Parte prima: LA STORIA, capitolo 2 - Statuta, capitula sive ordinamenta communis Carij
La sua stirpe trae origine da un certo Teodoro, duca di Frisia, morto nel 793, combattendo contro i Sassoni. Dei figli di suo figlio il quintogenito è un Aleramo, il primo a portare tale nome. Della famiglia, poi, un Guglielmo ebbe in dono il comitato di Torresana da Guido di Spoleto, per averlo aiutato nella lotta contro Berengario I: un ramo della famiglia si stabilì quindi in Italia. Il figlio di questo Guglielmo era appunto l'Aleramo che ebbe da Berengario II una delle tre marche in cui era stata organizzata l'Italia superiore.
Nel 967 Ottone I, con diploma emesso a Ravenna il 23 Marzo, gli concede "omnes illas cortes.... (absas) in desertis locis (deserti perché devastati dalla furia dei Saraceni) consistentes a flumine Tanaro usque ad flumen Urbam et ad latus maris, quorum nomina hec sunt: Dego, Bagniasco, Balangio, Salescedo, Lecesi, Salsole, Miolia, Pulcione, Grualia, Pruneto, Altesino, Curtemilia, Montonesi, Nosceto, Masionti, Arche" (5). Gli conferma inoltre tutti i luoghi precedentemente posseduti nei comitati di Torino, Vercelli, Asti, Monferrato, Acqui, Savona, Cremona, Bergamo e Parma. Nelle sedici "curtes" donate ad Aleramo non compare, come abbiamo visto, Cairo: questo perché egli già lo possedeva (aveva infatti terre nel contado di Savona), o perché non si trattava di una corte abbandonata.
I figli di Aleramo, Anselmo ed Ottone (Guglielmo era premorto al padre), diventarono rispettivamente i capostipiti delle due linee marchionali di Savona e Monferrato che tennero "pro indiviso".
Per vedere nominata Cairo bisogna aspettare il 991 quando Anselmo, coi nipoti Guglielmo e Riprando, fonda il monastero di S. Quintino di Spigno dotandolo di molti beni tra cui undici mansi nel territorio di Cairo (6). Sarà nuovamente nominato sette anni più tardi in un diploma di Ottone III che confermava al vescovo di Savona il possesso di alcune pievi e corti, Cairo compresa (7).
998: ".... plebes castella et terras que hic nominantur. Infra Castrum Saunense turrem unam cum edificiis suis et capelia, cortem de Lacu Rotondo, Cardedo, Mantugolam, Carium, plebem que dicitur Sancti Petri de Meleseno cum capellis et decimationibus et terris et plebem Sancti Iohannis de Cario cum cappella Sancti Donati"
999: ".... domum cum turri et curte et mansionibus et ripa ipsius Castelli Saonensis. Insuper Lacum Rotundum, Cardeto, Manduculo de Callo, Cario,...... plebem Sancti Donati.... ".
1014: ".... domum cum turri et curte et mansionibus porta et ripa ipsius Castelli Saonensis. Insuper Lacum Rotundum, Cardeto, Manduculo de Callo, Cario,...... plebem Sancti Donati.... ".
Il problema che nasce è quindi il seguente: come mai nel documento del 998 la pieve è S. Giovanni, mentre nei diplomi successivi è S. Donato? L'apparente contraddizione si potrebbe così spiegare: poiché S. Donato era il "vicus" principale del "pagus", originariamente la pieve sorse lì, nel cuore di Canalicum. Con il nascere e lo svilupparsi del borgo di Cairo, però, per effetto del fenomeno che voleva la chiesa battesimale nel centro dell'abitato, il titolo di pieve passò all'attuale chiesa di S. Lorenzo (allora S. Giovanni). Se ciò risultasse essere conforme a ciò che realmente accadde, potremmo considerare il documento del 998 giusto nei termini, mentre quelli posteriori errati a causa di un' abitudine non ancora scomparsa di chiamare pieve S. Donato. E che S. Donato non fosse più pieve è anche dimostrato dal fatto che nel 1130 viene donata dal Vescovo di Alba Rambaldo al monastero di Bergeggi.
