. Com. Millesimo, Cart. 424.
37) Forse era Moscatello il "vino di Tagia" inviato in Mantova nel 1507 e nel 1509 e che Galeotto Del Carretto cita in due lettere indirizzate a Francesco Gonzaga. Per questo carteggio vedi: G. TURBA, Galeotto Del Carretto tra Casale e Mantova, in Rinascimento - Anno XXII, dicembre 1971.
38) ARCH. COM. MILLESIMO, Editto sulla vendemmia del 1726, Cart. 413/ó. Pubblicato in "Millesimo d.o.c.", Millesimo, 1 986.
39) E. FACCIOLI, Arte della cucina, Milano, 1 966.
40) St. BAR, Delle Socide. St. CAL, Cap. 67, Delle bestie date in socida .
41) In quasi tutti gli statuti valbormidesi troviamo norme di questo tipo. Per quanto riguarda il cane è curiosa la rubrica "De cane invento in alienis vineis" che troviamo già negli antichi statuti di Millesimo del Xlll secolo .
42) St. BAR, Di non batter cane.
43) St. MIL., Rubr. LXXXV, De anseribus licite occidendis. St. ALT., Cap. 128 Delle oche. Analoga rubrica si trova anche negli statuti di Pallare dove però il trascrittore ne trasforma il titolo in "De insertibus licite incidendis".
44) Vedi ad esempio le "Convenzioni, e Franchigie del Luogo di Calizzano" del 1444, e lo studio di V. SCAGLIONE sulle decime di S. Giulia .
45) St. CAIRO, Cap. XLII, De damno dato à bestijs minutis in alicuius messibus.
46) St. MlL, Rubr. XXXIV, De modo fiendarum solutionum creditori bus de boni s debitorum. St. CAI, Cap. 14, Della forma, che s'hà da tener nelle pignorationi,incanti, e deliberationi de beni mobili .
47) St. CAL., Cap. 7(), Del pascolar bestie. St. BAR, Di condure bcstie forastiere nel l inaggio di Bardineto.
48) Dalla tesi di laurea di S.C. NERVI "La valle Bormida in un Notaio del '500" estraiamo, ad esempio, il regesto di uno dci tanti contratti di 50Cida stilati dal notaio Franceschino Allaria di Millesimo. 18 Gennaio 1519: "Testo redatto nella villa di Murialdo, nella bottega della casa di Antonio Martino. Pietro il lavorante fu Marchetto di Murialdo ha ricevuto in soccida da Antonio Suffia di Murialdo due troie per i prossimi tre anni. Pietro si impegna a fornire al suddetto Antonio, per ognuno dei tre anni, 2 porcelli per ciascuna fattrice, per un totale di 12 porcelli in tre anni, com'è d'uso e costume per le soccide dei maiali".
49) St. BAR, Della mandra delle vache.
50) Ancora dalla tesi di Laurea di S.C. NERVI estraiamo il regesto di una vendita effettuata il 19 Maggio 1519: "Bartolomeo Sormano fu Vincenzo di Castelnuovo deve dare al nobile signore Stefano Salvagno, castellano di Murialdo, 7 scudi "auri Solis" per l'acquisto di un bue dal pelo rosso o quasi, con tutti i suoi vizi, malattie e magagne occulti o manifesti. Il suddetto Bartolomeo Sormano promette di dare al suddetto Stefano i 7 scudi alla festa di San Lorenzo prossima ventura. Testo redatto al banco giudiziario, in casa di Pietro e Lario Beccaria, e alla presenza dei testimoni: Battista Beccaria del suddetto Pietro e Giacomo Garelio, tutti di Murialdo".
51) St. MIL, Rubr. LIX , De macellariis.
52) Numerose sono le rubriche sui maiali in quasi tutti gli statuti consultati. Il gregge di maiali è normalmente di 10 elementi, negli statuti millesimesi, risalenti al Xlll secolo, si fissa questo termine in 15 unità. Negli statuti di Pallare significativo è il capitolo: "De custode tenendo ad Porcos " .
53) M. MONTANARI, Alimentazione contadina..., op. cit.
54) St. BAR, De non condur capreti fuora di Bardineto.
