Riserva naturalistica dell'Adelasia
Quinta parte – Luisa Casu, Lucia Coscia, Paolo Cresta e Sebastiano Salvidio

Piante, animali e rii di un biotopo eccezionale


L'alta Val Bormida è coperta per la maggior parte da formazioni boschive, composte nella quasi totalità da latifoglie che furono spesso "coltivate" o comunque favorite dall'uomo a scopi alimentari o per il legname. I boschi più importanti sotto questo punto di vista sono senz'altro i castagneti, presenti soprattutto nelle fasce medio-basse dei versanti. A quote più elevate essi vengono gradualmente sostituiti da boschi misti formati da carpini bianchi, roveri, aceri, noccioli, pioppi bianchi, sorbi, ciliegi selvatici, faggi, pini silvestri. Salendo a maggiori altitudini, il faggio tende a diventare la specie dominante e a costituire boschi puri.
Anche le faggete sono state utilizzate dalI'uomo, specialmente per la produzione di legname, cosicché la maggior parte di questi boschi in Val Bormida è formata da cedui, tagliati periodicamente. Talvolta però si trovano faggete che, per motivi storici e culturali, non vengono ceduate da molti anni e sono quindi formate da alberi imponenti, alcuni dei quali raggiungono dimensioni notevoli. Le faggete più belle sono sicuramente quelle del Colle del Melogno e la Foresta della Barbottina, proprietà del Demanio Forestale e perciò tutelate. Si trovano alla testata della Val Bormida e sono attraversate dall'Alta Via dei Monti Liguri, lungo una delle tappe più piacevoli e impegnative. Numerose iniziative sono state intraprese per la difesa della natura della valle e in particolare del patrimonio boschivo, soprattutto ad opera del Comitato per la salvaguardia dell'ambiente naturale della Valle Bormida. E stato fatto, ad esempio, un censimento degli alberi monumentali con circonferenza a petto d'uomo superiore ai due metri: querce, castagni, olmi e pioppi bianchi.
Esistono poi boschi di proprietà privata che sono stati sottoposti a tutela. Oltre alla Riserva 3M dell'Adelasia, oggetto di questo studio, si possono ricordare i boschi di Quassolo, situati fra i centri di San Giuseppe di Cairo e Carcare, considerati come gli ambienti naturali più meridionali del complesso collinare delle Langhe. Per questa ragione, e per la loro ricchezza floristica, vennero riconosciuti come "biotopi di grande valore vegetazionale" da parte della Società Botanica Italiana e della Commissione Conservazione Natura del Consiglio Nazionale delle Ricerche. Altro biotopo riconosciuto dalla Società Botanica è il bosco della Veriosa, presso Pallare.
La Regione Liguria, inoltre, ha istituito due Aree Protette Regionali in Val Bormida. Si tratta del "Bric Tana-Valle dei tre Re", situata lungo la Bormida di Millesimo, e del complesso delle "Langhe di Piana Crixia", nella Valle della Bormida di Spigno. Per quanto riguarda la prima area protetta, il motivo principale di interesse è dato dalla presenza di numerosi fenomeni carsici superficiali e profondi, tra cui va menzionata la Tana dell'Orpe, cavità che ha uno sviluppo di 200 metri. Nella zona poi si sono fatti notevoli ritrovamenti archeologici: asce e accette in pietra levigata, risalenti al Neolitico, che vengono messe in relazione con le prime opere di disboscamento attuate dall'uomo al fine di ottenere superfici per il pascolo e le colture. Nei dintorni di Millesimo sono presenti anche numerose incisioni rupestri e menhir, e sono stati rinvenuti frammenti di vasi databili all'Età del Bronzo.
La seconda area regionale comprende un ambiente particolare e quasi unico nel suo genere in Liguria: una vasta zona in cui il substrato geologico, prevalentemente marnoso e argilloso, ha permesso lo sviluppo di calanchi, suggestive forme d'erosione tipiche delle argille. Nell'area inoltre, presso l'abitato del Borgo, si trova il "Fungo", una curiosa formazione composta da due tipi di rocce: il "cappello", costituito da un grosso masso ofiolitico, molto duro e compatto, che ha protetto dall'azione erosiva delle piogge la sottile colonna di conglomerato sottostante, il "gambo", facendolo emergere di qualche metro dal resto del versante, tutto conglomeratico e perciò erodibile molto facilmente. Anche le forme di vegetazione caratteristiche dell'area sono degne di interesse, poiché colonizzano un substrato così particolare. Vi si rinviene una flora di tipo xerofito, amante cioè degli ambienti aridi e assolati, e poco esigente per quanto riguarda il terreno.
La protezione della natura nelle valli della Bormida interessa estesi territori, soprattutto boscosi, ma anche zone puntiformi o addirittura singoli monumenti naturali, rivolgendosi alla tutela di flora e fauna e di ambienti di tipo padano, poco rappresentati in Liguria. All'interno di questo vasto complesso di salvaguardia del territorio si inserisce l'iniziativa di protezione dei boschi di Ferrania con la Riserva dell'Adelasia, uno dei consorzi forestali di maggior valore e meglio conservati di tutta la Regione.

