Riserva naturalistica dell'Adelasia
Quarta parte – Secondo Francesco Cesarini
Il fiume Bormida e la sua valle
Se si parte dalla considerazione che lo sviluppo totale del corso del Tanaro
è di circa 275 chilometri e che questo fiume è, per portata,
il maggior affluente di destra del Po, mentre lo sviluppo totale della
Bormida di Mallare è di soli 20 chilometri con una portata media,
misurata a Ferrania, di circa un metro cubo e mezzo al secondo, verrebbe
da pensare che tale corso d'acqua sia ben poca cosa nel grande bacino del
Po e che quindi non valga la pena di dedicarvi attenzione. Ma così
non è, perché le caratteristiche generali di questa valle,
che nasce e finisce in provincia di Savona, sono del tutto particolari,
tanto dal punto di vista idrologico quanto sotto il profilo geologico.
Il bacino imbrifero della Bormida di Mallare, dalle zone sorgentifere
a est del Monte Settepani (1386 metri) fino alla confluenza a San Giuseppe
di Cairo con la Bormida di Pallare, è di circa 60 chilometri quadrati
ed è quasi interamente compreso nei territori dei Comuni di Mallare,
Altare e Cairo Montenotte. Piuttosto stretto e molto boscoso nell'alto
corso, si apre poi gradatamente verso Ferrania, mantenendo sempre ampie
le peculiarità vegetazionali, poiché da Altare in poi entra
nell'importante "bosco" di Savona, molto noto fin dai secoli passati. Tutto
questo territorio forma come un grande arco che, partendo da Bardineto
attraverso Calizzano, Osiglia, Bormida e Mallare, giunge fino ad Altare,
rimanendo interconnesso con il Comune più importante dell'entroterra,
che è quello di Cairo Montenotte.
I confini geografici del bacino sono: a nord, la Valle della Bormida
di Millesimo e la Valle della Bormida di Spigno; a sud, le Valli del Marèmola,
del Porra e dell'Aquila; a ovest, la Valle della Bormida di Pallare e ancora
la Valle della Bormida di Millesimo; a est, le Valli del Quiliano e del
Letimbro. I due corsi della Bormida di Pallare e della Bormida di Mallare
hanno connotazioni abbastanza simili dal punto di vista naturalistico e
sono ambedue orientati da sud-ovest verso nord-est. Le aree di gravitazione,
facilitate da una discreta rete viaria che dev'essere però migliorata,
sono da un lato verso Cairo Montenotte e dall'altro verso Savona.
La Bormida di Mallare
Relativamente alla provincia di Savona, per delimitare la linea di spartiacque
fra i versanti litoranei e quelli padani, rappresentati in questo caso
dai bacini della Bormida, dobbiamo partire dalla Rocca Barbena a sud-ovest
e giungere alla Bocchetta di Cadibona a nord-est, attraverso il Monte Carmo;
raggiungere quindi il Bric Bedò, il Bric Tortagna nei pressi del
Colle del Melogno e il Monte Settepani, a nord, da cui in gran parte originano
le Bormide; dirigere poi verso est, toccando il Piano dei Corsi e il Monte
Alto; e ritornare a nord verso il forte di Cadibona.
La zona che ci interessa è quella attorno al Piano dei Corsi
e al Monte Alto, dalla parte dei versanti padani in cui nascono i corsi
sorgentiferi della Bormida di Mallare. Vediamoli quindi in dettaglio. Siamo
a nord-est del Settepani, orientati sul Piano dei Corsi, spartiacque con
i torrenti della fascia marittima: Carbuta, Benso, Canterrana, Porra e
Aquila. Fra il Bric dei Pinei, la Madonna della Neve e il Bric Quoggie,
in località Fobè, si forma con l'apporto di piccoli corsi
d'acqua il rio omonimo. In località Serralunga il Fobè confluisce
con il Rio Cravarezza che discende dalla località e dalla colla
omonime (con un percorso di circa 3250 metri), dando vita alla Bormida
di Mallare. Le acque hanno un discreto grado di purezza e buone caratteristiche
di potabilità, e vennero già utilizzate con captazioni nelle
zone di subalveo per rifornire alcuni acquedotti civili.
La Bormida di Mallare, percorsi circa tremila metri, fra località
Grenni e la Casa del Grillo, dopo Mallare in direzione di Altare, si arricchisce
del Rio Biterno, che nasce fra la Colla di Praboè e la Colla di
San Giacomo e scorre alle falde del Monte Alto. Il Biterno, prima della
confluenza con la Bormida di Mallare, riceve sulla destra il Rio di Foscuri,
che scende dalla Colla La Tagliata, e sulla sinistra, in località
Eremita, il Rio di Cagnazzo, che scende dal Giovasso e corre tra i boschi
per circa duemila metri, mentre il Biterno scorre poi per circa mille metri
in mezzo a zone coltivate. Poco dopo, la Bormida di Mallare riceve da destra
il Rio Rocchino, che nasce alle falde del Bric Narocca e la raggiunge dopo
mille metri scorrendo in una breve valle piuttosto impervia. Dopo circa
tremila metri, percorsi in una zona di fitta vegetazione, nei pressi del
confine con il comune di Altare riceve le acque del Torrente Consevola
che nasce ai piedi del Monte Alto da diverse sorgenti limpide e fresche,
arricchito dall'apporto di alcuni rii, fra cui il Roggiolo. Il Consevola
ha un percorso di poco superiore ai 6 chilometri, la maggior parte dei
quali si snoda in zone boscose e la parte finale, nelle vicinanze della
Bormida, fra campi coltivati.
