Cairo nella storia della Liguria e della Nazione, di Piero Angelo Tognoli

La restaurazione, il risorgimento, le riforme

Con il tramonto della stella napoleonica, per il Cairese, sgombro dalle truppe straniere, iniziò un periodo di tranquillità durante il quale fiorirono e si svilupparono l’agricoltura ed il commercio.
Il 19 marzo 1814 Pio VII, di ritorno dalla prigionia, transitò per Cairo ove fu accolto dal popolo con filiale devozione. L’avvenimento è ricordato dalla seguente memoria custodita nell’archivio parrocchiale di Cairo:
"Anno domini 1814 die 19 martii - Pius VII pontifex maximus - pertransivit hoc oppidum Carii - populusque in platea congregato - ex alta fenestra, palatii marchionis- Seyssel pubblice benedictionem largitus est". L’avvenimento è ricordato da una lapide in marmo murata sulla facciata di Casa Francia, in Piazza Stallani.
Nello stesso anno, a seguito del Congresso di Vienna, ai Savoia furono restituiti i loro dominii in Piemonte con l’aggiunta della Liguria, e Cairo incorporato nella provincia di Savona,, giurò fedeltà a Vittorio Emanuele I (1802-1821).
Il ritorno dei sovrani d’Europa sui loro troni ed il conseguente ripristino dello stato primitivo diede l’avvio a quel periodo che andò sotto il nome di Restaurazione.
Per il Regno Sardo fu una parentesi poco felice in quanto gravi disordini coinvolsero tutti i territori ad esso sottomessi.
Per puro spirito contraddittorio i posti chiave del nuovo governo furono affidati a uomini appartenenti alla vecchia e retrograda borghesia, assolutamente inadatti ad affrontare ed a risolvere i molteplici problemi del regno.
A Cairo, passata la bufera napoleonica, la vita riprese con rinnovato vigore.
L’attività della popolazione continuò ad essere orientata verso un’economia agricolo-artigiana.
Prosperavano i prodotti dei campi, le colture cerealicole e viticole.
Bene avviata la cultura della canapa, in modo particolare nella pianura di Rocchetta.
Fiorente la produzione della seta la quale veniva esportata in Piemonte.
Importante la lavorazione del ferro.
Da una statistica del 1834 si legge: "vi sono nel Comune di Cairo tre ferriere e gli operai impiegati per la, sola lavorazione del ferro d’ogni ferriera sono otto, non si può però precisare il numero dei conducenti del minerale esportato da Savona, tanto meno quello dei fabbricanti carbone.
"L’ordinario lavoro delle suddette è di mesi otto all’anno, ma presentemente si può calcolare il lavoro a soli quattro mesi, sia per la mancanza di combustibile, sia per la bassa quotazione in cui trovasi questo ramo di commercio.
"I ferri parte si vendono nella signoria e parte nel Piemonte".
Nello stesso periodo a Cairo funzionavano tre filature di seta che utilizzavano i bozzoli prodotti in loco.
Nessuna delle suddette industrie riuscì però a sopravvivere alla crisi delle attività artigianali provocata dalla meccanizzazione.
Allo scoppiare dei primi moti insurrezionali, la popolazione Cairese si era divisa in due partiti, da una parte stavano i Conservatori, i proseliti cioè della monarchia e dall’altra stavano i cosiddetti Giacobini simpatizzanti e continuatori della rivoluzione francese.
Dopo l’infelice esito dei moti del 1821, gli esuli, condotti da Santorre di Santarosa, ebbero in Cairo ospitalità e ristoro per opera del capitano Celso Stallani e dei suoi amici.
I fuorusciti, in numero di circa 500, in gran parte studenti dell’università di Torino, si portarono verso la marina per sottrarsi agli arresti.
II Risorgimento italiano trovò la Valle Bormida unita e compatta al fianco dei re di Sardegna nella lotta per l’indipendenza.
Dal collegio delle Scuole Pie di Carcare, padre Atanasio Canata, luminosa figura di maestro e patriota, inculcò nel cuore dei suoi giovani allievi la fede del futuro e l’amore per la patria.
A Carcare nel 1847 Goffredo Mameli sottopose al giudizio del Canata il suo inno "Fratelli d’Italia".
Lo Scolopio lo approvò e vi aggiunse di mano sua la strofa: "uniamoci uniamoci ! l’unione e l’amore" come per invocare quell’unione tanto necessaria.
Giuseppe Cesare Abba fu il discepolo prediletto di padre Canata.