55) St. MIL, Rubr. L IX , De macellariis.
56) St. CAI, Cap. 43, Del Macellaro.
57) C, VARALDO, Savona nel Quattrocento e l'istituzione del Monte di Pietà, Cap. 1°, Savona, 1980.
58) A.M. NADA PATRONE, Il cibo..., op. cit.
59) Questo tipo di formaggio è citato negli statuti di Mondovì del 1415 nei "Capitula ordinata supra gabella graxie" dove si stabilisce che chi pascolerà nelle Alpi della Città sarà tenuto a pagare la relativa gabella per quanto lassù prodotto, vale a dire "de caseo et brocio" .
60) Un indice della diffusione degli ovini sul territorio lo danno anche i numerosi toponimi "feia", sparsi un po' in tutta la Val Bormida, che sono da collegarsi a questo tipo di allevamento. Le "feie", dal nome piemontese di pecora, sono normalmente terreni scoscesi, adatti solo come pascolo per gli ovini.
61) St. OX, De non incimando Grondas, vel Ramas Castanearum alienorum — Di non potere tenere Capre né Bestie. St. ALT, Capp. 107/108 - Delle Capre - Delle Capre e Porci forastieri. St. DEGO, De capris non tenendis in Dego.
62) La norma è contenuta negli "Ordini e Capitoli" redatti ad Osiglia il 10 settembre 1634.
63) St. ALT, Cap. 121, Delle bestie morbose.
64) St. BAR, Di quelli che devono guardare porci ovvero stroppato di bestie. St. CAL, Cap. 68 - Delli Pastori.
65) St. OX, Cappe 30/33 , De Lupis capiendis , De percussione Ursium. Sulla presenza dei lupi in val Bormida vedi anche G. BALBIS, Historia calamitatum, Rocchetta, 1987.
66) St. MIL, Rubr. LX, De polleroliis. St. PAL, Cap. 40, De Pullerolis.
67) MIGLIARI - AZZOLA, Storia della Gastronomia, Novara, 1978.
68) Dalla analisi delle ricette di autori medievali e rinascimentali, sembrano effettivamente proibiti, oltre alla carne ed alle uova, anche tutti gli altri prodotti di origine animale quali lo strutto, il burro ed il formaggio. Prendendo ad esempio Mastro Martino, uno degli autori più rappresentativi dell'epoca, possiamo trovare ricette che vengono modificate appositamente per il periodo quaresimale: al posto dei grassi animali si ricorre agli oli vegetali e il latte è sostituito con il latte di mandorle. Per quanto riguarda il burro ed i formaggi lo stesso Mastro Martino suggerisce dei curiosi succedanei nelle tre ricette: "Gioncata d'amandole, Ricotta contrafacta e Botiro contrafacto in tempo di Quadragesima". La materia prima che sta alla base di queste ricette è normalmente costituita da pasta e latte di mandorle.
69) A. M. NADA PATRONE, Il cibo..., op. cit.
70) Vedi nota n. 43 di questo capitolo.
71) A.M. NADA PATRONE, Il cibo..., op. cit.
72) Persa la sua funzione originale volta alla cattura dei volatili, la costruzione è rimasta attiva come ricovero sino al 1986. In quelI'anno, durante i lavori di restauro del Palazzo, una stupida decisione ha privato questi uccelli, simbolo di libertà, del loro secolare ricovero, lasciando in vista solo i simulacri dei fori di accesso, simbolo imperituro di un malinteso ed ignorante modo di intendere la pulizia.
73) St. CAL, Cap. 66, Dell'Api.
74) Incrociatesi poi con specie più aggressive, le api liguri sopravvivono ora come razza pura solo nell'isola di Kangaroo in Australia, dove le prime regine furono importate oltre cento anni fa.
75) C. VARALDO, Savona nel Quattrocento..., op. cit.
76) F CICILIOT, Val Bormida tra Medioevo ed età moderna, in Atti del I Convegno storico val Bormida e Riviera, Millesimo, 1985.
77) Per una analisi completa di questo importante documento vedi il saggio di G. BALBIS in Atti e Memorie della Società Savonese di Storia Patria, n.s. XV, 1981, pagg. 35/51.