Già in territorio di Altare, la Bormida di Mallare riceve il
Rio Fossale, che discende dalle falde settentrionali del Monte Burot con
un percorso di circa 3500 metri, di cui un quarto a monte fra boschi e
tre quarti a valle fra campi e terreni un tempo vignati. Dal punto di vista
geografico, la zona è di enorme interesse perché sopra Altare
si trova il vertice più basso degli Appennini, ben noto a Napoleone
che seppe approfittarne per espandersi nel Piemonte con la famosa battaglia
di Montenotte. Vicino a Ferrania, dove sorge l'ampia zona industriale dello
Stabilimento per prodotti fotosensibili della 3M Italia, vi è la
confluenza con il Rio Prasecco che attraversa la vasta tenuta dei marchesi
de Mari, un tempo molto curata. Il Prasecco ha origine dai versanti occidentali
del Melo Nuovo e riceve il Rio di Fornelli che discende dalla località
Marazzi ed ha un percorso complessivo di oltre 5 chilometri fra ampi boschi
e, nelle vicinanze di Ferrania, fra campi e prati.
Tra gli affluenti principali, dopo il Rio dell'Uomo Morto che nasce
dal Bric omonimo nella Valle del Letimbro, uno degli ultimi è il
Rio Ferranietta che raccoglie le acque di un ampio anfiteatro, delimitato
all'incirca da ovest a est dal Bric Cravetta, dal Bric degli Scaglioni,
dal Bric Curlino e dal Bric del Tesoro, ed è formato dalla confluenza
dei Rii del Martinetto, Psigni, Cianetto, della Grinda, della Rama e del
Manchetto. Prima di unirsi alla Bormida di Pallare riceve ancora sul versante
sinistro il Rio Valealda e, sul destro, il Rio di Toni. A San Giuseppe
di Cairo, dove le due Bormide di Pallare e di Mallare si riuniscono per
formare la Bormida di Spigno, la seconda ha percorso circa una ventina
di chilometri. Dove nasce il Ferranietta, a nord-est, in direzione del
Costellasso e del Bric del Tesoro, la zona è direttamente interconessa
con la Riserva 3M dell'Adelasia, sulla quale ci soffermeremo in seguito.
Dagli annali idrologici del 1942, pubblicati nel 1950 dal Ministero
dei Lavori Pubblici, Servizio Idrografico, rileviamo che la Bormida di
Mallare a Ferrania ha avuto dal 1935 al 1941 la seguente portata media
espressa in metri cubi al secondo:
-
Gennaio: 1,890
-
Febbraio: 2,290
-
Marzo: 3,130
-
Aprile: 2,380
-
Maggio: 2,550
-
Giugno: 1,580
-
Luglio: 0,443
-
Agosto: 0,190
-
Settembre: 0,638
-
Ottobre: 1,290
-
Novembre: 3,680
-
Dicembre: 1,810
L'idrometro di Ferrania è in sponda destra, il bacino di dominio
è di circa 49,5 chilometri quadrati, la distanza dalla foce con
la Bormida di Spigno è di circa 3,5 chilometri. La massima portata
si è avuta il 1° novembre 1937 con 600 metri cubi al secondo,
la minima il 15 agosto 1935 con 0,060 metri cubi al secondo. In tempi più
vicini a noi, gli scostamenti delle portate, a detta degli specialisti
dell'Ufficio Idrografico del Po, sono trascurabili.
Il corso della Bormida di Mallare è quasi parallelo a quello
della Bormida di Pallare. Nel Comune di Mallare, dopo gli apporti dei diversi
affluenti cui abbiamo accennato, si forma la valle principale in terreni
carboniferi, dove il fiume scorre con un andamento lievemente meandriforme,
fino a ricevere gli altri importanti apporti nella zona di Ferrania e di
Piansottano. L'alimentazione è mista: pluvionivale. Le portate,
com'è evidenziato nella tabella, registrano due massimi: in marzo
(quando si sommano gli effetti delle intense precipitazioni e dello scioglimento
delle nevi) e in novembre (allorché si ritrae l'anticiclone e arrivano
le perturbazioni atlantiche). La portata minima, che si rileva in agosto,
ha una durata media di 70-80 giorni.
Nel complesso, la Bormida di Mallare ha un corso abbastanza regolare
per cui, in caso di piene, i danni arrecati non sono notevoli, anche se
in passato, ma raramente, sono state travolte piccole opere realizzate
dall'uomo in difesa di coltivazioni poste in prossimità dell'asta
e abitazioni che una volta venivano forse costruite senza fare molti studi.
I pendii, specie nelle zone sorgentifere, fino alla piana di Mallare, sono
piuttosto ripidi e in generale, come già avviene nel contiguo bacino
di Pallare, sono coperti da un buon mantello vegetale che svolge funzioni
essenziali per il contenimento dei terreni.
