Cairo nella storia della Liguria e della Nazione, di Piero Angelo Tognoli

Gli aleramici

Nell’oscuro medioevo e precisamente nel 911 il nome di Cairo appare per la prima volta in un documento che riguarda la fondazione in Spigno Monferrato del monastero di S. Quintino.
Verso la fine del X° secolo, su Cairo e terre limitrofe esercitarono il loro dominio gli Aleramici.
Erano costoro i discendenti di quell’Aleramo di cui la leggenda ha fatto un personaggio da fiaba e ha tramandato fino a noi le romantiche gesta .
La tradizione vuole che Aleramo fosse uno scudiero dell’imperatore Ottone I che, innamoratosi della principessa Adelasia, sia fuggito con lei ed abbia riparato nei monti della Liguria: chi afferma presso Garessio, chi a Pietra Ardena, chi a Carretto, chi infine nelle selve del territorio di Montenotte.
Il fuggiasco campava facendo carbone con i legnaiuoli della zona e ammaestrava i suoi tre figli all’arte della guerra
Verso l’anno 967 l’imperatore in persona venne a combattere i Saraceni che infestavano la Regione. Dopo una serie di avventurose circostanze, avvenne l’incontro di Ottone con il suo ex scudiero nella spelonca dello stesso Aleramo ove l’imperatore era stato ricoverato per essere curato di una ferita ricevuta in battaglia.
Il furore del primo attimo si tramuto tosto in comprensione ed in perdono: l’imperatore riconobbe Aleramo per genero e gli diede in feudo le vaste terre delimitate dallo Stura, dall’Olba, dal Mar Ligure e, come dice ancora la leggenda, gli diede tanta terra quanta Aleramo ne potè percorrere cavalcando per tre giorni consecutivi.
Quella che abbiamo raccontato è leggenda.
La storia dice che gli Aleramici ebbero origine da certo Anselmo, il quale in compenso di alcuni servizi ebbe in feudo il Monferrato e poi suo figlio Aleramo accrebbe i domini con le donazioni di (Ugo, Lotario, Berengario II e Ottone I tanto da possedere nel 967 le vaste terre come sopra delimitate.
I figli di Aleramo si chiamavano Guglielmo (premorto al padre), Anselmo ed Ottone.
Questi ultimi due, alla morte di Aleramo, mantennero in comproprietà il vasto dominio e il loro potere fu uno dei più solidi dell’Italia settentrionale.
Nel 991 Anselmo fondò in Spigno il Monastero di S. Quintino, a proposito del quale, come già abbiamo detto, il nome di Cairo appare per la prima volta fra gli atti ufficiali della storia.
Esso viene infatti citato in relazione a undici mansi lì esistenti e facenti parte del vasto patrimonio del Monastero.
Troviamo ancora il nome di Cairo in una convenzione stipulata l’8 maggio dell’anno 1080 fra il Comune di Savona e gli uomini del nostro borgo ,intesa a disciplinare il diritto di pascolo ed a pattuire reciproco aiuto in caso di offesa.
Altra occasione importante in cui ricorre il nome di Cairo fra i meandri della storia è la donazione, fatta, nel giorno di Natale dell’anno 1097 da Bonifacio del Vasto e da suo figlio Enrico, a favore della prepositura di Ferrania di vasti tenimenti fra cui un campo sito in villa "quae nominatur Cairo" nonché Cappelle, case e campi situate "in loco quod nominatur Carretto".
A Ferrania morì ed ebbe sepoltura Agnese, figlia di Adelaide contessa di Torino e di Guglielmo Conte di Poitiers, moglie in seconde nozze del suaccennato marchese Bonifacio, il più potente ed il più ricco principe piemontese .
Egli nell’anno 1111, durante la lotta per le investiture, accompagnò a Roma Enrico V che il papa non voleva incoronare e, dopo intense attività parlamentari, condotte con sagace intelligenza, riuscì ad ottenere che l’esito della vertenza volgesse in modo favorevole all’imperatore.
Bonifacio del Vasto morì forse nell’anno 1130.
Pochi anni dopo la sua scomparsa avvenne la divisione del cospicuo territorio .
I Contadi marittimi di Savona e Noli e quello montano di Cairo vennero assegnati al figlio Enrico detto il Guercio.
Il contado di Cairo abbracciava due castellanie, quella di Cairo stesso e quella di Dego.
