Parte prima: LA STORIA, capitolo 1 - Statuta, capitula sive ordinamenta communis Carij
Le origini
Caristi o Canalicum? - I reperti archeologici
1-1 - Caristi o Canalicum?
In merito alle tribù che in età pre-romana occupavano la Valle Bormida abbiamo copiose notizie: erano certamente gli Epanterii, confinanti con gli Ingauni. Nei luoghi dell'odierna Acqui vivevano invece gli Stazielli, e poi, nelle zone circostanti i Vibelli, i Magelli, gli Euburiati, i Cerdiciati, i Cellelati, e gli Ilvati. Proprio dalla distruzione degli Stazielli ad opera del console Publio Lenate nel 173 a. C., nasce l'identificazione di Cairo con Caristi, loro capitale (1). La città rasa al suolo dai Romani, però, si trovava in una zona compresa fra il Tanaro, la Bormida e l'Orba, ben al di fuori del territorio dell'odierna Cairo. La nostra città non è quindi identificabile con Caristi. Canalicum è un paese che gli itinerari dell'imperatore Antonino Pio e la Tavola Peutingeriana pongono, circa nel 300 d. C., tra Vada Sabatia e Crixia. Alcuni studiosi, tra cui lo Zunino (2), ritengono che non si trattasse di un determinato centro abitato, ma più che altro di una traversa, donde il nome formato da "canalis" + "vicus" ridottosi nel tempo a Canalicum. Detta via traversa sarebbe una diramazione della "Emilia Scauri", la strada tracciata dal console Emilio Scauro che da Vado metteva a Tortona attraverso Crixia: giungendo da Acqui arrivava in faccia alla Bormida, la attraversava per mezzo di un ponte, e accompagnava il fiume lungo il suo lato sinistro fino a S. Donato, dove lo riattraversava con un altro ponte per rimettersi sulla via maestra, che proseguiva poi fino a Vado. Questo tratto di strada percorreva quindi tutto il "pagus", popolato da alcuni "vici", tra cui S. Donato. E'a buon ragione, quindi, che possiamo vedere nell'antica Canalicum la progenitrice della Cairo di oggi.
1-2 - I reperti archeologici
A suffragare l'ipotesi dell'esistenza di un nucleo ligure-romano nella zona di Cairo, ci sono pervenuti alcuni reperti archeologici ritrovati nel terreno intorno a S. Donato (3). Nel 1826 vennero per caso alla luce un'urna con ceneri e due casse di pietra, una delle quali ripiena di ampolle di vetro e altri oggetti che gli antichi Romani erano usi rinchiudere nelle loro tombe, e l'altra contenente monete imperiali romane d'oro e d'argento. Nel 1875 rividero la luce più di venti anfore, cinque denari, un buon numero di lucerne anepigrafi e una discreta quantità di resti di cremazione. Nel 1896 fu la volta di due olle di metallo, molti vasi lacrimatori, uno specchio di metallo privo di manico, lunghi chiodi, vasi e lucerne di terracotta, alcune delle quali recanti il bollo "MARINI E FRONTO". Le scoperte più interessanti sono però una pietra con l'incisione ENNIUS LL FAUSTI e il torso di una statua romana. La pietra, conservata oggi sotto Porta Soprana, proviene con tutta probabilità da scavi effettuati a S. Donato: la scritta che porta con sè si riferisce probabilmente alla missione del legato romano Ennio Faustino nei nostri luoghi. Il busto è stato invece trovato nella cappella di S. Margherita, chiesetta risalente al XVI secolo: poiché tale blocco è pesantissimo, è probabilmente venuto alla luce durante gli scavi effettuati per la costruzione della cappella. L'avanzo di statua rappresenta un soldato coperto dalla lorica ornata dalla testa di Medusa, col balteo a cui ha appesa la spada, e la mano destra appoggiata all'impugnatura del gladio; il braccio sinistro era probabilmente alzato nell'atto di incitare le truppe. Attualmente è conservato nel museo di Cairo.
1) E. SERENI, Comunità rurali nell'Italia antica
2) E. ZUNINO, Cairo e le sue vicende nei secoli, pagg.13-15
3) Idem, pagg.17-18