La pianura alluvionale, che da Ferrania continua e si espande dopo
la confluenza fra le due Bormide, è ancora oggi fertile e lussureggiante
di vegetazione, sebbene gli insediamenti industriali, risalenti in gran
parte ai primi decenni di questo secolo, abbiano cambiato in maniera consistente
il panorama dei luoghi.
La situazione geologica
Nella scala dei tempi geologici, gli studiosi localizzano la Liguria occidentale
nelle Ere Paleozoica e Secondaria, o Mesozoica. Nel bacino della Bormida
di Mallare vi sono ampie zone relative al Periodo Carbonifero.
La sommità degli Appennini al di sopra di Altare è interamente
formata da rocce cristalline composte di quarzo e di feldspato bianco che,
scomponendosi, dà origine a terra argillosa rossastra. Sempre nelle
vicinanze di Altare, specialmente sopra la montagna Castellano, si trovano
ancora tracce di sabbia micacea biancocreta a grana fine, già adoperata
per la produzione del vetro dai maestri vetrai di Altare.
Da tempo sono stati rilevati in questa parte della Liguria terreni
carboniferi che si compongono principalmente di scisti grigi cupi ardesiani
e nerastri, di arenarie grigie micacee, massicce o laminate in modo da
assumere aspetto gneissico, di puddinghe a elementi quarzosi più
o meno sviluppati, talora arrotondati, talora schiacciati e laminati, in
impasto scistoso-arenaceo, di scisti grigi talcoidi, lucenti, zigrinati,
ora a struttura minuta, uniformi, ora chiazzati e nodulosi, di scisti grigio-verdastri,
sericitici, cloritici e quarzosi, con l'aspetto di micascisti, oppure fettucciati,
ondulati, a struttura gneissica. A queste rocce, che si riscontrano quasi
identicamente nel Carbonifero alpino, altre se ne uniscono in Liguria di
origine probabilmente eruttiva e di natura porfirica, abitualmente collegate
con forme tufoidi e con scisti porfirici, cui si aggiungono talvolta rocce
anfiboliche e serpentinose. Terreni carboniferi affiorano nelle valli di
Calizzano, Osiglia, Bormida e Mallare. Soffermiamoci brevemente su questi
ultimi, che rientrano nella zona di nostro interesse.
Da Osiglia, passando nella Valle di Mallare al colle della Baltera,
la massa si raccoglie rovesciandosi interamente a sud. Da qui, seguitando
verso Mallare e San Lorenzo, si espande e si deprime per immergersi sotto
gli scisti permiani. Questa depressione tettonica della Valle di Mallare
dà luogo a un vero e profondo sinclinale nella porzione occidentale
della massa carbonifera, dove è segnata da lembi di scisti permiani
variamente estesi, di cui uno costituisce la vetta della Rocca del Morte,
mentre altri si trovano sul fondo della Valle di Osiglia e sul poggio del
Castello di Mallare.
Discendendo il Rio Cravarezza dalla Ferriera di Codevilla, in prossimità
dell'abitato omonimo di Fucine e di Mallare, si incontrano in molti punti
scisti neri carboniferi in strati sottili fra le altre rocce scistose o
puddinghe: non si scorge però alcun affioramento di carbone. In
passato, nei pressi di Vernetti fino a nord-ovest di Fucine, è probabile
che se ne sia trovato uno piccolo: adesso tuttavia non si può più
scorgere nulla perché gli scavi fatti allora sono franati e ricoperti
da materiali diversi. Affioramenti più regolari ed estesi si trovano
invece nella valle del Torrente Biterno e dei suoi affluenti. A valle di
Mallare sul Rio Chiarini vi è un affioramento di carbone della potenza
di circa 0,60 metri in direzione nord-est, fra scisti neri. Procedendo
più a valle si incontra nel Rio Oliano un altro affioramento di
carbone, comprendente uno strato principale e vari straterelli di pochi
centimetri di spessore. Pochi metri sopra la strada di Mallare si vede
ancora una vecchia discarica appartenente a una galleria completamente
franata e che si dice avesse una lunghezza di 100 metri. La lente di carbone
è molto ristretta, ha una potenza limitata ed è tormentata
da ripiegature e isterilimenti. In questa e in altre zone i lavori di ricerca
vennero effettuati negli anni 1890-1895, dopo di che furono abbandonati.
Poco a nord di Casa Rena, presso San Lorenzo, ai terreni carboniferi succedono
i permiani e non si ha più alcun affioramento.
Dallo spartiacque della Bormida di Pallare, fino alla zona sorgentifera
della Bormida di Mallare, sono presenti scisti gneissici permiani, ai quali
si affianca, sul versante sinistro, in prossimità della Bocchetta
di Cadibona, un lembo di scisti cristallini antichi.
Riguardo alla qualità dei terreni dal punto di vista produttivo,
le aree costituite dalle rocce perma-carbonifere poco si prestano alla
formazione di buoni terreni agrari e, solo quando gli affioramenti scistosi
sono molto alterati, possono sviluppare una discreta vegetazione forestale.
Le rocce granitoidi e porfiriche danno origine a terreni sabbiosi o pietrosi
di scarso spessore, sui quali attecchiscono solamente piante forestali.
I terreni alluvionali costituiscono invece le zone con le migliori condizioni
per le colture agrarie, in quanto offrono terreni sciolti, facili da irrigare
e con agevoli vie di comunicazione. In genere, però, sono limitati
a strisce non tanto ampie lungo i corsi d'acqua.