Il poeta Cairese scrisse di lui. "Chi raccogliesse ciò che egli scrisse in quell’anno (1848), mostrerebbe alla gente d’oggi che cuore di patriota potè battere sotto la tonaca di quel frate. Il quale, venuti i dì neri, ritiratosi Pio IX, cadute le speranze della patria, incrociò le braccia, stette a vedere con la fronte corrugata tra sacerdote e cittadino, brancolò come un uomo improvvisamente acciecato. Ma il giorno che intese la rotta di Novara, entrò in iscuola pallido, tremante; con la voce strozzata annunciò ai giovinetti, scolari suoi, la grande sventura della patria, cadde sulla sedia e pianse. Che soffio di vita sopra quella scolaresca! Egli intanto si era raccolto, e, sebbene un pò tremante d’aver corso troppo, nel decennio della preparazione non tralasciò più di parlare dell’Italia, non uscì libro di versi o di prose scritto per la patria che non lo desse in iscuola a brani".
Nelle Noterelle di uno dei mille lo ricorda ancora:
"Oh frate Calasanziano maestro mio; cosa fai, in questo momento, nella tua cella, d’onde in quello scoppio del quarantotto, che noi sentimmo appena da fanciulli, l’anima tua di trovatore si lanciò fuori ebbra di patria? e quasi voleva andarsene dalla terra quel giorno del quarantanove orrendo, quando dalla cattedra dicesti ai tuoi scolari: fummo vinti a Novara !"
Ci narravano i più grandi, che il Padre maestro, dicendo così, era caduto sfinito e noi mirandolo per i corridoi del collegio, rapido, sempre agitato. fronte alta, capelli bianchi all’aria, e l’occhio in un mondo che egli solo vedeva, ci sentivamo mancar le ginocchia e pensavamo a Sordello, di cui, leggendoci Dante ci voleva infondere la gentilezza, la forza e lo sdegno
Fu lui, gran frate, che nel cinquantatre ci lesse nella scuola l’ode "soffermavi sull’arida sponda…"
Ora di quell’ode mi torna l’ultima strofa e l’accento con cui il padre leggeva: "dovrà dir sospirando io non v’era".
E a lui in questo momento, ritornando forse le immaginazioni di noi sette od otto scolari che siam qui; forse ricorda come ci faceva raggiar di collera, quando ci leggeva nel Colletta la morte del Caracciolo, o gli eccidi dei napoletani nel novantanove; forse dice che alle guerre di Sicilia ci preparò egli stesso".
Cairo il 26 maggio 1849 tributò il suo commosso omaggio a Carlo Alberto, quando questi vi transitò, mentre da Torino si recava all’esilio di Oporto nel Portogallo.
Giuseppe Cesare Abba nella sua opera, dal Conte di Carmagnola a Vittorio Emanuele, scrive " .... nel 1849 andando a spasso da fanciullo col padre mio, vidi passare una carrozza pel mio borgo nativo nell’alta Valle Bormida, con entro un gran mantellone grigio due gran baffi bianchi, due occhi che mi guardarono di sotto la visiera d’un berretto di militare+.
"Il Re! — esclamò—un vecchio capitano napoleonico che andava pochi passi dinanzi a noi;—deve essere accaduta qualche grande sventura!".
Era proprio Carlo Alberto che se ne andava dalla patria !
E noi non sapevamo ancora della battaglia di Novara, sebbene fosse stata con battuta già da tre giorni".
Verso la fine del secolo XIX gli antichi e male risolti problemi sociali politici ed economici portarono gran parte degli stati Europei all’insurrezione.
La scintilla scoccò nuovamente in Francia, che nel febbraio del 1848 insorse provocando l’abdicazione di Re Luigi Filippo e la proclamazione della seconda repubblica.
Con lo sviluppo dell’industria si diffusero anche in Italia le idee sociali fra le classi operaie.
Quest’ultime non avevano altre risorse se non le loro braccia e per effetto dello sviluppo della meccanizzazione vedevano incombere su di loro lo spettro della disoccupazione.
Le nuove idee, che ben presto provocarono la formazione di un raggruppamento politico, che si definiva "socialista" propugnavano una più equa distribuzione delle ricchezze e la partecipazione del popolo alla vita politica del paese.
Le rivolte e i moti che scoppiavano qua e là non erano più casi isolati di pochi fanatici; era la grande massa che scendeva nelle piazze invocando la libertà, indipendenza e riforme sociali.
