Le stirpi ibero-liguri nell'Occidente e nell'Italia antica

Iberi: § IX

L’affinità del basco con alcune lingue americane trova gagliardi partigiani fra i moderni, fra cui Withney, il quale trova nel basco una lingua interamente distinta e problematica (wolly isolated and problematic langue), rimanenza dell’idioma di una stirpe antichissima aborigena, e chiama l’attenzione dei dotti sulle analogie del medesimo colle lingue americane; analogie riconosciute già da Humboldt medesimo come numerose, ma non ancora di tale importanza e natura, da ammetterle per criterio sicuro per classificare quelle lingue nella stessa famiglia (39). Una somigliante teoria collegasi strettamente con quella dell’origine atlantica ed africana degli Iberi che abbiamo teste esaminata (§ VII). Basterà per ora tenere come un fatto incontestabile, che, discordi filologi ed antropologi nella classificazione del basco, concordano però nella conclusione negativa, che non abbiavi nel continente antico verun altro idioma che possa considerarsi come fratello dell’euskaro (40); sicchè non rimane che ad attendere la soluzione definitiva di questo singolare problema etnografico e filologico dai successivi progressi della scienza. Ma questo non presenta così leggiere difficoltà, come sembra ad alcuni filologi, soverchiamente corrivi nel congetturare e nello affermare la comunanza di origine di due popoli da poche analogie della loro favella, mentre debbesi all’opposto procedere con gran riguardo per non cadere in gravi e spesso gravissimi errori

Perciocché non solo è provato, che le affinità di due idiomi non sono sempre argomento sicuro della fratellanza dei popoli che li parlavano o li parlano; ma è nella natura medesima dell’umano linguaggio, nel triplice suo stadio monosillabico, agglutinativo o agglomerante e flessivo, che debbasi talora seguire un procedimento analogo e quasi parallelo nella apposizione delle particelle e delle parole, e in altre particolarità della struttura grammaticale, senza che perciò si possa affermare che quegli idiomi vengano dal medesimo fonte ed appartengano alla stessa famiglia; essendo un fatto acquistato alla scienza, che popoli, i quali mai non ebbero comunicazioni fra loro, possono accordarsi e talora si accordano in alcune regole essenziali delle loro favelle, conseguenza quasi necessaria in alcuni casi del processo dei linguaggi nel triplice periodo progressivo della loro evoluzione, dallo stadio monosillabico che è il più imperfetto, allo stadio flessivo, che ne segna il maggiore perfezionamento.

Ci abbondano a questo proposito gli esempi di popoli, che cambiarono anche più d’una volta la loro lingua; ciò, che fra le nazioni e le tribù prive della scrittura avviene con somma facilità e in breve intervallo di tempo, come racconta Livingstone nei suoi viaggi nell’interno dell’Africa meridionale; dove, tornato dopo otto o dieci anni tra una stessa tribù, ne trovò la lingua radicalmente cambiata. Un somigliante fatto accade eziandio, benchè più raramente ed in più lungo spazio di tempo, fra i popoli più inciviliti, e presso cui è in uso la scrittura è una osservazione già fatta da G. Niebuhr nelle sue lezioni di storia antica, in cui ricorda, che nell’Andalusia il latino, notissimo sotto i Romani e i Visigoti, in meno di un secolo ne scomparve senza lasciarvi vestigio sotto gli Arabi, che l’avevano proibito sotto pena del capo; che nella città di Cesarea di Siria la lingua greca, parlata e scritta dai Cristiani ancora nel secolo XVIII dell’era volgare, dopo mezzo secolo non eravi più alcuno che la sapesse parlare, perchè un pascià turco avevane interdetto l’uso. Nell’Alemagna la lingua venda si dileguò con somma facilità e senza apparente motivo in parecchie provincie. Nella Sicilia medesima, in cui nel tempo della invasione dei Saraceni parlavasi il greco, e pubblicavansi in greco le leggi e i decreti ancora sotto Federico secondo nel secolo XIII, d’allora in poi scomparve intieramente dall’uso volgare. I Franchi, Borghignoni e Normanni, benchè di origine schiettamente germanica, nella Francia adottarono un dialetto della famiglia neo-latina; e poscia quei Normanni medesimi passati in Inghilterra dopo due secoli, vi portarono seco un dialetto francese, a cui qualche secolo dopo già avevano rinunziato per assumere la lingua dei vinti, come loro avvenne anche nell’Italia meridionale dove fondarono il regno di Napoli e delle Due Sicilie (41).

Ciò apparisce ancora più evidente nell’esempio della Grecia moderna: nella quale nel medio evo penetrarono così numerosi gli Slavi, che nel secolo VIII dell’era volgare chiamavasi generalmente terra slavica o degli Slavi, divenutivi prevalenti. Ma i vinti, incomparabilmente più civili dei vincitori, imposero a questi in massima parte la propria lingua, e ne nacque il greco-moderno che diventò la lingua dell’intiera nazione, la quale respingerebbe con isdegno chiunque non dica i Greci attuali schietti discendenti degli antichi Elleni (42). E quantunque i filologi riescano bene spesso a distinguere nettamente le parole e alcune forme grammaticali dell’antico linguaggio nel nuovo adottato nelle novelle sedi, non riescono egualmente a distinguere la diversa origine etnografica dei discendenti di quelli che lo parlavano, a motivo della fusione dei due popoli dove questa si operò largamente e specialmente per l’azione efficacissima del milieux (43) sopra gli abitanti di un dato paese, per cui i nuovi venuti tendono naturalmente ad avvicinarsi al tipo nazionale prevalente nel medesimo; fatto questo, di cui abbondano gli esempi nei tempi antichi e nei moderni ad un tempo (44).