Sotto il profilo economico, non esistono miniere in fase di sfruttamento:
al contrario, sono numerose quelle abbandonate nelle zone di Bagnasco,
Calizzano, Osiglia, Mallare e Murialdo. In particolare, nei pressi di Bagnasco,
si estraeva la lignite dagli interstrati della porzione marnosa della cosiddetta
Formazione di Molare. La buona qualità del materiale ha più
volte incoraggiato lo sfruttamento dei giacimenti di questa zona. Le coltivazioni
effettuate nel secolo scorso, e poi ritentate durante il primo conflitto
mondiale, sono state tuttavia abbandonate perché economicamente
non convenienti. Il limitato spessore di lignite utile (30-40 centimetri
al massimo, nei casi più fortunati) e la discontinuità, dovuta
in parte alle originarie condizioni di deposizione e in parte a fenomeni
tettonici, rendono problematica l'estrazione.
Dalle numerose miniere abbandonate, impostate sul Carbonifero, nelle
zone di Calizzano, Osiglia, Mallare e Murialdo, venivano estratte in passato
antracite e grafite. L'andamento lenticolare dei giacimenti sfruttati,
caratterizzati da frequenti variazioni di potenza, e la piccola estensione
delle lenti di minerale non hanno però consentito la formazione
di importanti miniere con produzione forte e continua, ma soltanto quella
di piccole coltivazioni. Le antraciti, del resto, erano di tipo poco pregiato,
o addirittura scadenti. Si trattava di materiali fragili, che generavano
molto detrito polverulento, con potere calorifico modesto. Il residuo delle
ceneri era poi sempre assai alto, solitamente entro valori compresi tra
il 20 e il 40 per cento, e anche oltre. Di un certo pregio era invece la
grafite coltivata nella miniera a nord-est di Riofreddo, nei dintorni di
Murialdo: di questa, infatti, si è continuato lo sfruttamento fino
agli anni Sessanta.
Le caratteristiche climatiche
Premesso che il bacino della Bormida di Mallare costituisce una zona di
transizione tra l'Appennino Ligure e la Langa propriamente detta, si deve
notare che il settore tra la Bormida di Spigno e l'Erro (situato più
a est) mostra rapporti così stretti con le Langhe da rappresentare
una naturale fascia di passaggio tra quel sistema collinare e l'Appennino
vero e proprio. Da ciò derivano condizioni climatiche particolari
che si riflettono anche, come vedremo in seguito, sullo sviluppo della
vegetazione.
La posizione del comprensorio, la direzione delle valli e l'assetto
orografico spiegano l'esistenza di un clima diverso da quello dei territori
confinanti, a levante, con i versanti marittimi e, a ponente, con il bacino
del Tanaro. L'influenza del mare è infatti profondamente attenuata
dalla barriera montuosa compresa tra la Rocca Barbena e il Colle di Cadibona,
ma non è del tutto eliminata, sicché si conferma che il clima
ha caratteri di transizione tra quello marittimo e quello padano.
Il regime termico presenta una discreta escursione annua. A Murialdo,
Osiglia e Mallare la temperatura media annua varia da 6 a 15° C circa.
La minima si mantiene al di sotto di 0° C nel periodo novembre-marzo,
mentre la massima supera in media i 20° C tra marzo e ottobre.
Le precipitazioni costituiscono l'elemento climatico più importante,
sia dal punto di vista fisico che da quello antropico. Il territorio è
interessato dalle isoiete comprese tra i 1000 e i 1200 millimetri. In particolare,
l'isoieta di 1000 millimetri sfiora i limiti meridionali del comprensorio,
poiché segue all'incirca l'andamento della Statale 29, passando
per Altare e Carcare. L'isoieta di 1100 millimetri interessa la parte settentrionale
e riguarda in particolar modo i territori di Bardineto, Mallare e zone
vicine.
Quella di 1200 millimetri si snoda poco più a sud e si innesta
nel bacino della Bormida di Spigno, nel quale interessa quasi tutto il
fondo vallivo e una parte dei bassi versanti. Le precipitazioni aumentano
quindi da valle a monte e raggiungono i valori più elevati nelle
aree di displuviate e in altre particolarmente favorite da condizioni ambientali.
Le medie trentennali del Ministero dei Lavori Pubblici (1921-1950) assegnano
ad Altare e Mallare 1100 millimetri annui, mentre a Calizzano si sale a
1200. La valle di Murialdo è contraddistinta da precipitazioni ancora
più accentuate: la media trentennale risulta di 13001400 millimetri
l'anno.
L'andamento pluviometrico mostra la tipica concentrazione delle precipitazioni
nei mesi primaverili e autunnali. In tutto il comprensorio si registrano,
infatti, due periodi di piogge intense: l'uno esteso da marzo a maggio,
l'altro da settembre a novembre, dovute a masse d'aria atlantiche, fredde
e umide, che provengono da ovest e da nord-ovest. Gli effetti delle masse
d'aria provenienti dai quadranti meridionali sono qui alquanto più
attenuati che nei versanti marittimi a causa del baluardo frapposto dai
rilievi. In ogni caso, soprattutto in inverno primavera, è frequente
l'incontro di masse d'aria atlantiche in corrispondenza dei gruppi montuosi
del Carmo e del Settepani: ne derivano precipitazioni solitamente nevose
piuttosto abbondanti e concentrate in pochi giorni. Particolari condizioni
di correnti aeree si verificano nel basso bacino fra Mallare e Altare,
dove la coltre nevosa è in genere più spessa che nelle altre
zone, perdurando da dicembre a febbraio. La Bormida di Mallare e i suoi
affluenti risentono in misura discreta dello scioglimento delle nevi.