Inquadramento geografico della Riserva 3M

La Riserva si trova nel Comune di Cairo Montenotte, all'interno di una vasta proprietà della 3M Italia, e interessa la parte superiore e naturalisticamente più integra del bacino del Rio Ferranietta, un corso d'acqua che confluisce come affluente di destra nella Bormida di Mallare, nei pressi dell'abitato di Ferrania. Il bacino è posto sul lato padano dell'arco orografico ligure in un tratto geograficamente già ascrivibile all'Appennino (ci troviamo poche centinaia di metri a est del Colle di Cadibona): eppure, per le caratteristiche geologiche che lo contraddistinguono, si può dire che appartenga al settore alpino. I suoi confini orografici sono costituiti, a nord, da un complesso montuoso sul quale si allineano le principali culminazioni della zona: da levante a ponente, il Bric del Tesoro (m 852), il Bric Curlino (m 823), il Bric degli Scaglioni (m 692) e il Monte Cisa (m 710); a sud-est, da un tratto del displuvio percorso dalla provinciale per Montenotte Superiore (spartiacque tirrenico-padano). Poco più modeste le quote raggiunte in quest'ultimo tratto, che non presenta punti particolarmente emergenti e si sviluppa come un costone piuttosto uniforme.
Se i confini del bacino si impostano secondo due direttrici montuose ovest-est e sudovest-nordest, il territorio che esse delimitano è però ulteriormente accidentato dalle diramazioni interne dei due complessi principali che suddividono il reticolo orografico: tra le cime più significative di questi displuvi secondari ricordiamo il Bric dell'Amore (m 670) e la Rocca dell'Adelasia (m 698). Si formano così le numerose vallette che convogliano le acque verso il Ferranietta, caratterizzando in maniera particolare l'ambiente naturale. Il Rio Psigni è uno dei torrenti più interessanti della zona: affluente di sinistra del Rio Cianetto, ne è separato da una bella dorsale che scende dal Costellasso attraverso la Rocca dell'Adelasia, il Bric Ruscinò (m 603) e il Bric Psigni (o Bric Riund, m 609). La valle formata dal Rio Cianetto e superiormente da un suo affluente, il Rio Barche, è a sua volta separata da quelle del Rio dei Frai-Rio della Grinda da una linea displuviate che congiunge il Bric Curlino con il Bric dell'Amore, linea che digrada fino alla confluenza tra queste due valli (a 403 metri sul livello del mare), dando origine al Rio Ferranietta vero e proprio.

Il clima

La conformazione orografica di un territorio ha sempre un'influenza notevole sui fenomeni climatici che vi si possono riscontrare. La Riserva dell'Adelasia non fa eccezione a questa regola: la dorsale appenninica e le sue diramazioni secondarie hanno infatti un considerevole effetto sul regime delle temperature e su quello pluviometrico, comportando, con l'aumento delle quote, sensibili diminuzioni termometriche e un innalzamento dei valori delle piogge. Inoltre, la posizione geografica sul versante padano dell'Appennino ligure accomuna le caratteristiche climatiche di quest'area a quelle delle località del basso Piemonte.
Si ha così, nel corso dell'anno, un numero ben superiore di giornate di pioggia rispetto a quello registrabile nella parte marittima della Liguria: la piovosità annua può raggiungere infatti anche i 1800 millimetri, con una media intorno ai 1400 (nella vicina Savona, sul mare, le precipitazioni raramente superano i 1000 millimetri). Le nevicate sono piuttosto intense (la maggior frequenza si ha in gennaio) e numerosi sono anche i giorni di gelo, durante i quali si può verificare la formazione di aghi di ghiaccio in cristalli pendenti dagli alberi, fenomeno noto con il nome di galaverna, o calaverna. Rispetto al versante meridionale dell'Appennino è anche molto più frequente la formazione di nebbie, favorite dalle basse temperature, da pressioni relativamente modeste e dall'alta umidità del suolo. L'insieme dei fenomeni atmosferici determina un elevato tasso di igrometria sia nell'aria sia a livello del terreno. Tutto ciò ha un notevole influsso sugli ambienti biologici, favorendo per esempio lo sviluppo del bosco e, più in generale, la presenza di animali e di piante tipici dei climi freschi e umidi (fauna e flora mesofita).
Se queste sono le principali caratteristiche climatiche della zona, è possibile individuare alcune situazioni, per lo più ristrette a piccole superfici, nelle quali si riscontrano particolari "microclimi" e che pertanto si differenziano dagli ambienti circostanti ospitando forme di vita specializzate. A determinare i microclimi sono soprattutto la natura e la morfologia del suolo, l'esposizione ai raggi solari e ai venti, la copertura vegetale. Così le numerose rocche della Riserva 3M danno luogo a un microclima ben preciso, generalmente caldo e secco per via della maggiore insolazione cui sono soggette, per le brusche alternanze caldo-freddo e anche per la minor protezione dalle precipitazioni atmosferiche e dai venti. Esse sono perciò in grado di ospitare animali e piante peculiari di località più vicine alla costa o di quote più basse. Sulla Rocca dell'Adelasia, per esempio, sopravvive il leccio, specie termofila e xerofila della Liguria costiera, e sui massi, in particolare quelli calcarei, sono presenti felci tipicamente mediterranee.
Una situazione climaticamente opposta si può osservare in quei tratti di valle che i corsi d'acqua hanno inciso con maggiore profondità. In queste forre l'esposizione diretta alla luce del sole è molto ridotta e la copertura arborea ne filtra ulteriormente gli effetti: i raggi solari penetrano con difficoltà e solo un sottobosco di tipo sciafilo (ossia amante dell'ombra) trova le condizioni ideali per la sopravvivenza. È per questo motivo che i fondi di tali vallette, tappezzati da muschi e da epatiche, ospitano felci particolari, come la lingua cervina (Phyllitis scolopendrium). Non solo: poiché vi è anche un maggior ristagno di umidità, accolgono anche una flora e una fauna più propriamente igrofite.
Un altro fenomeno è legato all'ombrosità del fondovalle: se le condizioni dei versanti superiori, maggiormente aperti e soleggiati, favoriscono non di rado lo sviluppo di boschi di tipo mediterraneo, il clima fresco e umido convoglia nelle vallette forme vegetali caratteristiche di aree continentali o di fasce attitudinali elevate. Di questo fenomeno, chiamato inversione altitudinale della vegetazione, si ha un esempio osservando come alcune piante di nocciolo, di acero di monte e di carpino bianco, legate ai microclimi freschi, vivano a quote inferiori rispetto alla roverella e addirittura ai lecci delle esposizioni più favorevoli. Anche le radure, dovute ai vecchi tagli del bosco, e alcuni campicelli oggi abbandonati costituiscono piccoli ambienti a se, con escursioni termiche tra il giorno e la notte piuttosto pronunciate e nei quali le precipitazioni non vengono attutite dalle chiome degli alberi. I popolamenti animali e vegetali sono quindi molto diversi da quelli del sottobosco: in particolare vi abbondano i rettili e diversi insetti termofili.
Un microclima assai caratteristico è infine quello degli ambienti ipogei, di cui è ricca la zona dell'Adelasia. Le grotte sono assolutamente prive di luce (tranne che vicino all'imboccatura), il che impedisce la vita alle piante superiori che necessitano di energia luminosa per la fotosintesi. Di solito l'umidità è elevata, raggiungendo quasi la saturazione. L'aria è spesso ferma e solo di rado vi sono correnti. La temperatura è costante nel corso dell'anno e non varia né con le stagioni né con l'alternanza giorno-notte. Talora nella cavità scorre un corso d'acqua che rende "vivo" e dinamico l'ambiente, continuando i fenomeni erosivi di trasporto e deposito di sedimenti e contribuendo, con il mantenimento dell'umidità, alla formazione di concrezioni calcaree (stalagmiti, stalattiti ecc.). Se la grotta non è più attraversata da un torrente, si dice "fossile" e tutti i fenomeni carsici sono destinati presto a esaurirsi.

