Paolo Scorzoni - Statuta, capitula sive ordinamenta communis Carij

Conclusioni

Attraverso la lettura degli statuti di Cairo ci siamo potuti fare una piccola idea di come era organizzata la vita quotidiana di questo piccolo comune medievale.

Il centro abitato era formato da un "castrum", costruito su una "rocha", e da un "burgus", sviluppatosi ai piedi della rocca stessa. Dai lati del castello si staccava una cinta muraria che abbracciava tutto il borgo il cui accesso era consentito, legalmente e materialmente, da due porte, porta Yoe e porta Ferrini. Il borgo era costeggiato dal fiume Bormida, del quale facevano parte due non meglio specificati fossati chiamati Marassi e Corveri. Intorno a questo centro si estendeva un territorio di una certa ampiezza denominato "posse".

Le vie del borgo e le strade fuori da esso erano tenute pulite ed in ordine. In particolare era affidata ai proprietari dei campi la manutenzione del fondo stradale in quel tratto che costeggiava i loro poderi. Era proibito, in via generale, ammassare letame sulle strade o lasciare su di esse "aliquod vituperium". Per motivi di sicurezza agli abitanti del borgo era fatto assoluto divieto di coprire i tetti delle case con la paglia, e neppure le abitazioni potevano essere fatte ad arbitrio del costruttore, ma dovevano rispettare le normative dettate dal Comune.

Il centro religioso era la chiesa di S. Lorenzo, all'interno della quale avvenivano le riunioni del consiglio, sia maggiore che minore.

All'amministrazione del Comune provvedeva il "Rector, eletto ogni anno dal consiglio tra i cittadini migliori di un comune amico. A coadiuvarlo nei suoi compiti c'era il Vicario, che funzionava anche da sostituto, e un insieme di ufficiali del Comune che formavano la Curia. Altre cariche amministrative erano quelle degli "extimatores" e del "Curator Generalis bonorum vacantium". I primi, eletti in numero di tre , venivano chiamati in causa in tutti quei casi per i quali era necessario quantificare il valore di un bene, sia mobile che immobile. Li vediamo impegnati a determinare il valore dei beni requisiti dal Signore ai contumaci, dei possessi di chi moriva senza eredi diretti e lasciti testamentari, dei beni pignorati ai debitori insolventi. Al "Curator Generalis" spettava invece la tutela delle proprietà lasciate incustodite per qualunque motivo. Al controllo delle coltivazioni era preposto un numero imprecisato di Campari, ad ognuno dei quali era affidata una "camparia", ossia una ben determinata superficie di terreno. Dovevano controllare giorno e notte che nessuno entrasse nei campi altrui per rubare o per procurare volontariamente dei danni per motivi di vendetta o di rappresaglia. La tranquillità del paese era assicurata da Guardie Private elette direttamente dal Signore, le quali però non rappresentavano una carica permanente, ma venivano elette solo quando la situazione lo richiedeva. Il vero simbolo della libertà comunale era rappresentato dal Consiglio. Al Consiglio potevano partecipare tutti i "capiti domus", che si ritrovavano nella chiesa richiamati dal suono delle campane o dalla voce del banditore. Li' si prendevano le decisioni più importanti per il presente e il futuro del paese, ed ognuno aveva libertà di giudizio che esprimeva collocando in un'apposita urna una fava bianca, se concordava con la mozione, od una nera se la proposta non lo trovava favorevole.

L'amministrazione della giustizia tendeva ad essere slegata dalla burocrazia quanto più poteva, e cercava di sveltire le cause per evitare che si protraessero troppo a lungo nel tempo. Non per questo ci si lasciava andare a giudizi sbrigativi e non sempre corretti. Era anzi concessa la possibilità di appellarsi più volte ad una sentenza se si giudicava inopportuna o falsata per mancanza di indizi sufficienti, ma i termini per presentare gli eventuali ricorsi erano precisi e perentori. Per danni inferiori ad una certa somma non era necessario intentare una causa, ma era sufficiente il giudizio del Signore tenuto ad indagare sui fatti principali.