La brina si ha in gran parte nelle nottate serene di novembre-dicembre
e gennaio-febbraio (qualche volta anche in marzo). Anche quando la temperatura
non raggiunge punte accentuate sotto lo 0° C, durante la notte si toccano
spesso i valori utili a far gelare la rugiada, e quindi la brina ricopre
di un velo piuttosto sottile, bianco-grigio, gli alberi e i campi. La brina
è invece persistente e più densa quando la temperatura tocca
punte massime di freddo e indurisce col gelo la crosta superficiale del
terreno. Spesso, dopo le piogge, si vede la calaverna (brina o nebbia che
cristallizza sugli alberi e sulle foglie formando qualche volta aghi di
ghiaccio): le gocce minuscole congelano al primo contatto col terreno,
con le erbe, con i piccoli cespugli, con i rami delle piante spogli di
foglie, oppure cadono nell'aria gelata, trasformandosi in laminelle di
ghiaccio. In alcuni casi il fenomeno dà luogo a uno spettacolo piuttosto
suggestivo, perché gli alberi sembrano fasciati da un rivestimento
di cristallo. Talvolta, nei periodi di forti nebbie, che nel bacino della
Bormida di Mallare non sono molto Frequenti, ma si formano a causa della
scarsa ventilazione nei fondi vallivi quando l'aria è gelida, è
la stessa nebbia ad alimentare la calaverna.
Per liberare le strade interne (quasi tutte provinciali) dalla neve,
la Provincia e i Comuni hanno predisposto da tempo un'efficiente organizzazione
che provvede a sgomberare le vie di comunicazione: quindi, sotto questo
punto di vista, non si hanno inconvenienti, mentre bisogna fare molta attenzione
per i pericoli che possono derivare dal ghiaccio e dalla formazione di
piccole chiazze d'umidità che gelano, specie nei punti esposti a
nord.
Nel suo complesso, la valle della Bormida di Mallare occupa una posizione
di transizione tra il clima mediterraneo e quello submediterraneo, da un
lato, e il clima subcontinentale, dall'altro. Questa posizione è
più pronunciata sulla destra orografica, sul succedersi della displuviate
che separa la Bormida di Millesimo dalla Bormida di Spigno. Infine, per
quanto riguarda i venti, la direzione dominante è quella da nord-est
a sud-ovest durante l'inverno, e viceversa durante l'estate.
La vegetazione
Nella grande valle del Po, il bacino della Bormida di Mallare è
ben piccola cosa, ma pure nell'esiguità del territorio alcune considerazioni
vegetazionali e geografiche hanno una loro propria importanza. In primo
luogo occorre ricordare che qui abbiamo una caratteristica geografica la
cui rilevanza supera abbondantemente gli angusti limiti dell'area: il Passo
di Cadibona o Bocchetta di Altare, percorso dalla Statale Ceva-Savona.
Un esame attento della costituzione geologica, e specialmente della orografia,
ha fatto adottare la Bocchetta di Altare come termine delle Alpi e inizio
dell'Appennino, perché qui si hanno la depressione orografica più
pronunciata (450 metri) e la più decisa flessione degli assi riscontrabile
in tutta la zona montana contermine.
Da queste peculiarità discende una certa ricchezza di vegetazione.
Il vigneto, il campo e il prato, con il graduale abbandono di molte attività
agricole - la cui fase acuta è oggi comunque fortunatamente in via
di esaurimento - hanno lasciato il posto allo sviluppo del bosco, in una
regione già in passato fittamente coperta di verde. Un tempo il
bosco aveva anche una buona importanza economica: oggi, con l'avvento di
nuove fonti di energia, questo interesse in gran parte si è ridimensionato
e al bosco è rimasto solo un valore naturalistico. È noto
infatti che i boschi influenzano la frequenza delle piogge, specie in estate,
e modificano la temperatura del suolo e dell'aria, abbassando il calore
estivo e mitigando di qualche grado il freddo invernale.
Nelle zone dei versanti sorgentiferi, la fascia del pino marittimo
lascia gradatamente il posto alle abetaie miste, con sporadiche essenze
di leccio, quercia, tarpino, orniello e rovere, mentre nello stato arbustivo
prevalgono le eriche, la ginestra scoparia e qualche raro esempio di ginepro.
Cedui di faggio sono presenti nelle zone a quote più elevate. A
mezza costa si nota qualche noccioleto, che per la verità sembra
più che altro in stato di abbandono.