La geologia

La conformazione geologica della Riserva è piuttosto complessa. L'area è stata interessata da numerosi eventi geologici che hanno portato alla genesi di molte strutture diverse tra loro. Le rocce più antiche fanno parte della formazione denominata "Cristallino Savonese" e rappresentano ciò che rimane dell'antica crosta continentale europea. Il pavimento del Vecchio Continente è stato modificato dal punto di vista cristallografico e strutturale dagli eventi causati dalla formazione di montagne: ci riferiamo all'orogenesi ercinica, avvenuta tra i 360 e i 330 milioni di anni fa, e all'orogenesi alpina, più recente, verificatasi tra i 100 e i 40 milioni di anni fa. Oggi è possibile osservare alcuni affioramenti legati a questo pavimento: lungo la bassa valle del Rio Cianetto e lungo il Rio Psigni si riconoscono gli gneiss, rocce cristalline di colore grigio scuro dalla grana minuta.
Appartengono invece a un periodo successivo (Triassico Superiore, circa 200 milioni di anni fa) alcune rocce sedimentarie, derivate da fini sabbie carbonatiche di origine organica (gusci calearei ecc.), le quali si depositarono sui bassi fondali di un mare che allora ricopriva gran parte delle terre oggi emerse. Si tratta delle dolomie del "Dominio Brianzonese", che affiorano in lembi di superficie molto ridotta e che, nella zona, rivestono una certa importanza dal punto di vista geomorfologico solamente presso Casa del Rizzo, dove danno luogo a interessanti fenomeni carsici. Sopra queste due formazioni - il "Cristallino Savonese" e il "Dominio Brianzonese" - si trova la cosiddetta "Serie di Montenotte", costituita da rocce giurassico-cretaciche (cioè con una età compresa tra i 190 e i 65 milioni di anni) che si formarono invece in ambiente di mare molto profondo. In quell'epoca, evidentemente, tutta la regione era ricoperta da un oceano e non esistevano terre emerse.
I fenomeni orogenetici che hanno causato il sollevamento delle Alpi, prima, e della catena appenninica, poi, provocarono probabilmente l'emersione dei fondali marini, determinando fra l'altro la "chiusura", e quindi la scomparsa, dell'oceano e uno "spostamento" delle rocce che ne costituivano il pavimento. Esse sono state così "sbalzate" (il termine geologico è obdotte) sopra altri terreni, ben lontane dal punto in cui si erano formate. Nel suo spostamento, l'insieme di queste rocce, che i geologi chiamano "Serie di Montenotte", ha ricoperto quasi completamente le formazioni precedenti e oggi rappresenta la maggior parte del substrato geologico della zona. Si tratta in particolare di metagabbri, rocce di colore verde scuro con grossi cristalli chiari, che si possono osservare al Bric dell'Amore, lungo il versante sud-ovest del Bric del Tesoro e alla Rocca dell'Adelasia.
Nella zona compresa tra Casa Lago di Gola, Bric Curlino e Casa Chiappa e nell'alta valle del Rio Cianetto affiorano argilloscisti, rocce di origine sedimentaria, riconoscibili per la facile sfaldabilità in schegge. Altre rocce sedimentarie tipiche di questa serie sono i calcari mierocristallini, di colore grigio bruno, che si rinvengono in una fascia lunga e stretta compresa tra il Rio della Grinda e il Bric del Tesoro.
Dopo la fine dei movimenti orogenetici e l'emersione completa dei terreni, l'esposizione agli agenti atmosferici provocò massicci fenomeni erosivi che interessarono tutte le rocce del bacino e portarono alla formazione di immense quantità di sedimenti grossolani. Trasportati e "plasmati" dai corsi d'acqua in ciottoli tondeggianti, essi si depositarono nelle depressioni marine. Durante l'Oligocene (fra 37 e 25 milioni di anni fa) il mare, che nuovamente ricopriva la zona, iniziò a ritirarsi e questi sedimenti vennero diagenizzati, ossia diventarono solida roccia, cementificandosi tra loro. Attualmente costituiscono quella che i geologi hanno denominato "Formazione di Molare". Il conglomerato, nel quale i ciottoli sono inglobati in una matrice di origine arenacea, può essere osservato lungo i fondivalle dello Psigni e del Cianetto e lungo la strada per Montenotte Superiore.