78) Il documento è conservato nell'Archivio Comunale di Millesimo (cart. 416).
79) St. CAL, Cap. 56, Frà quanto tempo si devono cogliere le castagne.
80) St. BAR, Di far li tetti (tectum) in terre foresti.
81) F. CICILIOT, Val Bormida tra Medioevo..., op. cit.
82) Uno di questi momenti dovette verificarsi nell'inverno a cavallo degli anni 1519/1520, quando ben tre atti consecutivi del notaio Franceschino Alaria registrano cause ed ipoteche a seguito di cessione di piccole quantità di castagne bianche e carne salata. Il regesto di questi atti è tratto dalla tesi di laurea di S.C. NERVI.
83) St. DEGO De alienis fructibus non capiendis.
84) Le ghiande venivano certamente macinate ad esempio a Mondovì, dove viene destinato a questo scopo un apposito mulino.Vedi St. MONDOVÌ De galla non molenda ad molendina, Coll. Vé, Cap. XXII.
85) Questo fatto viene confermato anche nel volume "La medicina popolare nell'Alta Valle Argentina " (Triora, 1989) dove chi raccoglie le erbe sono quasi sempre le donne.
86) A.M. NADA PATRONE, Il cibo..., op. cit.
87) Un lungo elenco di queste erbe si trova riportato da B. PLATINA nel volume "Il piacere onesto e la buona salute".
88) MASTRO MARTINO nel suo "Libro de arte coquinaria" (1450 circa) suggerisce ia ricetta dei "Ravioli in tempo di carne" riportata di seguito: "Per fare dece menestre togli meza libra di caso vecchio, et un pocho d'altro caso grasso et una libra di ventrescha di porcho grassa overo una tettha di vitella, et cocila allesso tanto che sia ben disfatta. Dapoi battila bene et togli di bone erbe ben battute, et pepe, garofoli, et zenzevero; et giongendovi il petto d'un cappone pesto serebe bono migliori. Et tutte queste cose distemperale inseme. Dapoi fagli la pasta ben sottile, et liga questa materia ne la pasta como vole essere. Et questi ravioli non siano maiori d'una mezza castagna, et ponili accocere in brodo di cappone, o di carne bona, facto giallo di zafrano quando bolle. Et lassali bollire per spatio de doi paternostri. Dapoi fanne menestre, et mettili di sopra caso grattato et spetie dolci mescolate inseme. Et simili raffioli si possono fare di petto di fasani et starne et altre volatile".
89) Il contratto, redatto nel 1501 dal notaio Secondino Bottacio, fu stipulato tra un Del Carretto e un certo Jacheto Vespa e si riferisce a terreni adiacenti il castello di Roccavignale. Il documento, ritrovato nell'Archivio Comunale di Millesimo, consiste di due fogli cartacei molto rovinati. Una ricetta dove si parla di "Fongi freschi e salati in vari modi" la troviamo nel famoso trattato: "Banchetti, composizioni di vivande et apparecchio generale" di Cristoforo Messisbugo, stampato in Ferrara nel 1549.
90) B. PLATINA, Il piacere onesto..., op. cit.
91) A.M. NADA PATRONE, Il cibo..., op. cit.
92) MASTRO MARTINO, Libro de arte coquinaria, in Arte della Cucina a cura di E. FAC CIOLI, Milano, 1966.
93) R. AMEDEO, Un viaggio da Garessio a Roma, Bollettino della Società per gli studi storici della Provincia di Cuneo, n. 82, 1° Semestre 1980.
94) M. MONTANARI L'alimentazione contadina…,op. cit.
95) Il processo dura dal 1762 al 1767: tutto il carteggio è conservato nell'Archivio Comunale di Millesimo. Particolarmente interessante è l'Aggiunta di Sommario a stampa, cioè le conclusioni del processo, dove sono riportati anche i testi dei documenti più antichi che verranno citati più avanti nel testo.
96) Le "Convenzioni e Franchigie del Luogho di Calizano" sono poste a seguito degli Statuti di Calizzano pubblicati nel 1704 a Balestrino da Giuseppe Rossi.