Molto più diffuso il bosco di castagno, le cui essenze, un tempo
innestate e domestiche in qualità pregiate, oggi si sono in gran
parte inselvatichite anche se continuano a produrre. Con una buona azione
promozionale, portata avanti dalla Comunità Montana dell'Alta Valle
Bormida, va delineandosi la tendenza di una ripresa verso una migliore
cura di queste piante, con possibilità di predisporre "frutteti
di castagno", cioè impianti castanili di tipo intensivo costituiti
e gestiti secondo i criteri razionali della frutticoltura: occupazione
di terreni possibilmente fertili e meccanizzabili, acconcia preparazione
del fondo mediante aratura totale e adeguata concimazione di base, sesti
di piantagione regolari con investimenti variabili in funzione della vigoria
della specie e delle varietà impiegate (da 100 a 200 piante per
ettaro), cure assidue, consistenti principalmente in lavorazione del suolo,
concimazioni e potature.
Nei boschi della valle prevalgono i cedui di castagno: il pino e il
faggio tendono a ridursi, specialmente il secondo, sia per cause naturali
che per opera dell'uomo. Per il faggio, in particolare, la riduzione è
ormai piuttosto forte, e la specie può dirsi limitata a pochi individui,
per lo più a cespuglio, sparsi un po' dappertutto dove il bosco
sussiste.
La valle della Bormida di Mallare, prima della confluenza fra Bragno
e San Giuseppe di Cairo a quota 337 metri, confina a nord-nord-est con
l'importante zona di Montenotte, in cui è un tratto dello spartiacque
con l'attiguo bacino del Letimbro, nel cuore del vecchio "bosco di Savona".
Molti sono i documenti riguardanti il nemus di Savona esistenti nelle biblioteche
e nell'Archivio di Stato. Il legname era tenuto in grande considerazione:
e infatti gli Statuti di Savona del 1345 contenevano norme di particolare
interesse e molto severe per salvaguardare i boschi, notoriamente importanti
per l'economia medievale. Questo bosco si collocava alle spalle di Savona,
addossandosi alle pendici del primo tratto dell'Appennino Ligure a occidente
di Cadibona, compreso tra le località di Cimavate, Montemoro, Altare
e Montenotte Superiore.
Le tappe 17 e 18 dell'Alta Via dei Monti Liguri attraversano qui un
territorio dalla morfologia complessivamente dolce, dove la ricca vegetazione
appenninica forma in alcuni punti boschi di particolare bellezza. Tra le
essenze arboree prevalgono carpino nero, orniello, roverella, rovere, castagno,
faggio, e, nei punti più freschi e umidi, ontano nero e sambuco
nero.
Nel "bosco di Savona" la legna veniva usata per creare il calore necessario
alla lavorazione del ferro e l'acqua per generare energia meccanica. Ancora
oggi si possono scorgere le "aree carbonifere", dove una volta si faceva
il carbone di legna: basta togliere un po' di terra superficiale per trovare
sotto un colore più scuro. Le varie attività che si svolgevano
in quest'area avevano anche favorito il sorgere di case sparse: dalla Casa
del Martinetto alla Casa Caramellina, entrambe dotate di un impianto idraulico,
l'insediamento sparso si estendeva verso Casa Zuilina, Casa Sarvagliana,
Casa del Rizzo, Casa dell'Amore, Casa Moglie d'Amore, Casa del Cianetto,
Casa Psigni e Casa dell'Erede, oggi quasi tutte abbandonate, per cui in
questi ultimi anni nel "bosco di Savona" è venuto anche a mancare
il presidio umano.
Riguardo ai toponimi, si rileva che, alcune volte, il nome è
lo stesso per il monte, il colle, il rio e la casa. Spesso i nomi derivano,
con traduzioni, dalle indicazioni dei cartografi napoleonici, che dopo
le operazioni militari sono stati qui molto attivi. Quando mancava una
precisa indicazione fornita dalla tradizione orale degli abitanti dei luoghi,
si coniava un nome nuovo, ovviamente molto vicino alla lingua francese.
L'ambiente umano
Nella sua ampia opera su Popolazione e sviluppo economico della Liguria
nel secolo XIX (Ilte, Industria Libraria Tipografica, Torino 1961), il
Felloni evidenzia che nel gennaio 1862 il circondario di Savona era il
maggiore della Liguria, con una estensione di 103.654 ettari, il 60 per
cento circa di montagna interna e un'attività agricola nettamente
superiore a quella degli altri settori. Pochi anni dopo, un'altra opera
di rilievo scritta da Bulfaretti e Costantini, Industria e commercio in
Liguria nell'età del Risorgimento, pubblicata nel 1966 dalla Banca
Commerciale Italiana, ha sottolineato come anche le attività industriali
dipendessero in gran parte dal legname dei boschi e da produzioni direttamente
legate al settore primario. Soltanto per citare alcuni elementi interconnessi
col bacino della Bormida di Mallare, ricorderemo il vetro di Altare, le
ferriere di Cairo e Calizzano, la siderurgia di Montenotte, la seta con
le ampie coltivazioni del gelso ecc. Un paragone fra le condizioni di allora,
analizzate da questi due autori, con quelle che abbiamo oggi sotto i nostri
occhi, mostra l'accentuata dinamica che ha toccato le popolazioni savonesi
nel XX secolo, con il passaggio da una economia prettamente agricola a
una di tipo misto, in cui la componente industriale ha una parte importante:
dinamica ancora in atto, che forse sarà caratterizzata da un attenuarsi
del fenomeno negli ultimi decenni di questo secolo.