Cairo, a quei tempi conduceva una vita di stenti in quanto, priva di risorse naturali, con il declino delle piccole industrie che si erano sviluppate negli anni precedenti, si trovò a dover fronteggiare la nuova situazione con i soli proventi dell’agricoltura, che essendo questa insufficiente ai bisogni locali, ai Cairesi rimaneva la sola alternativa dell’emigrazione.
La popolazione di 3.542 abitanti nel 1848, scese a 3484 nel 1858 (1).
Gli emigranti si dirigevano in gran parte nell’America.
La legione italiana formata da Garibaldi in difesa dell’indipendenza dell’Uruguay contro l’Argentina,, contò molti cairesi.
Alla battaglia di S. Antonio del Salto in cui 1’8 febbraio 1846 la Legione ottenne una grande vittoria, presero parte diciassette cairesi.
I loro nomi sono scolpiti nel marmo sulla lapide posta dall’Amministrazione Comunale nel 1947, sotto I arco di Porta Soprana (2).
In quegli anni, in Cairo, le famiglie preminenti vivevano divise da odi e da rancori.
Esse si contendevano con ogni mezzo il governo del Comune e gli uni
ostacolavano, talvolta con mezzi brutali, l’ingresso degli altri nel Consiglio Comunale.
In mezzo a tante tenebre, le parole di Giuseppe Cesare Abba e di altri uomini d’avanguardia del Borgo, furono altrettanti fari che riuscirono ad illuminare volenterosi giovani operai ed artigiani.
Questi si unirono ed il 1° aprile 1861 fondarono la Società Operaia di Mutuo Soccorso, che fu una tra le prime delle Langhe.
La fondazione della S.O.M.S., i cui fini fondamentali furono, l’assistenza economica e mutualistica, l’istruzione e l’attività ricreativa., è stata una grande conquista, del popolo cairese.
La cerimonia di inaugurazione fu una bella festa per tutto il borgo.
Ad essa i giovani operai ed artigiani parteciparono con l’entusiasmo e con la certezza di avere di fronte un domani con minori incognite.
Il merito di tali conquiste, oltre che all’Abba, è da attribuire pure ad altri valenti uomini primo fra i quali il notaio Raimondo Mellonio.
Seguì per Cairo un periodo di meritata tranquillità.
Con decreto del Re d’Italia Vittorio Emanuele II, (3) emesso in Torino in data 8 aprile 1863, il Comune di Cairo, che dal 1859 faceva parte della Provincia di Genova, fu autorizzato ad assumere la, nuova denominazione di Cairo Montenotte a ricordo della nota battaglia Napoleonica.
Il porto di Savona ebbe nei primi decenni del secolo XIX un enorme aumento di traffici.
La necessità di avere una adeguata via di comunicazione con il Piemonte si manifestò pertanto in tutta la sua esigenza.
La costruzione di una ferrovia che collegasse il porto di Savona con i paesi dell’entroterra era auspicata da tutti.
Il 5 giugno 1856, a Cairo, fu costituita una Commissione con il compito di provvedere alla formazione degli studi per la costruzione della strada ferrata per Acqui lungo la Valle della Bormida di Spigno, nonché di curare la realizzazione di tale ferrovia nel senso più favorevole al Comune di Cairo ed agli altri paesi lungo detta Bormida.
L’opera di tale Commissione si dimostrò indispensabile allorché i Comuni posti lungo la Valle della Bormida di Millesimo cercarono di ottenere la deviazione della ferrovia Savona - Torino a tutto loro vantaggio. La realizzazione della Ferrovia Savona Torino e ramo per Acqui fu decretata dal Re nell’ottobre del 1859.
Il 13 ottobre 1861 il Consiglio Comunale di Cairo deliberò di concorrere nella costruzione della diramazione per Acqui, con la somma di L. 10.000 da pagarsi alla Società costruttrice nel termine di sei anni.
Nel caso poi fosse attuata la variante studiata dall'ingegnere Bonelli, che prevedeva il nodo ferroviario anziché a San Giuseppe, ad una distanza non maggiore di 1 Km. dall’abitato di Cairo e cioè sul bivio Greppie o Valleggie, il Comune avrebbe concorso con la somma di L. 50.000 nonché avrebbe concesso, a titolo gratuito, tutti i terreni di sua proprietà che sarebbero stati interessati alla strada.
Il progetto governativo della diramazione per Acqui prevedeva che la strada ferrata, al suo partire dalla stazione principale di San Giuseppe, continuasse per qualche tratto lungo la sinistra del fiume Bormida e passasse poi sull’altra sponda in Località San Donato.
