Il nostro fiume agonizza, andavano predicando gli osservatori più attenti: in breve diverrà come il Lambro, il Tevere o l'Olona, un fiume morto. Le selve dei nostri monti scompariranno, e non sarà solo per colpa delle piogge acide o degli incendi terrificanti, male cronico delle estati liguri su questa e l'altra delle due Riviere. C'è un esbosco dissennato che bisogna frenare fin che ne siamo in tempo. C'è da bloccare il prelievo massiccio, operato con devastanti mezzi meccanici, del materiale organico della foresta, prima che si perda per sempre quel portentoso serbatoio d'acqua piovana, fonte di vita per una quantità di specie minori, costituito dallo strato di humus. C'è da mettere in riga, col buonsenso e con regolamenti appropriati, tutta quella gente che penetra nelle zone boschive, un tempo selvagge, e ne saccheggia le risorse del suolo o le deturpa con le immondizie e i solchi del motocross.
Nasceva così sul finire di quell'anno, a Cairo Montenotte, un movimento spontaneo che dalle lamentele e dalle sterili constatazioni di fatti decise di passare all'azione concreta. Animatore, il naturalista Franco Zunino, tecnico del Parco Nazionale d'Abruzzo e collaboratore del WWF. Attorno a lui poche persone all'inizio, che si faranno però nel tempo sempre più numerose: 39 nel 1976, 75 nel 1978, 92 tre anni dopo, 392 alla fine del 1988. Tutte fermamente intenzionate a difendere a oltranza gli ambienti e i fenomeni naturali più rappresentativi della loro regione, la cui perdita avrebbe significato un inaccettabile impoverimento materiale e culturale.
Il gruppo si diede la denominazione di "Comitato per la Salvaguardia dell'Ambiente Naturale delle Valli Bormida" e prese a simbolo il frutto del castagno e i tre rami del fiume già malato, quelli di Mallare, Pallare e Millesimo. L'atto di costituzione legale fu firmato il 13 gennaio 1976 presso il dottor Lasagna, notaio in Carcare, e finalmente il 31 gennaio 1980, a conclusione della solita e lunga trafila burocratica e a riconoscimento del lavoro già svolto per la protezione della natura, arrivò con la delibera 493 della Giunta Regionale della Liguria l'attribuzione della personalità giuridica.
Gli obiettivi del Comitato, specificati con molta precisione nello Statuto, meritano di essere ricordati per la globalità degli interventi che sottintendono: protezione del paesaggio, conservazione e riqualificazione degli ambienti di alto valore naturalistico ed estetico; tutela della fauna, riqualificazione e razionale sfruttamento delle risorse venatorie; conservazione e valorizzazione delle antiche attività agro-silvo-pastorali, dell'architettura rurale e delle opere di valore storico; educazione al rispetto e alla conoscenza della natura. Un programma, dunque, assai articolato che, nella sostanza, non si limita a imporre un alt all'opera di distruzione, ma impegna a ricostituire ciò che è stato distrutto, a rivalutare ciò che è stato deprezzato per insipienza, egoismo, o anche solo per becera stupidità.
Molte benemerenze ha già acquisito il Comitato pur in questi pochi anni di attività puntuale, pugnace, caparbia, svolta in condizioni affatto facili in un'area che resta nell'occhio del ciclone in tema di inquinamento. Una, in particolare, è doveroso sottolineare in questa sede: si deve principalmente al Comitato l'individuazione di una zona degna di tutela per le sue eccezionali peculiarità geologiche, fieristiche e faunistiche nell'ambito della vasta proprietà della 3M Italia facente capo allo Stabilimento di Ferrania.
La proposta di istituire una Riserva naturalistica nel bacino del Rio Ferranietta viene avanzata quasi subito, è uno dei primi interventi del neo-costituito Comitato, che si muove insieme con la dirigenza del WWF italiano. La 3M l'accoglie con entusiasmo, perché nonostante le ingiuste accuse di cui proprio in quegli anni è fatta oggetto non dimentica di avere tra le sue finalità la promozione della qualità della vita. Anzi, garantisce formalmente di darne un seguito.