La geomorfologia

Tra le principali fonti di interesse naturalistico, turistico ed escursionistico della Riserva dell'Adelasia ci sono alcune particolarità morfologiche: vette panoramiche, forme suggestive, rocce erose in modo pittoresco, fenomeni carsici ecc. Queste forme peculiari, siano esse di superficie o ipogee, si svilupparono nel corso dei millenni in relazione alla maggiore o minore resistenza opposta dalle rocce al passare del tempo.
Gli agenti modellatori di tali morfologie sono fondamentalmente gli eventi meteorologico-climatici (pioggia, vento, insolazione, brusche alternanze caldo-freddo) e i corsi d'acqua che incidono progressivamente e inesorabilmente i vari substrati rocciosi. Le forme più interessanti ed evidenti sono quelle che offrono il maggior contrasto con il paesaggio circostante e ne emergono in maniera netta. Tra queste, in primo luogo, sono le "rocche", ossia quei tratti di roccia nuda che si elevano al di sopra degli alberi, caratterizzando alcuni versanti. Per la loro morfologia aspra e instabile (vi si verificano infatti fenomeni di franamento) non sono coperte da vegetazione arborea e spiccano così all'interno della fitta massa boschiva, ospitando forme di vita animale e vegetale specializzate.
La più celebre è senz'altro la Rocca dell'Adelasia, un ammasso ofiolitico che per bellezza e potere suggestivo ha affascinato sempre gli abitanti di queste valli e i visitatori, dando origine a leggende. E davvero la sua posizione dominante, al centro della Riserva cui dà il nome, la rende la meta migliore per chi voglia abbracciare con lo sguardo praticamente tutta la zona. Identica funzione biologica e paesaggistica hanno gli altri affioramenti di roccia nuda, come quelli caleareo-dolomitici presso Casa Manuale, sui quali sono stati piantati alcuni pini neri, e quelli - imponenti e suggestivi - che dalla voce dialettale indicante la pietra nuda ("ciappa") hanno dato il nome alla vicina Casa Chiappa. Ricordiamo infine alcune rocce ofiolitiche sotto il Bric dell'Amore, che formano un altro punto panoramico, proprio di fronte alla Rocca dell'Adelasia.
Non solamente le forme particolari, ma anche la natura e le caratteristiche del substrato attirano l'attenzione di chi vive e lavora in montagna: il Bric degli Scaglioni, che si trova nel settore nord-ovest della Riserva lungo la dorsale più alta, è così chiamato per la friabilità in scaglie delle rocce che ne costituiscono i versanti (argilloscisti filladici).
In un paesaggio collinare quale quello dell'Appennino savonese, oltre alle forme svettanti sono di notevole interesse i ripiani più o meno in quota e i pianori alluvionali lungo i corsi d'acqua, tanto più importanti in quanto consentirono le attività agricole e rappresentarono perciò una vera e propria ricchezza per le popolazioni dell'entroterra. Ai giorni nostri hanno un interesse colturale solo le piane alluvionali del Rio Cianetto e del Rio dei Frai, nel tratto circostante la loro confluenza nel Rio Ferranietta. I ripiani visibili in quota, dopo l'abbandono dell'attività agricola, hanno soprattutto la notevole funzione biologica di interrompere la continuità dei boschi, rendendo qua e là più vario il numero degli ambienti. Talora di origine artificiale, si ritrovano ovviamente nei punti di minor declivio, lungo pendii particolarmente idonei o sulle selle che spaccano le dorsali: tra i più suggestivi, i piani di Casa dell'Amore.
Il reticolo idrografico della zona può essere definito di tipo dendritico, poiché il disegno topografico ricorda le diramazioni della chioma degli alberi. L'area è ricca di acque che sgorgano da numerose sorgenti poste a quote differenti e si incanalano formando rivoli e vallecole (localmente detti "riane") che danno luogo talvolta a torrentelli ricchi di pozze, cascatelle, piccole gole e meandri. Questi ambienti sono resi ancor più interessanti dalla presenza di grossi massi erratici, crollati dai rilievi soprastanti.
Se il vento, il gelo, le piogge e i corsi d'acqua erodono e modellano dall'esterno i rilievi montuosi, l'acqua lavora anche nel sottosuolo, penetrandovi grazie alla fessurazione e alla solubilità dei substrati rocciosi calcarei. Divenuta acidula dopo aver attraversato la lettiera del bosco, è in grado di attivare reazioni chimiche nelle rocce carbonatiche, rendendo solubili alcuni sali che le compongono per poi trascinarli via lentamente e originando fenomeni di erosione sotterranea, noti come carsismo ipogeo (ad esempio, formazione di grotte). Alcuni settori litologici della Riserva dell'Adelasia, di natura prettamente carbonatica, hanno creato un vasto complesso carsico sotterraneo con cavità rilevanti.
La circolazione idrica sotterranea ha implicazioni notevoli anche per la sopravvivenza degli insediamenti umani: il minimo disturbo di questi ambienti ipogei, infatti, si ripercuote sempre, e in maniera ingigantita, ad esempio sui valori fisico-chimici delle acque che ne possono risultare anche gravemente inquinate. Occorre pertanto, in presenza di fenomeni carsici di tale portata, approfondire gli studi sulle dinamiche sotterranee delle acque, rilevando con continuità i parametri idrologici per scongiurare eventuali rischi di polluzione. È comunque necessario il maggior rispetto possibile anche delle comunità animali che abitano le grotte: queste zoocenosi, di cui meglio si dirà in seguito trattando degli ambienti ipogei, si dimostrano ottimi indicatori ecologici della salubrità dell'ambiente e meritano anche per questo, oltre che per il loro valore scientifico, la massima tutela.
Le grotte della Riserva 3M, che d'ora in poi chiameremo "tane" in conformità alla denominazione locale, sono piuttosto conosciute tra gli speleologi liguri, e in particolare tra quelli savonesi, che fin dagli anni Sessanta vi hanno condotto studi e rilievi idrologici e biologici. Capofila nell'esplorazione fu il Gruppo Grotte Ferrania, formato da appassionati e competenti speleologi locali. Del gruppo, oggi sciolto, restano solo alcuni articoli pubblicati sul bollettino sociale. L'eredità è stata raccolta dal Gruppo Speleologico Savonese, con sede a Savona, che ha avviato di recente una campagna di studi in questo complesso carsico. Tutte le tane della zona sono state comunque censite dal Gruppo Grotte Ferrania e fanno ormai parte del Catasto Speleologico Ligure. A questo si riferisce il numero progressivo che accompagna il nome della cavità nell'elenco seguente. In generale, data la fragilità di tutti gli ambienti sotterranei della Riserva, il controllo degli accessi dev'essere rigoroso e finalizzato, anche per motivi di sicurezza, a scopi puramente scientifici.