In sede di realizzazione del progetto fu però stabilito di far avvicinare la ferrovia al paese di Cairo, ove sarebbe sorta una stazione dotata di piano caricatore per poi proseguire e raggiungere il tracciato previsto dal progetto originario al disotto di Santa Caterina.
Il disegno di legge, relativo alla, costruzione della ferrovia per il Piemonte, fu votato alla Camera 1’11 luglio successivo.
Nello stesso anno la legge fu promulgata dal Re.
Dopo varie peripezie, conseguenti alla concessione accordata dal governo ad una Società Anonima, finanziata in gran parte da capitalisti inglesi, si giunse alla rottura del contratto, alla rilevazione da parte del governo dei lavori già eseguiti, nonché alla stipulazione di una nuova convenzione con la Società Ferroviaria dell’Alta Italia.
Intanto i lavori di costruzione della ferrovia, già iniziati dall’impresa Guastalla, furono ripresi.
Entro il 1870 doveva essere aperto il tratto Savona-Cairo ed entro 11 1871 il tratto Cairo-Acqui.
Finalmente dopo ansie e timori, nel 1874 le linee Savona-Torino e San Giuseppe-Acqui furono inaugurate fra l’entusiasmo della popolazione.
 Il 26 settembre il treno inaugurale parti da Torino alle ore 6 e giunse a Savona alle ore 18.
Il giorno dopo, domenica 27, il treno partì per Cairo-Acqui (4).
Ad ogni stazione il convoglio si fermava e le Autorità ricevevano il saluto della folla accorsa all’insolito spettacolo.
A Cairo, la costruzione dei ponte ferroviario sul fiume Bormida, suscitò molto scalpore in quei tempi.
L Amministrazione Comunale, diretta dal Sindaco Giuseppe Cesare Abba sostenne che l’impresa Guastalla ebbe a costruire tale ponte in modo da riversare le acque verso l’abitato. Al riguardo, pure il Consiglio Superiore dei lavori pubblici, in campo amministrativo, si occupò della questione e con voto del 9 marzo 1874 dichiarò che l’impresa doveva sottostare a tutte le spese per l’esecuzione delle opere di regolarizzazione dell’alveo del fiume e, se necessario, anche di quelle per il rifacimento del ponte.
Il comune di Cairo, sotto la spinta di Giuseppe Cesare Abba, nell’autunno del 1876 decise di nominare una Commissione, assistita da un ingegnere, cui fosse affidato l’incarico di studiare la questione del ponte.
Per Commissione fu designata la Giunta e venne scelto l’ingegnere Olivari.
La Commissione fece i suoi rilievi e la sua relazione. In base ad essa fu deciso di citare in giudizio l’impresa costruttrice per il grave pericolo che il ponte, nel modo in cui fu costruito, poteva rappresentare per I abitato.
Il Comune chiese quale risarcimento dei danni una cifra sufficiente ad eseguire i lavori necessari alla difesa del Borgo.
Dopo varie peripezie la Causa si concluse nel giugno del 1881 con una transazione .
La costruzione della ferrovia richiamò molte maestranze dalle Regioni vicine e portò un po' di benessere nel Comune di Cairo.
Gran parte della mano d’opera agricola fu assorbita dai lavori che diedero l’avvio al grande processo che portò alla trasformazione di Cairo da un paese: agricolo ad una città industriale.
Dopo alcuni anni di discreta tranquillità e benessere, a Cairo, nel 1884 scoppiò una terribile pestilenza.
Sul finire del mese di luglio, si manifestò il colera nella, frazione Vignaroli, portandovi strage e desolazione; di qui si estese poscia alla Borgata Bellini ed alla regione Valdermo.
In tale dolorosa circostanza le persone si distinsero prestando la loro opera e concorrendo coraggiosamente oltre ogni umano limite.
I Sanitari del comune, ed in modo particolare il dott. Gabitto, con spirito di abnegazione si trasferirono volontariamente nel centro infetto e prestarono zelante opera in soccorso degli infermi, sorvegliando costantemente e prescrivendo le misure igieniche del caso.
I militari della 5a compagnia del 473 reggimento di fanteria, che formavano il cordone sanitario, con lodevole abnegazione e coraggio sostennero le fatiche e disimpegnarono le loro attribuzioni.
Finalmente, dopo circa un mese, il morbo fu vinto e la meritata tranquillità ritornò nel Borgo.