Erano soggette a quella di Cairo le terre di Rocchetta, Carretto, Vignale e Carcare per una metà.
La giustizia veniva amministrata da un visconte detto più tardi vicario.
All’epoca di Enrico il Guercio i Comuni di Savona e Noli, già molto emancipati, tendevano alla totale indipendenza dell’egemonia feudale.
Enrico, spazientito dalla noia che gli procuravano detti Comuni, si rivolse all’imperatore Federico Barbarossa in cerca di maggior fortuna alla corte imperiale.
La sua intelligenza e fedeltà valsero ad elevarlo in breve tempo al rango d, Consigliere intimo dell’imperatore stesso che lo tenne in così grande considerazione da designarlo suo delegato alle trattative per la pace di Costanza ( 1183) .
Ma già nel 1172, per compensare la sua fedeltà, l’imperatore lo aveva investito di tutti i suoi beni che gli erano pervenuti .dall’asse paterno.
Sotto la Signoria di Enrico, essendo divenuti i contadi delle Langhe più importanti che non quelli marittimi, il feudo di Cairo acquistò fama e potenza~.
I traffici s’intensificarono, le strade furono rese più transitabili e più sicure, tanto che la "Magistra Langarum", la strada che attraverso il ponte degli Aneti saliva al Castello del Carretto e conduceva nella Valle Uzzone, visse in questo periodo il suo tempo d’oro.
Un fatto, degno di nota, avvenuto in questo periodo, è la firma di una convenzione fra l’imperatore Federico Barbarossa ed i rappresentanti del Comune di Genova, nel castello di Rocchetta nell’anno 1171.
Intermediario, naturalmente; fu Enrico del Carretto.
Egli partecipò con onore alle crociate e si distinse nei maggiori avvenimenti politici del suo tempo.
Fu, come il padre, molto liberale verso le istituzioni religiose, fondando nell’anno 1179 in Fornelli una Chiesa con annesso un ospedale capace di ricevere 12 infermi e designando quale rettore un canonico di Ferrania.
Alla sua morte (1184?); i figli Ottone ed Enrico si divisero l’asse ereditario
Ambrogio e Bonifacio che rimasero esclusi perchè ecclesiastici, furono nominati successivamente vescovi di Savona.
Ottone ebbe la Signoria di Savona e quindi di Cairo e terre vicine.
Egli, però, nel 1191 vendette ogni diritto ed autorità che aveva in Savona trasferendo la sua sfera di azione nella valle Bormida e nelle Langhe assumendo il titolo Marchionale di "Del Carretto".
Durante la signoria di Ottone, Cairo divenne il luogo più importante della valle Bormida.
Il castello del Borgo era la dimora prediletta del marchese, il quale amava circondarsi di musici, poeti e trovatori per allietare i suoi periodi di riposo, alternando al questi passatempi battute di caccia e giostre.
Fu sotto la signoria di Ottone che, nell’anno 1213, San Francesco d Assisi, in viaggio per la Spagna ed il Marocco, transitò per Cairo.
Egli percorrendo la litoranea fino a Vado, attraverso il passo di Cadibona discese in Val Bormida. Per Cortemilia, Asti e Torino e la via delle Alpi entrò in Francia e proseguì verso la Spagna ed il Marocco.
A Cairo lo ricevette una folla plaudente e piena di amore e ammirazione per il serafico poverello.
Nel castello viveva la figlia di Ottone del Carretto che era sordomuta fin dall’infanzia.
Ottone in uno slancio di fede, invigorito dall’amore che nutriva per la figlia, fece chiamare San Francesco pregandolo di voler operare il miracolo .
Il fraticello fra l’ammirazione, lo stupore e il delirio dei presenti esaudì l’accorata preghiera del marchese e la giovinetta riacquistò la favella.
La notizia si sparse per il Borgo e le Valli limitrofe come un fulmine.
Fu un continuo pellegrinare di folla che si prolungò per tutto il soggiorno del frate in Cairo; ognuno voleva conoscere l’autore del prodigio sovrumano e toccare il misero saio del Santo.
Maturò così l’idea di fondare un convento francescano.
Ottone riconoscente offrì il terreno in una valle amena sulla "Magistra Langarum", i mezzi per la sua erezione e San Francesco accettò l’offerta.