L'ambiente boschivo

Il territorio della Riserva 3M è in massima parte ricoperto da boschi: è quindi facile pensare che essi abbiano una notevole importanza per le diverse forme di vita animale e vegetale. Le varie condizioni climatiche, la maggiore o minore copertura arborea, la diversa disponibilità di cibo influenzano la distribuzione di molti animali, tanto che si possono individuare specie caratteristiche per i diversi tipi di bosco. I boschi della Riserva non sono tutti naturali: l'azione dell'uomo è ben visibile non solo per la presenza di boschi cedui, dovuti al taglio ripetuto di specie arboree capaci di emettere nuovi getti dal ceppo (polloni), ma anche per l'impianto e la successiva cura dedicata ad alcune specie particolari. Un esempio sono gli estesi castagneti, da considerarsi come vere e proprie colture. L'interruzione dell'attività umana ha fatto sì che il bosco cominciasse a svilupparsi verso formazioni maggiormente naturali, osservabili oggi nei diversi gradi di evoluzione.
Nonostante che il quadro ne risulti piuttosto complesso, è possibile operare in certi casi solo teoricamente una suddivisione delle varie coperture vegetali in zone omogenee, a seconda del clima e delle quote cui si rinvengono. Nella nostra area si possono individuare alcune fasce climatiche: una fascia medio-europea, con clima di tipo continentale, e una fascia subatlantica, con clima di tipo suboceanico, nonché alcuni piani attitudinali: il piano basale, che comprende le colline e le zone appenniniche fino a 600-700 metri di quota, e il piano montano, che comprende le parti più elevate e i crinali. I piani attitudinali, a loro volta, vengono suddivisi in più orizzonti, che meglio individuano le caratteristiche della vegetazione: nella zona dell'Adelasia sono ben rappresentati l'orizzonte submediterraneo delle querce caducifoglie e l'orizzonte montano inferiore dei faggi e delle altre specie orofile (che prediligono le alte quote). Il confine tra queste due zone può essere individuato nelle quote massime raggiunte dal castagneto.

Il castagneto

Il castagno (Castanea sativa) è un albero a foglie caduche che può raggiungere i 30 metri di altezza e superare i 4 di diametro negli esemplari secolari. Si tratta di una pianta indigena del bacino del Mediterraneo e della Penisola italiana, dove è presente sia sulla catena alpina sia su quella appenninica. Ha esigenze mesotermiche e vegeta dai 300 metri sul livello del mare fino ai 900 metri, giungendo a contatto con l'orizzonte montano inferiore, caratteristico del faggio. Resiste bene ai freddi invernali e ai caldi estivi, ma necessita di una costante umidità atmosferica. Inoltre si adatta abbastanza bene a tutti i tipi di substrato, esclusi quelli argillosi, poco permeabili, e quelli prettamente calcarei.
La sua buona valenza ecologica, cioè il suo alto grado di adattabilità, ne ha molto facilitato la diffusione da parte dell'uomo. In molte aree dell'Appennino, e in particolare in quella ligure, l'uomo ha gradatamente sostituito buona parte dei boschi misti naturali, costituiti da carpino nero, orniello e querce, con il castagno, specie arborea di grande rilevanza economica. Tuttavia, sebbene il castagneto faccia ormai parte del paesaggio collinare e della storia agricola della Liguria, dal punto di vista ecologico rappresenta una coltivazione arborea e non un vero e proprio bosco naturale: soltanto l'intensa attività umana ha permesso al castagneto di ricoprire estese aree montane dei versanti marittimo e padano. Attualmente, infatti, i boschi di castagno occupano oltre un terzo dell'intera area forestale della regione.
La grande diffusione che il castagno ha avuto nel Savonese, e specialmente in Val Bormida, è dovuta all'indispensabile apporto che l'albero ha dato alla sopravvivenza delle popolazioni montane. I frutti costituivano alimento primario per l'uomo e, una volta essiccati o ridotti a farina, erano conservabili a lungo. Le foglie venivano utilizzate come lettiera per il bestiame e dal legname si otteneva paleria minuta, combustibile e tannino, impiegato nella concia delle pelli. Il principale tipo di coltivazione del castagno era quello ad alto fusto, in cui gli alberi da frutto venivano piantati spaziati tra loro. Il sottobosco, formato prevalentemente da piante erbacee, era sfalciato e usato come pascolo per il bestiame. Nelle zone collinari più difficilmente accessibili, il castagneto veniva ceduato periodicamente per ottenerne legname. Dal ceppo di castagno nascono polloni che possiedono una grande vitalità e che danno luogo a un bosco fitto e intricato.
Il castagneto economicamente più redditizio è quello da frutto, particolarmente quello che produce varietà pregiate quali il "marrone". Nell'alta Val Bormida le castanicolture hanno invece privilegiato l'innesto dei castagni selvatici con varietà più rustiche e produttive, dai frutti più piccoli del marrone ma ugualmente gustosi.
Già alla fine del secolo scorso la coltivazione del castagno perse buona parte della sua importanza economica a causa dello sviluppo concorrenziale di un'agricoltura moderna nelle pianure e dell'incipiente esodo rurale che colpì principalmente le aree montane. L'abbandono dell'agricoltura di sussistenza, tipica delle valli appenniniche, si accentuò durante i due conflitti mondiali e giunse al culmine quando alla svalutazione dei frutti e del legname si sommarono due gravissime fitopatie del castagno. La prima a manifestarsi fu il cosiddetto "mal dell'inchiostro", una degenerazione dell'apparato radicale causata dal fungo PhytopAtora cambivora. Gli alberi ammalati sono riconoscibili per la presenza alla loro base di essudati nerastri, sintomo di una alterazione dei tessuti interni che porta al disseccamento della pianta. Oggi questa malattia è diventata sporadica, ma sfortunatamente fu affiancata da un'altra infezione fungina, il "cancro della corteccia", causata dal fungo Endothia parasytica. Il cancro colpisce la corteccia e i giovani rami della pianta, i cui tessuti necrotizzati si sfaldano e si rigonfiano, spaccandosi in fenditure verticali. Anche in questo caso l'albero muore entro pochi anni.
L'abbandono della coltivazione del castagno fu massiccio negli anni Cinquanta nel Savonese, dove la produzione di frutti cessò quasi del tutto nel decennio successivo. Molti magnifici castagneti da frutto, colpiti dal cancro della corteccia, vennero ceduati ed è in questa forma che si presentano attualmente in gran parte della zona. Il bosco di castagno abbandonato dalle cure dell'uomo viene invaso da altre essenze arboree: tende quindi a trasformarsi in un bosco misto in cui sono presenti querce, frassini, sorbi e carpini. Purtroppo anche molte piante infestanti come i rovi, la vitalba e la felce aquilina si diffondono in vaste zone del bosco, svalutandolo anche sotto il profilo paesaggistico.
Nonostante lo stato di abbandono, i castagneti della valle del Rio Ferranietta mantengono un notevole interesse storico e naturalistico. In alcune zone prosperano esemplari di castagno selvatico: questi alberi, non più curati da molte decine d'anni, sono abbondanti lungo il versante destro della valletta del Rio dei Frai, nella località che viene appunto definita "i Sarvaglioni". I tronchi dei giganteschi castagni costituiscono autentici monumenti naturali che meritano di essere salvaguardati: molti esemplari sono presenti lungo le pendici meridionali della Rocca dell'Adelasia ai lati del sentiero che scende verso Casa Psigni. Dal punto di vista naturalistico, il castagno rappresenta un rifugio ideale per diversi animali, quali il ghiro, l'allocco, il picchio verde, mentre le castagne cadute a terra attirano un gran numero di insetti, micromammiferi e, tra gli ungulati, il cinghiale.