A Cairo, negli ultimi anni del secolo, l’Amministrazione Comunale, rivolse le sue cure verso le opere pubbliche.
Le vecchie mura di cinta che, già nel 1829 furono qua e là smozzicate, vennero completamente demolite.
Con deliberazione del 4 dicembre 1889, la Giunta Municipale propose al Consiglio Comunale alcune importanti opere e lavori di risanamento igienico dell’abitato quali la costruzione di canali di spurgo nel recinto, la pavimentazione della via maestra,, la copertura del Rio Tanarello e la demolizione del muro dell’antico gioco del pallone,
 In questo periodo, essendo state le aree libere del recinto totalmente occupate da fabbricati, fu espropriata e lottizzata, a Nord, una grande superficie di terreno destinata poi all’edilizia che prometteva un discreto sviluppo .
Sorse così, a poco a poco, il quartiere di Cairo Nuovo, disposto secondo un piano che ripeteva lo schema a scacchiera della parte vecchia del paese.
Il quartiere vecchio e quello nuovo furono divisi da una vasta piazza alberata che sorse in seguito alla copertura del rio Tanarello ed allo spianamento del suolo circostante
La fine del secolo XIX presenta Cairo avviato verso quelle attività commerciali ed industriali, che, favorite dalla posizione e dalle vie di comunicazione, operarono una radicale trasformazione negli usi e costumi stessi della popolazione.
Il nuovo secolo iniziatosi sotto i migliori auspici, segnò una drammatica svolta verso i primi mesi.
Nei giorni 28 e 29 settembre 1900, infatti, una disastrosa alluvione funestò il Borgo di Cairo.
L’acqua, rigurgitando paurosamente, allagò il recinto ove raggiunse, ed in alcuni punti superò il metro di altezza. La scritta "MCM die XXIX septembris, Bulmidum huc advenit" sulla facciata della Chiesa, ci ricorda il livello raggiunto dall’acqua. Gli abitanti, sorpresi dalle acque sul far della sera del giorno 28, rimasero assediati nelle loro case e solo il coraggio ed il sangue freddo di alcuni cittadini valsero a scongiurare mali maggiori.
In questa occasione si rinnovarono gli atti di coraggio e l’abnegazione verificatisi al tempo del colera dei Vigneroli.
Alcuni volenterosi infatti, mossi da nobili sentimenti, non esitarono a lanciarsi a nuoto nella vorticosa e rapida corrente al fine di salvare gli abitanti assediati nei piani terreni delle case del Borgo e trarre a riva malcapitati cittadini sorpresi dalle acque.
Un fatto degno di menzione avvenne a S. Giuseppe.
Certi Daviola Lorenzo di anni 40 e Fascio Romolo di anni 17, trovandosi nella campagna in prossimità del fiume, furono improvvisamente sorpresi dalle acque straripanti del Bormida, e per porsi in salvo, furono costretti ad arrampicarsi su di un albero. Alcuni volenterosi, accorsi alle invocazioni di aiuto, dopo aver tentato invano di raggiungere i due poveretti per mezzo di una zattera di fortuna, si avventarono a nuoto per circa 500 metri nella rapida corrente, profonda in alcuni punti oltre due metri, e, dopo una drammatica lotta, riuscirono a porre in salvo i due malcapitati (5).
Nella dolorosa circostanza il Prefetto della Provincia di Genova accorse premurosamente nel Borgo a distribuire i primi soccorsi del Governo.
L’Amministrazione Provinciale e le autorità tutte inviarono sussidi ed aiuti che contribuirono a lenire le sofferenze dei più danneggiati e dei meno abbienti.
Dopo la triste esperienza, gli Amministratori del Comune vollero ricercare le cause dell'inondazione .
Le relazioni di esperti, all’uopo interpellati, confermarono il generale convincimento che il ponte dell’allora strada provinciale fosse una delle cause principali del disastro.
Esso infatti, con le massicce sue sei pile e le arcate molto basse, ne; giorni dell’uragano, si trasformò in un vero e proprio sbarramento provocando uno spaventoso rigurgito che sorpassò lo stesso piano stradale ed inondò il borgo.
Fu deciso, pertanto di presentare all’Amministrazione Provinciale dl Genova un ricorso tendente ad ottenere la modifica del ponte onde eliminare il grave pericolo che incombeva sul paese.
In esito a tale ricorso l’Amministrazione Provinciale nel 1906 costruì l’attuale ponte in cemento armato a cinque campate.