Nel caso di reati penali un ben nutrito numero di rubriche regolava minuziosamente le pene da infliggere a chi risultava colpevole. Erano pene per lo più corporali, alle quali non si arrivava direttamente, ma solo in caso di mancato pagamento dell'ammenda prevista: solo l'omicidio volontario era punito direttamente con la morte. La pena più lieve era la fustigazione, la più pesante il taglio di un membro o l'accecamento di un occhio. Anche in questo i nostri statuti non si discostano di molto da quelli dei paesi vicini che prevedono, in linea di massima le stesse punizioni.

Un solo capitolo è dedicato alla religione, che pur tanta parte ebbe nella vita degli uomini del Medioevo. Probabilmente, per punire chi non si comportava secondo gli insegnamenti dettati dalla Chiesa, ci si rifaceva direttamente al diritto canonico, che non era certo di manica larga con i "nemici" di Dio.

L'economia era essenzialmente agraria, fondata sulla terra che forniva il necessario per il sostentamento, e legata quindi al tempo, inevitabile arbitro del destino di molti. I prodotti agricoli principali erano la vite, il grano, la frutta e qualche ortaggio. La vite rappresentava sicuramente la fonte di maggior reddito, e non a caso era particolarmente protetta: l'esilio, la marchiatura a caldo e il taglio di un membro erano le punizioni per chi era sorpreso a rubare o a danneggiare le viti. Chi tagliava qualche vite o rubava un po' d'uva era punito con la stessa crudeltà di chi incendiava una casa o di chi amputava una mano o un piede. Anche la distruzione volontaria delle colture di grano era punita con severe pene corporali. Tutto ciò aiuta a capire come il patrimonio agricolo giocasse un ruolo di vitale importanza per gli uomini del Medioevo, che avevano nella coltivazione della terra la sola arma per allontanare lo spettro della fame.

Ma a proposito di fame vediamo di cosa si nutrivano nel Trecento gli abitanti di Cairo. Sulla mensa dei Cairesi compariva quotidianamente il pane, preparato con la propria farina fatta macinare al mulino e portato a cuocere, o a far cuocere al forno; il vino, del quale gli statuti non fanno mai cenno, ma che sicuramente, vista la massiccia presenza di vigneti, non doveva mancare dalla tavola; la carne, comprata al macello; il formaggio, qualche ortaggio, qualche legume e le castagne. La frutta era rappresentata da pere, mele, pesche e fichi. Un'alimentazione sicuramente "povera", alla quale si contrapponeva il lusso alimentare degli strati dominanti, che manifestavano la loro superiorità proprio mettendo in mostra i prodotti riservati: la selvaggina delle foreste del Signore, le spezie preziose che arrivavano dall'Oriente e i piatti rari.

Il patrimonio boschivo era rappresentato da castagni e querce, che fornivano frutti per il nutrimento dei maiali, fogliame per il giaciglio delle bestie, e prezioso legno per gli artigiani del posto. Gli alberi da frutta non erano riuniti in frutteti, ma si trovavano qua e la' negli orti e nelle vigne; accanto ad essi, soprattutto nelle vigne, erano piantati i salici da vinimi, utilissimi per legare le viti.

L'allevamento del bestiame era limitato ad ovini e suini: tra gli ovini sono presenti becchi, capre, arieti e montoni utilizzati per la produzione della lana e dei formaggi. Il maiale è invece il protagonista principale di una tipica festa contadina: l'uccisione in dicembre del suino, i cui prodotti nutrono i contadini durante i rigidi inverni. Asini, muli e cavalli erano utilizzati per il trasporto di uomini e cose e per il traino dei carri, mentre per il lavoro nei campi si prediligevano i tradizionali buoi e le mucche.

Il quadro che emerge dalla lettura degli statuti è quello di un borgo tipicamente medievale, che non si discosta, in linea generale, dai comuni vicini, la cui organizzazione strutturale e sociale procede sulla falsariga della quasi totalità dei comuni rurali dell'Italia settentrionale. Una società chiusa, praticamente autosufficiente, ripiegata su se stessa e condizionata da un'economia statica, diretta al solo soddisfacimento dei bisogni primari. D'altro canto, gli statuti ci trasmettono anche un forte sentimento di solidarietà verso quegli uomini che, col sudore e col sangue, hanno gettato le basi per una società più nuova.