I boschi collinari e submontani

I versanti meno in quota della Riserva 3M sono ricoperti da formazioni boschive di tipo misto, per lo più a predominanza di querce (roverella, cerro, rovere), cui si associano altre specie arboree. La differente composizione fieristica e di struttura di questi boschi è di volta in volta determinata dall'altitudine, dalla natura del suolo e dalla disponibilità di acqua, oltre che, com'è facile supporre, dal tipo di trattamento forestale. Caratteristica comune delle formazioni vegetali (fitocenosi) è comunque una loro mesofilia più o meno accentuata che le differenzia nettamente dalle coperture termofile e xerofile che si possono osservare, poco lontano, sul versante tirrenico dello spartiacque principale (arbusti della macchia mediterranea, leccio e roverella): non mancano però esempi di questo genere anche all'interno della Riserva, in località particolarmente idonee per l'esposizione dei versanti.
I boschi misti, in ogni modo, non differiscono sostanzialmente da analoghe formazioni dell'Europa continentale e per tale motivo gli studiosi li ascrivono a una fascia di vegetazione denominata "medio-europea", contraddistinta principalmente dalle esigenze climatiche. Il bosco mesofilo è infatti formato da piante che necessitano di un certo tenore di umidità dell'aria e del suolo, più facilmente riscontrabile in aree continentali piuttosto che lungo le coste mediterranee. Nella zona di Montenotte, i boschi di collina e submontani sono costituiti quasi esclusivamente da caducifoglie e, come vedremo, sono difficilmente inquadrabili in modelli definiti per via di una notevole compenetrazione tra le diverse cenosi forestali. Tuttavia è possibile riconoscere, in base alla presenza di alcune "specie guida", i vari tipi di bosco. Per esempio, l'orniello, il Carpino nero e la roverella, per quanto estremamente localizzati nella Riserva, ne rappresentano gli aspetti più termofili, mentre il cerro e il rovere, assai più diffusi, individuano vere e proprie formazioni che, per le loro caratteristiche ecologiche, abbiamo definito querceti mesofili.
Nell'alta valle del Ferranietta il Carpino nero (Ostrya carpinifolia), l'orniello (Frazinus ornus) e la roverella (Quercus pubescens) si insediano alle quote minori, cedendo il posto più in alto alle querce mesofite. Ad essi si accompagnano l'acero campestre (Acer campestre), il sorbo torminale (Sorbus torminalis) e il ciliegio selvatico (Primus avium). Nel loro insieme queste piante rivestono una notevole importanza nella composizione del paesaggio che, durante la bella stagione, viene arricchito da differenti tonalità di verde.
Il Carpino nero è poco esigente e in genere occupa suoli sottili, rocciosi e ben drenati, ma riesce a estendersi anche su suoli profondi, sostituendosi progressivamente alle querce là dove il bosco viene ripetutamente ceduato. È specie, infatti, che acquista vigore con il taglio ed è in grado di ributtare rapidamente, al contrario di quello che avviene per le roverelle e i cerri, i quali hanno minori capacità pollonifere.
Sui pendii meglio esposti e ai margini delle radure e delle strade, dove in generale la flora e la fauna presentano maggiori affinità con quella delle boscaglie dei versanti tirrenici, si trova invece la roverella. Questa quercia forma raggruppamenti ben riconoscibili soprattutto dopo l'autunno, grazie al fatto che il fogliame persiste molto a lungo sui rami, pur se ormai secco e ingiallito, per poi cadere in inverno inoltrato.
All'interno della Riserva, su molti esemplari di roverella, come sui cerri, è facile osservare varie galle di insetti, che si presentano come escrescenze legnose rotondeggianti, talora spinose o a riccio, delle dimensioni di un piccolo frutto, situate per lo più all'apice delle gemme, sulla pagina inferiore delle foglie o sui rametti. Sono modificazioni dei tessuti cellulari della pianta, provocate dalla puntura delle femmine di alcuni imenotteri al momento della deposizione delle uova (generi Cynips, Andricus ecc.). La pianta reagisce "isolando" i corpi estranei in queste escrescenze, che hanno così la funzione di tranquillo rifugio e di fonte di nutrimento per le larve che vi si sviluppano. Il danno causato dagli insetti galligeni è comunque di solito insignificante, per quanto possa costituire in alcuni casi un discreto dispendio energetico per la pianta.
Per la loro struttura e per l'uso che ne è stato fatto in tempi recenti, questi boschi, formati da piante giovani e dalla chioma ancora poco espansa, appaiono piuttosto luminosi, idonei perciò a ospitare anche un sottobosco di tipo Liofilo (amante della luce). In generale, però, la flora prevalente è di tipo medio-europeo. Quanto agli uccelli, è più facile osservare un'avifauna caratteristica dei cedui aperti, come il minuscolo fiorrancino (Regalus ignicapillus), insettivoro che scende a queste quote in inverno, tornando in faggeta nella bella stagione, dove nidifica. Tra i biancospini e i cornioli si muovono con agilità la capinera (Sylvia atricapilla) e il pettirosso (Erythacus rabecola), facilissimi da riconoscere e piuttosto confidenti. Ricordiamo infine l'usignolo (Lascivia megarhyncEos), un turdide dal canto melodioso, così diffuso in zona da aver dato il nome ad alcune località (Bric Ruscinò). Fra i rettili, una specie abbastanza frequente nei boschi è il saettone, o colubro di Esculapio (Elaphe longissima): un serpente di colore bruno chiaro, innocuo per l'uomo, ma grande predatore di piccoli mammiferi, lucertole e anche di uccellini e di uova.