Da uno sguardo generale su tutta l'asta della Bormida di Spigno, dai
corsi Argentiferi fino alla confluenza con la Bormida di Millesimo, ci
si rende conto di quanto siano limitati i bacini della Bormida di Pallare
e della Bormida di Mallare rispetto a tutta la valle nel suo complesso.
Eppure qui si sono avuti, immediatamente prima e dopo il secondo conflitto
mondiale, i più consistenti movimenti di popolazione, con un accentuato
cambiamento dei modi di vita e delle condizioni sociali.
Dal punto di vista della copertura umana, si rilevano una certa articolazione
e suddivisione del territorio. Da una parte, a sud e a sud-ovest della
zona di confluenza fra i due corsi di Pallare e Mallare, si è avuta
in passato una frantumazione della vita sociale in una serie di piccole
comunità rurali, a economia piuttosto chiusa, che poi gradatamente
si è aperta verso gli altri settori i quali andavano affermandosi,
specie nella pianura alluvionale, dando luogo però a vistosi fenomeni
di spopolamento. Dall'altra, è evidente la tendenza all'accentramento
residenziale, ad esempio da Mallare verso Altare (fenomeno esauritosi nel
giro di un decennio o poco meno), ma soprattutto attorno a Carcare, dove
negli ultimi 20-30 anni le percentuali di sviluppo sono superiori a quelle
del maggior Comune savonese: Cairo Montenotte.
La tendenza, manifestatasi negli intervalli intercensuari 1951-1961-1971,
di emigrare da Altare-Mallare verso la pianura di Carcare comincia ad attenuarsi
dal 1981 e può considerarsi oggi superata anche grazie al consistente
sviluppo della motorizzazione. Da questa tendenza è comunque derivata
una dilatazione degli abitati lungo le strade, sicché si può
quasi affermare che Cairo Montenotte e Carcare formino un unico agglomerato.
Ma la conurbazione tipica di alcune zone costiere si è ridotta prima
che il fenomeno assumesse sviluppi vistosi e non sempre del tutto positivi.
Non vi è dubbio che il polo industriale di maggiore attrazione
del bacino sia costituito dal complesso della 3M Italia, nella frazione
Ferrania del Comune di Cairo Montenotte. Nonostante che Ferrania sia collegata
con il proprio capoluogo comunale da strade che sboccano nella zona industriale
di Bragno-San Giuseppe, il Comune più vicino è quello di
Carcare, raggiungibile in pochi chilometri con la Statale 29. Carcare ha
accolto immigrati dai centri vicini, per la maggior parte già in
condizione operaia, provenienti da Altare, Mallare, Pallare, Plodio, Cosseria
ecc., ma anche da Cengio e frazioni di Cairo Montenotte, mossi dal desiderio
di utilizzare migliori comodità di abitazione, di avvicinarsi alle
sedi di lavoro, alle scuole, ai servizi sociali e di sfuggire al quasi
isolamento (forse più psicologico che fisico) dei quartieri operai
sorti attorno agli impianti di Bragno e Ferrania.
La distribuzione delle industrie e della mano d'opera nel bacino della
Bormida di Spigno dà luogo a movimenti pendolari più cospicui
di quelli che si registrano nel bacino della Bormida di Millesimo. Osservazioni
recenti mostrano peraltro che né l'entità né le direzioni
di tali flussi si sono di molto modificate negli ultimi 10-20 anni. In
sostanza, i maggiori poli di attrazione di tali movimenti sono gli impianti
di Ferrania, Bragno e San Giuseppe di Cairo; le correnti più numerose
vengono da Carcare, Altare, Cairo Montenotte, Savona e dalla sua area urbana.
Altre minori hanno origine da numerosi Comuni della valle di Spigno, nonché
dal bacino della Bormida di Millesimo e da quello del Tanaro, e persino
da Comuni della riviera savonese.
Per quanto riguarda i movimenti pendolari dei lavoratori della 3M di
Ferrania, fu proprio uno studioso che poi divenne funzionario dello Stabilimento,
l'ingegner Maurizio Contessini, ad approfondirne le caratteristiche nella
sua opera Movimenti pendolari in rapporto alt 'impianto di uno stabilimento
in provincia di Savona e studi su un parcheggio di servizio, pubblicata
sulla rivista "Le Strade" del Touring Club Italiano nel numero di maggio
del 1964. L'analisi del Contessini è molto dettagliata e, nonostante
che sia trascorso un quarto di secolo, presenta ancora elementi di attualità.
Allargando l'esame delle tendenze insediative a un intervallo temporale
più ampio, si hanno precise conferme di quanto i geografi hanno
affermato in questi ultimi anni. La popolazione della Bormida di Spigno,
specie attorno alla pianura alluvionale nei pressi della confluenza a San
Giuseppe di Cairo, è aumentata nel giro di un secolo di circa quattro
volte, con punte anche maggiori nei due poli di Cairo Montenotte e Carcare.
A questo fatto, da cui discendono conseguenze connesse con i settori urbanistici,
economici (per gli sviluppi produttivi), dei servizi e dell'ambiente in
generale, le due Amministrazioni comunali interessate dovranno dedicare
particolare attenzione per evitare che si producano squilibri più
o meno gravi, come in qualche caso è già avvenuto. Il compito
non è facile. Il paesaggio, qui come altrove, si è andato
progressivamente modificando con interventi di trasformazione. Nell'ultimo
secolo vi è stato uno stravolgimento dell'ambiente originario, anche
in quella parte più o meno già armonicamente "umanizzata"
.