97) St. ALT, Cap 114, Delle Conzenie.
98) St. DEGO, De non levando seu deslogiando aliqua ingenia de flumine Burmidae. St. MIL, Rubr. XCV, De retibus et aliis ingeniis non amovendis.
99) St CAL, Cap. 75, Di non getar, ne poner calzina nell'acqua, ne pasta.
100) Qualche tipo di questi pesci locali, di fiume o di lago, è nominato negli statuti di Mondovì dove si trovano citati il ghiozzo (bota), il vairone (striglus), la trota (truyta) e il temolo (temeritus).
101) A.M. NADA PATRONE, Il cibo..., op. cit.
102) Vedi ad esempio nel "Libro de arte coquinaria" di Mastro Martino la ricetta "Nocce" dove si parla di gamberi d'acqua dolce che vengono lessati.
103) Questa notizia, come tutte le altre che riguardano Biestro, mi è stata gentilmente fornita da C. PRESTIPINO che ha studiato a fondo i relativi documenti.
104) St. MIL, Rubr. LV, De sale vendendo ad stantiam Savonae et Finarii.
105) F. BRAUDEL, Le strutture..., op. cit.
106) B. PLATINA, Il piacere onesto..., op. cit.
107) C. VARALDO, Savona nel Quattrocento..., op. cit.
108) Vedi nota n. 13 del terzo capitolo.
109) ORDINATI della Comunità di Millesimo del 1773, Archivio Comunale di Millesimo, Cart. n. 406.
110) Negli statuti di Mondovì del 1415 un'intero capitolo è dedicato alla "gabella pixium", in essa si parla della vendita dei pesci sottosale, ma anche dei "pesci recenti", cioè freschi o di mezzosale. Per i pesci in salamoia si stabilisce di scontare dalla gabella un rubbo ogni tre, corrispondente al peso della salamoia, delle ceste e delle funi. Tra i pesci soggetti a gabella troviamo oltre alle immancabili acciughe (amploas) anche le sardine, un pesce che non ho mai trovato citato in Val Bormida. La tonnina, un altro dei prodotti ittici nominati, è trasportata in barili e botticelle equivalenti a due barili. Sono citate anche le anguille e le perche (schinata). Il prezzo del pesce viene fissato dagli Stanziatori comunali quattro volte alI'anno .
111) St. MIL, Rubr. LXI, De tabernariis, et aliis vendere volentibus ad minutum. St. OX, Cap. 31, Tavernieri.
112) St. MIL, Rubr. LIX, De macellariis.
113) St. BAR, Che niuno possa vender il vino se non nel Borgo di Bardineto, cioè detti Forestieri.
114) St. BAR, Di quelli, che vendano il vino à minuto.
115) St. BAR, Del vino venduto mescolato con acqua.
116) Le ricevute delle gabelle sono state rinvenute presso l'Archivio di Stato di Torino durante la ricerca di materiale iconografico per il volume "Borghi e castelli di Val Bormida sec. XVI/XIX" pubblicato a Millesimo nel 1988. I riferimenti archivistici sono: Monferrato paesi per A/B, cat. 41, Vol. M 1/2, Osiglia.
117) S.C. NERVI, La valle Bormida..., op. cit.
118) F. CICILIOT, Val Bormida tra Medioevo..., op. cit.
119) C. VARALDO, Savona nel Quattrocento..., op. cit.
120) A.M. NADA PATRONE, Il cibo..., op. cit.
121) St. OX, Cap. 31, Tavernieri.
122) Calizzano, ad esempio, le donne di malaffare prima di essere bandite dal paese vengono fatte frustare "il giorno di martedi all'ora terza (cioè le nove del mattino, in pieno mercato) incominciando dalla Piazza fin' alla porta di San Rocho (St. CAL, Cap. 92 - Delle Donne inhoneste). A Millesimo, invece, sono i ladri ad essere condannati e castigati nei giorni di mercato, essi sono infatti frustati per tutta Millesimo e, se il furto è grave, marchiati in fronte con il ferro rovente. (St. MIL, Rubr. CXXII-De furtis).