Querceti mesofili

I boschi a prevalenza di querce, nell'insieme delle formazioni collinari e submontane, si trovano nella fascia attitudinale immediatamente al di sopra dei carpini neri e delle roverelle, occupando così l'orizzonte superiore del piano basale. In realtà, nell'Appennino savonese non esiste una netta differenziazione attitudinale nella composizione dei boschi. I fenomeni di compenetrazione cui si è accennato sono dovuti principalmente alla varietà delle esposizioni dei versanti, che si presentano spesso accidentati o interrotti da corsi d'acqua piuttosto incisi, con fenomeni di inversione attitudinale della vegetazione. La componente arborea prevalente in questi querceti è data dal cerro (Quercus cerris) e dal rovere (Quercus petraea). Il primo forma consorzi caratteristici e ben individuati (cerrete), mentre il secondo, meno diffuso, si trova principalmente in una zona di transizione al confine con le faggete, su suoli profondi e freschi.
Il cerro, che può raggiungere dimensioni anche notevoli (20 metri), ha un portamento più slanciato del rovere e la chioma più allungata. La sua corteccia si presenta profondamente screpolata e di colore bruno-nerastro. L'albero produce ghiande che giungono a maturità in due anni e che hanno un aspetto assai caratteristico per via delle numerose squame sottili e contorte che formano alla base del frutto una sorta di riccio, da cui prende nome la pianta (cirrus, in latino, significa ricciolo). La cerreta preferisce suoli argillosi e nella Riserva è infatti localizzata soprattutto sui versanti costituiti da argilloscisti. Questi suoli, generalmente piuttosto acidi, ospitano un sottobosco formato per lo più da specie ossifile (vale a dire amanti dei substrati acidi e calciocarenti), tra cui, in particolare nelle schiarite, la felce aquilina (Pteridium aquilinum), l'erica arborea, il brugo (Calluna valgaris) e, ai margini del bosco o dove esso appare maggiormente degradato, la ginestra dei carbonai (Cytisus scoparius).
Anche il rovere può raggiungere dimensioni notevoli (20-25 metri). Il colore della corteccia è grigio bruno e le ghiande sono inserite direttamente sui rametti. Le più comuni specie arboree che si rinvengono nei querceti sono il nocciolo (Corylus avellana), l'acero opalo (Acer opulifolium), l'acero di monte (Acer pseadoplatanus) e il frassino maggiore (Frazinus ercelsior).
Lungo la vecchia pista forestale che conduce alla Rocca dell'Adelasia si incontrano anche alcuni esemplari di quercia rossa (Quercus rabra), riconoscibili per le grandi foglie che in autunno tendono a colorarsi di rosso. Si tratta di una quercia non autoctona (è infatti originaria dell'America settentrionale) che è stata introdotta nel Savonese diverso tempo fa. Insieme ad alcune conifere, quali il pino nero (Pinus migra) e l'abete rosso (Picea ezcelsa), testimonia delle iniziative di rimboschimento effettuate in passato mediante specie non originarie dei luoghi. Oggi però, considerate le notevoli potenzialità del cerro, del rovere, del faggio e del Carpino bianco (Carpinus betalus), è preferibile favorire lo sviluppo delle specie già naturalmente presenti nella zona e pertanto più idonee a costituire formazioni boschive equilibrate. Gli aspetti maggiormente orofili di questi querceti sono messi in evidenza da piante caratteristiche delle quote alte, betulla (Betala pendula) e sorbo montano (Sorbus aria), mentre quelle tipiche delle località più fresche e ombrose, come il carpino bianco, ne evidenziano gli aspetti mesofili. Molto diffusa è l'edera (Federa heliz), i cui fusti strisciano al suolo o si avvinghiano ai tronchi degli alberi. Non è raro incontrare maestosi esemplari di querce ormai morte, completamente ricoperte dalle fronde sempreverdi di questo rampicante.
Sotto le quercete si sviluppa una lettiera profonda e ricca di humus, che accoglie un sottobosco vario e interessante: vi fioriscono l'elleboro (Helleborus viridis), il dente di cane (Erythronium dens-canis), l'anemone dei boschi (Anemone nemorosa) e l'anemone trifoglia (Anemone trifolia). Le specie erbacee e arbustive dei querceti sono molto numerose, ed è ad esse che si deve prestare attenzione se si vogliono comprendere le caratteristiche ecologi che dei singoli boschi. Per esempio, la presenza di una pianta sempreverde mediterranea come il pungitopo (Ruscus aculeatus) contraddistingue i querceti "collinari", posti alle quote meno elevate, mentre, come abbiamo visto, la betulla e il sorbo montano sono presenti ai confini con le faggete. Il Carpino bianco, invece, nelle vallette più fresche arriva a formare veri e propri consorzi dove si possono ammirare belle fioriture come quella del campanellino (Leucojam vernum).
Un'altra specie legnosa merita di essere ricordata: il tiglio (Filia cordata). Anticamente era una delle essenze forestali più diffuse sui nostri monti e oggi, nei boschi di Montenotte, se ne trova ancora qualche raro e maestoso esemplare.
La struttura chiusa e ombrosa di questi boschi influisce non solo sul popolamento vegetale del sottobosco, ma anche su quello animale. Tra gli uccelli più comuni è la ghiandaia (Garrulus glandarius), un corvide dai colori molto vivaci che si trova particolarmente a suo agio per motivi di alimentazione nei boschi della Riserva, ricchi di ghiande, nocciole e faggiole, che in autunno raccoglie in grande quantità per poi immagazzinarle in autentiche dispense. L'abbondante produzione dei querceti attira altri consumatori: durante il passo autunnale interi stormi di colombacci (Colomba palumbus) frequentano questi ambienti, così come cinghiali, scoiattoli e altri vertebrati terrestri che vi trovano cibo a sufficienza. Sui tronchi, intento a ricercare insetti Litofagi (divoratori del legno), è possibile scorgere il picchio verde (Picus viridis). Facile a udirsi, ma molto elusivo, è invece il picchio muratore (Sitta europaea), che si arrampica instancabilmente sulla corteccia degli alberi e produce un caratteristico tambureggiare simile a quello dei picchi, pur appartenendo a un'altra famiglia. Viene chiamato muratore perché è solito lavorare con fango e terriccio i buchi nei tronchi, adattandovi l'apertura del proprio nido.
Molti mammiferi sono presenti in questi boschi: ghiri, ricci e piccoli carnivori come la donnola (Mustela nivalis) e la faina (Martes Moina). Non è raro inoltre trovare tracce di animali più grossi quali il tasso, la volpe, il cinghiale e il capriolo che, grazie alla loro notevole adattabilità, si possono incontrare indifferentemente in tutti gli ambienti della Riserva.