La popolazione delle case sparse ha una distribuzione molto varia:
elevata nell'alta Valle della Bormida di Pallare (circa il 40 per cento),
in singolare contrasto con l'alta Valle della Bormida di Mallare, dove
l'insediamento sparso è meno di un decimo (cioè il 3,8 per
cento). La contrazione della popolazione sparsa è dipesa soprattutto
dall'abbandono delle sedi isolate, specie se lontane dalle vie di comunicazione,
ed è strettamente legata alla decadenza delle attività agricole.
Al contrario, la riduzione dell'insediamento a nuclei è dovuta,
almeno nell'area di confluenza dei corsi sorgentiferi, sia alla trasformazione
dei nuclei in centri sia all'assorbimento dei primi in virtù dell'espansione
topografica dei secondi. Solo i nuclei ubicati sui versanti collinari hanno
in genere mantenuto le caratteristiche originarie.
I caratteri dei movimenti migratori, espressi dai saldi comunali, costituiscono
uno degli elementi più significativi della dinamica demografica
e sottolineano sia il rapido e intenso urbanesimo, cui vanno soggetti i
centri industriali, sia la profonda trasformazione della vita rurale. Nondimeno
questo tipo di dati non è sufficiente per definire le correlazioni
che esistono - e si stanno sviluppando - tra i due fenomeni. Infatti l'urbanesimo,
proprio di Carcare e Cairo Montenotte, dipende anche dall'apporto di immigrati
provenienti da territori esterni al bacino della Bormida di Spigno. Così
come la trasformazione delle comunità rurali in certe aree del basso
bacino dipende anche, e soprattutto, da attrazioni verso attività
economiche in zone esterne, specie del basso Alessandrino.
Pur considerando che il maggiore apporto migratorio qui è avvenuto
dai bacini della Bormida di Pallare e di Mallare, da Dego (in un primo
momento) e da Piana Crixia (ancora adesso, ma in fase di esaurimento),
non è trascurabile l'apporto fornito dal comprensorio savonese e
dalle province piemontesi. Lo sviluppo industriale è stato messo
a profitto dalla regione vicina, mentre oggi assistiamo a una levata di
scudi contro tali attività, proprio da parte piemontese, con una
regia e una organizzazione molto consistenti che almeno per ora sembrano
esulare da un intendimento corretto della questione ecologica.
Dopo che la Bormida di Mallare ha lasciato il Comune omonimo, tocca
una zona dove è caratterizzata da un andamento meandriforme, supera
il Vallone delle Gagge ed entra nel Comune di Altare. A nord-ovest, fra
Bric Montà, Bric Dorin, Carpeneto, da un lato, e la Statale 29 con
la ferrovia, dall'altro, si apre la nuova zona industriale di Altare, piuttosto
discosta dal centro urbano, dove vi sono problemi ambientali per la presenza
di uno stabilimento che ha tutta una sua storia.
Si parla infatti di un prossimo progetto per il trasferimento di questa
vetreria nella zona industriale. La cintura dove si è maggiormente
sviluppato l'insediamento umano è a sud-est, prima della Bocchetta
di Cadibona, mentre a nord-ovest le tendenze insediative hanno per il momento
scarsa rilevanza.
Mentre il Comune di Mallare praticamente dal 1861, a ogni intervallo
censuale, fino al 1981, denuncia un costante calo di popolazione, quello
di Altare, dove vi è un genere di industrializzazione "storica",
dal 1861 al 1951 evidenzia leggeri incrementi, con diminuzioni non forti,
ma costanti, dal 1961 in poi.
Non è possibile concludere questo capitolo senza ricordare,
sia pure per sommi capi, gli orrori che queste popolazioni sopportarono
a causa delle guerre succedutesi sul territorio e i gravi spaventi, accompagnati
da danni e distruzioni, che vissero nel corso dei decenni anche a causa
degli eventi naturali. Il Vico, nelle sue tre edizioni della storia di
Mallare (o Mallere), data alle stampe nel 1906, 1926 e 1935, ripubblicata
poi fortunatamente dalla Pro Loco di Mallare nel 1982 con l'aiuto della
Comunità Montana dell'Alta Valle Bormida e del Comune di Mallare,
trova parole veramente appropriate e toccanti per descrivere, ad esempio,
le angherie, le violenze e ogni tipo di sopruso cui queste genti furono
sottoposte nel corso delle campagne napoleoniche e le gravi rovine che
si ebbero con le inondazioni del 1744 e del 1900 nelle zone dei torrenti
Cravarezza, Biterna (o Biterno), Consevola e, conseguentemente, della Bormida
di Mallare.
Passata la furia provocata dagli uomini e dagli eventi naturali, le
popolazioni della valle seppero ricostruire e tramandare la loro storia,
affinché ci possa aiutare a non ripetere più gli errori del
passato. E soprattutto a tenere lontane le nefandezze della guerra, qualunque
essa sia, quella di Napoleone o quella del 1940, che si concluse in queste
terre con lutti e infamie.