Anselmo, il figlio di Aleramo co-fondatore dell'abbazia di S. Quintino a Spigno, ebbe un figlio Tete, o Tetone, che sposò la sorella di Adelaide, marchesa di Ivrea e di Torino, Berta. Da questo matrimonio nacquero tre figli: Manfredo, Anselmo e Bonifacio. I primi due morirono di morte violenta nel 1079, e Bonifacio ereditò tutti i possedimenti paterni, diventando il capostipite dei Del Carretto e di altre importanti famiglie del Piemonte (9).
Quando muore, nel 1125, solo sette dei suoi otto figli si spartiscono l'eredità, poiché uno, Bonifacio di Incisa, era stato dal padre diseredato per essersi alleato con i suoi nemici occupando importanti castelli. I figli eredi divennero capostipiti di importanti famiglie marchionali: Manfredo dei marchesi di Saluzzo, Anselmo dei rami di Ceva e Clavesana, Guglielmo dei marchesi di Busca ed Enrico Werth dei Del Carretto di Finale e di Cairo. Ugo Magno, Bonifacio Minore ed Ottone Boverio non ebbero invece figli maschi (10).
Enrico Werth (latinizzato in "Guercius") fu marchese di Savona e del territorio da Cairo a Cortemilia nelle Langhe. La leggenda lo vuole presente alla crociata predicata da S. Bernardo di Chiaravalle (1147-49), dove sarebbe stato ferito ad un occhio, per giustificarne il soprannome di "Guercio", latinizzazione del germanico "werth" che significa "valoroso". Fu consigliere personale di Federico Barbarossa e da lui delegato a trattare la pace di Costanza nel 1183. Nel 1162 era stato intanto investito dall'imperatore di tutti i possedimenti ereditati dal padre, con il potere di abbattere o costruire castelli, imporre taglie e formare eserciti. Il 2 Agosto 1179, seguendo un'abitudine "cara" alla famiglia, fondò l'ospedale di Fornelli (12): questa fondazione, come quella di Anselmo, figlio di Aleramo, nel 991 dell'abbazia di S. Quintino a Spigno, e quella di Bonifacio nel 1097 della prepositura di Ferrania, non rispondeva certo a motivazioni di carattere esclusivamente religioso, ma anche, e forse soprattutto, ad interessi politici.
Enrico ebbe una figlia, Isabella, e quattro figli: Ottone, Ambrogio, Bonifacio ed Enrico II. Ambrogio e Bonifacio diventano entrambi vescovi di Savona (Ambrogio fino al 1192, anno della sua morte; Bonifacio gli succede), e quindi, alla morte del padre, nel 1185, si spartiscono l'eredità, secondo il "sistema lombardo", gli altri due figli.
Cairo, con Rocchetta, Carretto, Scaletta, Cortemilia, Castino e Trezzo, e con Savona, tocca ad Ottone, mentre Enrico II prende possesso dell'area di Noli e Finale, dell'alta Valle della Neva e dell'alta Val Bormida.
Dopo appena sei anni, però, Ottone deve rinunciare ai suoi diritti marchionali su Savona. E' questo infatti il periodo in cui, accanto all'agricoltura, rinascono e si intensificano gli scambi commerciali, che danno luogo ad un intenso processo di diversificazione tra città e campagna. Questi mutamenti, naturalmente, non possono non interessare anche la sfera sociale, dove nasce e si sviluppa un ceto di mercanti ed artigiani che non sono e non vogliono più essere soggetti a vincoli feudali.
Savona non fa eccezione a questa regola, e il nostro Ottone si vede costretto a cederle i diritti che su di essa vantava, con atto ufficiale del 10 Aprile 1191. Si trasferisce quindi in Val Bormida assumendo il titolo di Marchese del Carretto, dal nome di una località nei pressi di Cairo (13). In questo periodo Cairo conosce momenti favorevoli per il suo sviluppo: il castello viene restaurato ad ampliato ed il borgo viene circondato da poderose mura di cinta intervallate da sette torri e due porte; viene anche costruito il convento di S. Francesco (fondato, secondo la leggenda, proprio dal Santo, che aveva ricevuto in dono da Ottone un pezzo di terra come ringraziamento per aver miracolato la figlia sordomuta) a circa un chilometro da Cairo, lungo la "Magistra Langarum", importante strada che metteva in comunicazione Alba con la Riviera (14).