123) St. CAL, Cap. 14, Della forma, che s'ha da tener nelle pignorationi, incanti, e deliberationi de beni mobili.
124) Vedi a questo proposito di C. RIVALS il saggio un mulino l'avventura del pane quotidiano" in Storia e Dossier n. 7, Maggio 1987, Giunti, Firenze.
125) St. MIL, Rubr. LVII, De molinariis.
126) St. BAR, Delli Molinari, che rubano nelli Molini.
127) Negli statuti di Osiglia si parla di mugnai nel Cap. 38 - De molinarijs, negli Statuti di Cairo del 1604 nel capitolo De mollinaris.
128) St. MIL, Rubr. LVIII, De fornariis.
129) St. CAIRO, Cap. LXXI, De fornariis, et de non intrando in domtu furniorum.
130) St. CAL, Cap. 44, Del Fornaro.
131) St. BAR, Delli Fornari, che cocino il pane.
132) St. OX, Cap. 31, Tavernieri.
133) St. CAL, Cap. 43, Del Macellaro.
134) St. MIL, Rubr. LIX, De Macellariis.
135) St. OX, Cap. 31, Tavernieri. In questo capitolo, appartenente alla parte degli statuti datata 1634, si specifica anche che "i Macellari faranno Macello publicamente, acciò si possa sapere la qualità della carne".
136) St. MIL, Rubr. LIX - De Macellariis.
137) St. CAIRO, De Macellariis.
138) A.M. NADA PATRONE, Il cibo..., op. cit.
139) St. MIL, Rubr. LIX, De macellariis.
140) St. MIL, Rubr. LX, De pullerolis.
141) St. PAL, Cap. 40, De pullerolis.
142) St. BAR, Di quelli che vendano vino à minuto.
143) A Millesimo troviamo infatti la rubrica CXIX - De rixis et rumoribus, in cui si stabiliscono varie pene a seconda se si è o no estratta l'arma e se è stato versato del sangue. Una situazione che viene citata anche nell'ultima rubrica degli Statuti, la CXXXIV - Da evaginatione armorum. A Bardineto questa materia è regolamentata nei primi capitoli dello Statuto dai titoli: Delle parole ingiuriose—Di non mettere mano al pugnale, ò coltello—Di dare li pugni—Di battere le persone. Oltre ai coltelli e ai pugnali viene anche citata un'arma più semplice la "piombetta", che troviamo anche a Millesimo. Essa era forse costituita da una palla di piombo che veniva stretta nella mano per aumentare l'effetto del pugno o lanciata per colpire l'avversario. La piombetta o piombata è dunque un'arma tipica delle risse di osteria. Ad Altare nei capitoli: "Dell'insulto" e "Delle risse" si nomina fra le armi anche la spada e si stabilisce che il colpevole di ferite, "se non hauesse da pagare, con trappe, nudo per la Terra dell'Altare, sarà frustato" .
144) Una norma di questo tipo troviamo ad esempio negli Statuti di Mondovì (1415) nel capitolo: "De apotechis et tabernis apertis non tenendis post sonum ultime campane" (Coll. 111 - Cap. XVIII)
145) St. CAL, Cap. 100, Delli crapulatori e ociosi.
146) A.M. NADA PATRONE, Il cibo..., op. cit.
147) St. MIL, Rubr. CXXII, De consensu et acceptatione furti. St. CAL, Cap. 98. Delli giocatori, et recetatori de giochi. St. DEGO, De non ludendo pecunias ad aliquem ludum taxillorum. St. ALT, Cap. 130. Di non giuocare a dadi. Ancora a Millesimo troviamo una apposita grida del Marchese Domenico Francesco Maria del Carretto nel 1720. In essa si proibiscono, oltre ai dadi, anche il Lotto, le carte e la "girottola", cioè la trottola ("zòttura"): un gioco tradizionale che veniva giocato, spesso per azzardo, ancora prima dell'ultima guerra. (Arch. Com. Millesimo, Cartella 413/4)
148) St. CAL, Cap. 98, Delli giocatori, et recetatori de giochi.