Il 15 novembre 1976, con atto scritto indirizzato alle due associazioni, non solo definisce i limiti territoriali della zona da sottoporre a protezione, ma ribadisce anche a quale regime intende vincolarla. "Tale zona", si legge nel documento, "ha un'estensione di circa 140 ettari e insiste per intero su due biotopi di particolare interesse naturalistico: Rocca dell'Adelasia e Costellasso, quest'ultimo per la parte rientrante nei termini della proprietà. Le linee di confine si sono fatte coincidere con riferimenti naturali di facile individuazione sul terreno, e cioè, a nord, con lo spartiacque che segna il limite di confine della proprietà 3M a est, con il prativo di Cascina Miera e con il piccolo torrente sottostante che più a valle prende il nome di Rio Psigni; a sud, con la strada carrareccia Casa Berruti-Cianetto; a ovest, con il Rio Cianetto". Con questa iniziativa, precisa la 3M si vuole "promuovere un esperimento di sviluppo naturale delle risorse forestali". Quindi ci si "asterrà da tagli per lo sfruttamento economico delle risorse boschive", riservandosi tuttavia di "effettuare tutti gli interventi selvicolturali che le leggi statali o regionali, in vigore o future, ovvero particolari prescrizioni delle Autorità tutorie dovessero imporre".
È questo, in pratica, l'atto di nascita della Riserva naturalistica dell'Adelasia che è stata inaugurata con l'apertura al pubblico nel settembre 1989. Il tempo trascorso dal lancio dell'idea alla sua attuazione pratica è stato obiettivamente lungo. Lungo e diciamo pure travagliato, con gli ambientalisti che premevano sull'acceleratore, da una parte, alcuni episodi di danneggiamento e taglio di alberi, dall'altra, e, sullo sfondo, una situazione generale di degrado per l'intera vallata cui non si vedeva come porre riparo. Tuttavia il tempo non è trascorso invano: ha consentito una maturazione piena dell'iniziativa originaria, ha fatto prendere coscienza a tutti i livelli della delicatezza dell'impegno che si stava per assumere, ha permesso di destinare le necessarie risorse finanziarie per concretare al meglio ciò che significa concedere una parte del proprio patrimonio immobiliare alla collettività affinché ne possa liberamente fruire nel pieno rispetto dei valori ambientali. Soprattutto, ha permesso di estendere via via il territorio destinato a Riserva, del quale, ci sembra opportuno aggiungere, era preliminarmente necessario effettuare una mappatura precisa e circostanziata: la superficie protetta è ora di circa 450 ettari, più del triplo di quella inizialmente indicata. E già è allo studio un ulteriore ampliamento.
Della Riserva dell'Adelasia questo libro vuole descrivere tutte le valenze naturalistiche più significative, di modo che il visitatore possa prepararsi, leggendolo, a godere le molte bellezze che l'ambiente gli offrirà. Non solo: l'area protetta viene inquadrata, geograficamente ma anche per quanto riguarda il suo cammino storico, nel più vasto comprensorio dell'alta Val Bormida, che sotto entrambi i profili è ricco di interesse. L'hanno compilato ricercatori e studiosi liguri, alcuni anche assai giovani: tutti spinti da un grande amore per la natura e per la conservazione del patrimonio culturale di questa terra. Le fotografie della Riserva sono di Gian Paolo Cavallero, autore di molte pubblicazioni illustrate e di innumerevoli reportages giornalistici, appassionato anche lui di tutto ciò che di bello ancora ci circonda.
Sia infine consentito a chi redige queste note, chiamato a collaborare alla realizzazione del progetto Adelasia e a ideare il volume, di plaudire all'iniziativa protezionistica della 3M Italia, davvero rara avis a questo riguardo nel panorama industriale italiano. E di formulare un augurio: che l'esempio venga presto seguito da altri. Così che possa divenire realtà sempre più concreta l'utopia di ieri: riuscire a coniugare le leggi impietose dello sviluppo economico-industriale e del progresso civile con quelle, ferree e ineluttabili, della natura.