Il convento ebbe vasta rinomanza nei secoli ospitando un numero considerevole di frati, salvo qualche sporadico periodo, in occasione delle distruzioni subite dal Convento.
La prima per opera delle soldatesche di Facino Cane e l’altra forse durante la guerra che il duca Carlo Emanuele I condusse nel Monferrato.
I religiosi però non si persero d’animo e con grande coraggio riattivarono e ampliarono il convento.
Esso fu poi incendiato e distrutto durante le battaglie napoleoniche dal generale Victor nel 1799 e fu definitivamente abbandonato nel 1805, anno in cui Napoleone soppresse gli ordini religiosi e ne incamerò i patrimoni .
Ora del vetusto convento non rimangono che i ruderi della Chiesa e il chiostro con le sue colonnine di pietra, le piccole cellette, e i resti di alcuni dipinti che la tradizione attribuisce al famoso Caccia di Montabone, detto "Moncalvo".
Anche il misterioso cespuglio, posto al centro dell’orticello, cui per la perenne verzura la tradizione attribuisce qualcosa di mistico e di miracoloso, va appassendo.
Ottone del Carretto governò in un periodo difficile per la potestà marchionale, quando cioè i Comuni, forti per la loro crescente indipendenza contrastavano efficacemente l’assolutismo feudale.
Egli, per tenersi amica la Repubblica di Genova, donò con atto 25-7-1214 il Castello di Cairo con Carretto, Rocchetta, Vignaroli, metà di Carcare, Ronco di Malo, Montecavilione, Buzile oltre al castello di Dego e le sue pertinenze, al comune di Genova che a sua volta gliene diede investitura.
Tali territori, però, la Superba si fece riconsegnare nel 1223 per le noie procuratele dai Marchesi del Carretto in occasione della vendita di Pareto e Pontinvrea, fatta alla, stessa Repubblica dal Marchese Enrico di Ussescio.
Seguirono guerre e scaramucce fra i Signor, Del Carretto e le città ora di Alba e ora di Asti, durante le quali i poveri abitanti di Cairo furono sottomessi a due imposizioni.
Di ciò si rese ben conto il Marchese Ottone che, con atti rispettivamente del 1233 e del 1235, fece concessioni al Comune di Cairo. 34
Morto Ottone gli successe Manfredo, il quale per mantenere la sua signoria, parteggiò un po’ con i Ghibellini e un po’ con i Guelfi.
Nel 1243 fu alleato con Genova contro Savona, nel 1244 guidò papa Innocenzo IV che, da Genova attraverso Stella - Pontinvrea- Rocchetta Cairo - Carretto Cortemilia, si recava a Lione per convocare d’urgenza e in gran segreto un concilio e dichiarare la decadenza dell’imperatore.
Nei 1245 troviamo Manfredo contro Genova alla difesa, di Savona con gli uomini di Rocchetta e di Dego.
Nel 1268 accolse il cugino Corradino di Svevia che con il suo esercito da Pavia muoveva alla riconquista del Regno di Sicilia, perduto dall’impero nel 1266 per opera di Carlo D’Angiò.
Corradino fu accolto in Cairo con grandi onori malgrado la scomunica che Clemente IV aveva lanciato contro tutti gli amici dello Svevo.
Egli ebbe l’aiuto per raggiungere Finale, ove, imbarcato il suo esercito su undici galee pisane, andò ad affrontare il nemico nella battaglia campale di Tagliacozzo (23 agosto).
Così subì una dura sconfitta che in seguito gli costò la vita.
Alla morte dello Svevo crollarono le speranze di unificare l’Italia sotto l’autorità dell’impero ed i Caretteschi si salvarono per miracolo dall’ira di Carlo D Angiò per l’aiuto offerto a Corradino.
A Manfredo successe il figlio Ugone, il quale il 26-5-1302 fu investito a Genova del luogo di Cairo e pertinenze.
Egli il 25-9-1307 confermò in pubblico, nella Chiesa di San Lorenzo di Cairo, gli antichi privilegi concessi dai suoi predecessori al Comune (esenzione del pagamento dei diritti di successione ecc.).
Manfredino, suo successore, continuò ad agevolare i cittadini cairesi, esonerandoli il 16-9-1315 dal pagamento di L. 60 genovesi annue, obbligo assunto dalla Comunità nel 1233 verso il marchese Ottone.