149) St. CAL, Cap. 30, Delli Hosti, e Revenditori, e Ritagliatori. St. MIL, Rubr. LXI - De Tabernariis et aliis vendere volentibus ad minutum.
150) St. BAR, Delli Hosti ò sia Tavernieri, che vendano senza stantia.
151) St. OX, Cap. 31, Tavernieri.
152) I furti sono in genere puniti severamente. A Calizzano (Cap. 85 Delli furti) per il primo furto la pena si limita alla frustatura, al secondo si comminano tre anni di galera, che diventa perpetua al terzo furto. Se però durante il furto si è fatta "violenza con armi" (Cap. 86 - Della rubberia, et assassinamento) allora il malvivente "s'appenderà alla forcha e si farà morire". E se la violenza è diventata omicidio il corpo del condannato verrà diviso in quattro parti e "s'atacarà ogni quarto in luogho eminente sopra le strade publiche... acciò resti esempio alli viandanti, et all'altri".
153) St. BAR, Delli Officiali della Communità.
154) St. OX, De non vendendo Panem, et vinum nisi sit infra stantia. Negli Statuti millesimesi del 1580 un importante capitolo è dedicato al prezzo del sale, una delle merci strategiche. La rubrica è la LV - De sale vendendo ad stantiam Savonae et Finarii.
155) St. BAR, Delli Stantiatori, e Estimatori della Communità. St. CAL, Cap. 29, come si devono vendere le vetoaglie.
156) St. MIL, Rubr. LIV, De Juratoribus, et eorum offitio circa stantias. L'elezione dei giuratori a Millesimo (nel 1580 sono in numero di tre) è regolato dalla Rubr. IV - De electione Juratorum milesimi. I Giuratori di Cosseria (sempre in numero di tre) sono eletti secondo le norme della Rubr. Vll - De ellectione Juratorum Crucis ferreae.
157) St. MIL, Rubr. LVI, De falsis mensuris, et ponderibus.
158) St. CAL, Cap. 31, Delli Giuratori, et loro Officio. Analoga rubrica "Delli Giuratori" compare anche negli statuti di Altare.
159) St. PAL, Cap. 2, De Juratoribus, Cap. 46 De Officio Juratorum.
160) St. PAL, Capp. 45 e 113, De Mensuris.
161) St. MIL, Rubr. LXII, De Rasperiis et eorum offitio. Il capitolo 141 degli statuti di Altare dal titolo "Delli Giuratori, e Consiglio" prevede anche l'elezione di "doi Rasperi secondo e come è la consuetudine anticha" .
162) St. BAR, Delli Officiali della Communità.
163) St. MIL, Rubr. LXI, De Tabernariis, et aliis vendere volentibus ad minutum. Questa dichiarazione sotto giuramento è richiesta dai Giuratori prima di fissare il prezzo della merce.
164) Ibidem.
165) Sulle norme per l'esercizio delle attività artigianali e commerciali vedi anche di L. PRIARONE, Un esempio difendo imperiale nell'Appennino ligure: Millesimo ed i suoi statuti del 1580, Tesi di Laurea, A.A. 1977/78, Facoltà di Giurisprudenza, Università degli Studi di Genova.
166) St. CAL, Cap. 31, Delli giuratori e loro Officio.
167) M. MONTANARI, La fame e l'abbondanza, Bari 1993.
168) Una esauriente disamina di tutti questi autori è stata fatta da E. FACCIOLA Arte della cucina, Milano, 1966.
169) A.M. NADA PATRONE, Il cibo..., op. cit.
170) F. BRAUDEL, Il Mediterraneo..., op. cit.
171) C. VARALDO, Savona nel Quattrocento..., op. cit.
172) A.M. NADA PATRONE, Il cibo..., op. cit.
173) Su questo illustre Del Carretto vedi di G. TURBA, Galeotto un poeta tra i Del Carretto, in "Millesimo - documenti, testimonianze, immagini", Millesimo, 1982.
174) Una descrizione delle tavole medievali si trova in "Storia della gastronomia"diM. L. MIGLIARI e A. AZZOLA, Novara, 1978.
175) Una conferma di questo fatto la possiamo trovare anche nella lista di spese fatte dai garessini, che nel 1577 si recano in Roma, dove compare l'acquisto di tre coltelli da tavola, evidentemente pel uso personale.