Il 5 Luglio 1214 Ottone è costretto, se vuole salvare il suo marchesato, a donare a Genova "Castrum Carii, Vignarolio, medietatem montis Cavilionis, medietatem de Carcaris, de Runchi de Mallo, de Bauzilis et castrum quod vocatur Deus": da Genova ne riceve immediatamente l'investitura (16 Luglio), con l'impegno però di restituirli in caso di richiesta da parte della città (15).
Va detto però, che i beni feudali del suolo cairese non rappresentavano che un'esigua parte dell'intero territorio: l'abbazia di Ferrania, e le chiese di S. Donato e S. Lorenzo, gestivano infatti gran parte dei beni della zona, mentre del rimanente territorio "laico" una grossa fetta era rappresentata da beni enfiteutici (16).
Sotto la spinta del nascente spirito di aggregazione, e a causa delle sofferenze patite dalla popolazione per le guerre contro Alba e Genova, Ottone rilascia poi alcune concessioni alla gente di Cairo: nel 1233 fa remissione dei diritti di fodro e di maletolta, ricevendo il giuramento di fedeltà da parte della comunità; nel 1235 concede ai Cairesi il diritto di testare e la possibilità di far pascolare le bestie nelle proprietà del Feudo; sempre in questo anno, poi, Ottone II, figlio di Ugo, stabilisce che il Comune può costituirsi "banna et ordinamenta" (17).
Ottone II ereditò direttamente dal nonno poiché Ugo premorì al padre. Costui ebbe però vita breve, e il feudo di Cairo passò nelle mani del fratello Manfredo, nonostante egli avesse due figli: Francesco e Tomaso.
Manfredo si trova a dover governare il feudo cairese in un momento veramente difficile. Da una parte doveva guardarsi da Alessandria, Acqui e Asti che volevano mettere le mani sui suoi territori, per assicurare ai loro traffici una sicura via per il mare; dall'altra subiva invece la pressione continua di Genova. L'unica possibilità di sopravvivenza che gli rimaneva, era quella di non schierarsi in maniera definitiva da una sola parte, e oscillare tra Guelfi e Ghibellini.
Nel 1242 lo vediamo infatti giurare fedeltà al comune di Asti che immediatamente lo investe dei suoi castelli; l'anno dopo è alleato di Genova contro Federico II e prende parte all'assedio di Savona; nel 1245, invece, corre in aiuto di Savona contro Genova, dopo aver prestato omaggio a Federico II (18).
Alla sua morte ereditano il feudo i suoi figli: Ottone III, Ugo II, Alberto, Opizo e Batterio (19).
Di Opizo e Batterio non si hanno notizie, mentre vediamo gli altri tre ricevere l'investitura del feudo cairese da parte di Genova nel 1284. Il 25 Settembre 1307 Ottone, suo figlio Manfredino, e Ugo (Alberto era probabilmente già morto; di sicuro era già morto nel 1310), concedono l'immunità ai Cairesi: sono liberi e franchi, e cittadini romani (20).
Con atti del 1286 e 1287, intanto, Ottone III aveva emancipato il figlio cedendogli tutti i suoi possedimenti; il 25 Maggio 1307 Ugo aveva confessato di aver tenuto illegalmente la signoria su Cairo e aveva rimesso i suoi domini a Manfredino (21).
Manfredino resta così unico possessore del feudo cairese ma il sogno dei Del Carretto stava ormai per concludersi: oberato dai debiti, il nostro Marchese è costretto a cedere a Manfredo di Saluzzo il suo feudo. "Tranquille vivere volens", è citato nell'atto dell'11 Novembre 1322, ma in realtà si trattò di una vera e propria vendita: in cambio di alcuni luoghi, tra i quali Saint Froint e Paesana, dove forse si trasferì, del pagamento dell'ipoteca di 9000 lire genovesi che gravava sui suoi beni, e di una somma uguale nelle mani di Manfredino, la famiglia carettesca scompare dalla scena cairese (22).