176) La cronaca da cui è stato estratto il frammento riguardante il convito è consultabile in G. CIORCIELLI, Cronaca del Monferrato in ottava nma del marchese Galeotto del Carretto del terziere di Millesimo (1493), con uno studio storico sui marchesi Del Carretto di Casale e sul poeta Galeotto, in "Rivista di storia arte archeologia della Provincia di Alessandria", VI, 1897, fasc. 18.
177) Un lungo elenco di pesci troviamo ad esempio in MASTRO MARTINO, Libro de arte coquinaria, in "Arte della cucina" a cura di E. FACCIOLI, Milano, 1966.
178) Una ricetta dell'Agliata la troviamo nel "Libro de arte coquinaria" di Mastro Martino, che ne fornisce due varianti: quella "bianca" e quella "pavonaza" dal colore fornito da uno degli ingredienti e cioè "l'uva negra", a volte sostituita dalle "cerase" (ciliegie). Un'altra ricetta molto simile la troviamo anche nel "Libro per cuoco" di Anonimo Veneziano, che viene fatto risalire addirittura al Trecento.
179) Una ricetta simile "Di Simonia di polli" si può rinvenire in uno dei testi classici della cucina medioevale, vale a dire il "Libro della cocina" di Anonimo Toscano, che il Faccioli assegna ai primi anni del XV secolo.
180) Praticamente tutti gli autori presentano ricette al riguardo, per la precisione e la varietà delle ricette vedi ancora il ''Libro de Arte Coquinaria" di Mastro Martino .
181) Un modo per conservare i cornioli è suggerito sia da Mastro Martino che dal Platina nella ricetta: "A servar el Suso de crognali per lo inverno".
182) Coprire i piatti di carne o di pesce con la gelatina, era già un indice di raffinatezza, se poi la gelatina era anche colorata, magari di diversi colori, la portata diveniva importante e preziosa. Lo stesso Mastro Martino fornisce la ricetta: "Per fare gdatina di carne o di pesce di due o tre colori in un vaso". I coloranti usati sono tutti, evidentemente naturali: lo zafferano dà il colore giallo, i cornioli il rosso e le foglie del grano o dell'orzo il verde. Il colore violetto ("pavonazo") viene invece ottenuto dalla parte superiore della carota. Questo non deve stupire: la carota arancione che oggi siamo abituati a consumare è, infatti, una varietà selezionata solo nel XVIII secolo.
183) Questa versione è riportata da Mastro Martino nel 111 capitolo del suo "Libro de Arte Coquinaria" sotto il titolo "Sapor camellino". Una ricetta simile si trova anche nel ''Libro per cuoco " al Cap. XCI, Savore camelino optimo.
184) La vernaccia e la malvasia erano due vitigni famosi e molto diffusi già nel Medioevo. La vernaccia in particolare compare già nel "Liber ruralium commodorum" di Pietro de' Crescenzi (1233-1321). Altri autori del XVI secolo citano questi vini: tra questi Cristoforo Messisbugo (+ 1548), Teofilo Folengo nel "Baldus" ed, infine, Sante Lancerio nella sua famosa lettera "Della qualità dei vini". La malvasia, per rimanere nel nostro ambito, è citata anche dallo stesso Galeotto Del Carretto in una delle sue lettere inviate alle Corte di Mantova. Vedi al proposito: G. TURBA, Caleotto del Carretto tra Casale e Mantova, in "Rinascimento", Anno XXII, Dicembre 1971.
185) Come si è già accennato nel 1o Cap., trattando dei legumi, all'epoca esiste un solo tipo di fagioli, i "fagioli dell'occhio", tutte le altre varietà sono giunte a noi dopo la conquista delle Americhe.
186) St. MIL, Rubr, LIX, De macellariis.
187) Vedi il capitolo: "Come un pavone cotto possa sembrare vivo" nel "De Onesta voluptade et valetudine di B. PLATINA. Analoga ricetta si trova anche in Mastro Martino.
188) Per tutte queste opere di cucina si fa riferimento all'ottimo testo di E. FACCIOLI Arte della cucina, Milano, 1966.
189) Ibidem.
190) B. PLATINA, Il piacere onesto…,op. cit.
191) Nell'ottavo libro del suo De Onesta voluptade et valetudine il Platina parla "Di quei condimenti che comunemente sono detti sapori" e nomina numerose salse tra cui: La salsa bianca, la salsa camellina, la salsa di prugne secche, la salsa verde, quella "perisicina" Ed ancora: la salsa ginestrina, d'uva, di more, di ciliege ed amarene, di senape, di pampini, l'agresto verde, l'agliata con noci e mandorle e l'agliata colorata. La più curiosa è la "Salsa celeste estiva" ottenuta mescolando more di gelso ben schiacciate con mandorle pestate, a cui si aggiunge un po' di zenzero e di agresto o aceto. "Questa salsa— ammonisce il Platina —è poco nutriente, è indigesta e può dare un senso di nausea, ma giova al fegato".
192) La passione per i canditi di zucchero era una moda piuttosto diffusa. Anche a Genova, in una lista di spese fatte per il rinfresco del Confuogo del 1594, si ritrovano molti di questi dolci. Nell'elenco sono citate "Confeture de più sorte ivi computati cinamoni (Spezia aromatica: cannella o vaniglia), zucate, pignochate e festechi" per quasi 80 chili. Le confetture erano probabilmente i canditi, la "Zucata" è forse zucca candita, la "pignocata" un dolce con i pinoli, i "festechi" sono pistacchi di origine orientale. Oltre a questo nella lista troviamo ingenti quantità di mele e di pere e le immancabili mandorle "Paesane" (dolci?) e "bastarde" (amare?) e, anche in questa occasione, un certo quantitativo di castagne. (N. CALVINO Le spese per il rinfresco del Confuoco del 1564, in "A Compagna", Anno XVII, n.s…,n.o Nov./Dic. 1985, Genova.).
193) A.M. NADA PATRONE, Il cibo..., op. cit.
194) ARCH. COM.MILLESIMO, Contratto di affitto redatto nel 1501 dal Notaio Secondino Bottacio.
195) Per questo ed altri documenti notarili vedi di F. CICILIOT, Val Bormida tra Medioevo…,op. cit.
196) Oltre al Cap. 14 degli Statuti di Calizzano anche gli Statuti di Altare prevedono che non sia pignorabile "un lavezo, et una catena" (Cap. 34, Delli pagamenti de' debitori).
197) Quella delle api è infatti un allevamento che abbiamo visto diffuso in Val Bormida.
198) F. BASTERIS e B. GARNERONE, Mac de pan. L'alimentazione povera nelle valli occitane cuneesi, Edizioni Centro Occitano di Cultura, Castelmagno, 1986.
199) Una ricetta di questo genere è ad esempio tipica della cucina povera valtellinese.
200) A Calizzano il macellaio è tenuto a rifornire chi "volesse carne per far nozze, ò bancheto per nascimento dei figlioli" anche al di fuori dei tre giorni— Martedi, Giobbia, et Sabato—in cui le macellerie sono ufficialmente aperte.
201) Un'altra ricetta tipica della val Bormida, e relativa a questo momento particolare, è il "Fegato in agliata".
202) A.M. NADA PATRONE, Il cibo..., op. cit.
203) Sono gli Statuti di Dego che riportano le principali qualità di frutta che si trovavano in val Bormida. Oltre alle castagne ed alle ghiande, troviamo anche: "Poma, pyra, persicha, brugnas" e i fichi, che probabilmente venivano anche fatti seccare per l'inverno.
204) A.M. NADA PATRONE, Il cibo..., op. cit.
205) La pesca e la caccia di frodo (o di sfroso, come si diceva allora) sono sempre state attività molto praticate sotto ogni latitudine ed in ogni epoca. Anche la val Bormida non fa eccezione, basti ricordare il capitolo degli Statuti di Calizzano sull'uso "della calzina" e delle "paste venenose" per la pesca, o le innumerevoli proibizioni alla caccia nelle riserve dei Signori che troviamo ribadite in molti documenti millesimesi.