I boschi montani

La maggiore attrattiva della Riserva 3M è data senza dubbio dai bellissimi ed estesi boschi di faggio (Fagus salvatica) che ne rivestono i versanti. Pur avendo subito per secoli lo sfruttamento da parte dell'uomo, le faggete hanno sempre mantenuto un importante ruolo ecologico, rappresentando la principale copertura forestale in questo tratto di Appennino, per lo meno nelle zone più elevate ed esposte a nord. Oggi, per l'evidente abbandono della montagna ligure che ha implicato una flessione nell'attività di taglio e, soprattutto, grazie alla creazione della zona di tutela dell'Adelasia, la faggeta sta tornando al suo antico splendore. In effetti, il paesaggio che si offre a chi si affaccia dalla Rocca è estremamente suggestivo, particolarmente in autunno quando le chiome dei faggi si tingono delle più varie tonalità del rosso, del giallo e dell'ocra. Ma in tutte le stagioni dell'anno, persino in inverno, anche una semplice passeggiata in mezzo a questi alberi, alcuni dei quali di dimensioni monumentali, costituisce un'esperienza ricca di emozioni e di interesse naturalistico.
La faggeta rappresenta nell'Appennino la più tipica associazione forestale del piano montano, occupando quella che per le caratteristiche climatiche gli studiosi hanno definito come fascia subatlantica. Questa fascia, infatti, è caratterizzata da un clima affine a quello dell'Europa oceanica, con una umidità moderata ma persistente e con oscillazioni termiche poco pronunciate. Il faggio può raggiungere anche i 40 metri di altezza e presenta una tipica corteccia liscia color cenere e foglie ovali di un bel verde lucido. I suoi frutti, le faggiole, sono acheni ricoperti completamente da un guscio bruno e spinoso. Anch'essi, come le ghiande e le castagne, sono un nutrimento assai gradito da uccelli e mammiferi.
Il faggio si può incontrare quasi ovunque nella Riserva, anche all'interno dei vecchi castagneti da frutto e dei querceti: ma si tratta per lo più di pochi esemplari discesi per situazioni microclimatiche particolarmente fresche, mentre è soltanto alle quote più alte, al di sopra del cerro e del rovere, che si sviluppano le faggete più belle. Il loro aspetto è quello dei cosiddetti "cedui invecchiati": poiché l'attività di taglio è stata sospesa già da alcuni anni, vi è una naturale tendenza del bosco a tornare verso l'alto fusto. Possiamo così osservare polloni di una certa età che si sviluppano a partire da vecchie ceppaie e con le loro chiome tendono a ricostituire una copertura piuttosto densa. Qua e là, anche al margine del sentiero, è facile riconoscere per il portamento saldo e il tronco colonnare le matricide, ossia quelle piante che, per il loro vigore e la capacità fruttifera, venivano lasciate intatte al fine di consentire il naturale rinnovamento della faggeta attraverso la maturazione e la germinazione dei semi. Lungo i sentieri non è infrequente imbattersi in esemplari giovani, presumibilmente pieni di vita, abbattuti, divelti o schiantati. Ciò si verifica perché i polloni che si sviluppano dopo la ceduazione hanno un massa di rami e di fronde sproporzionata rispetto all'esiguo apparato radicale della ceppaia. Di conseguenza, in occasione di nevicate abbondanti, il peso eccessivo delle parti subaeree fa crollare l'intera pianta.
Gli alberi d'alto fusto, assai più robusti e proporzionati, non soffrono queste avversità ed è anche per tale motivo che oggi, in una gran parte dei boschi abbandonati, si tende alla "conversione" in alto fusto dei cedui: talora è sufficiente favorire, ceppaia per ceppaia, lo sviluppo del pollone che appare più forte e rigoglioso, eliminando gli altri.
Le faggete più belle sono quelle che si incontrano fra il Bric del Tesoro, il Curlino e il Bric dell'Amore, nella zona detta il Costellasso. Qui il faggio, che è presente anche con individui secolari dai tronchi di circonferenza superiore ai tre metri, forma un bosco uniforme e pressoché esclusivo. Tra le poche altre specie arboree presenti si possono ricordare il cerro, il rovere, il carpino bianco e il nocciolo. Assai caratteristica, seppure piuttosto localizzata, è la presenza in questa fascia dell'acero di monte e del tiglio.
La lettiera di faggio abbonda di elementi nutritivi e il suolo, di tipo leggermente acido, particolarmente ricco e profondo, accoglie specie Femorali (ossia legate al bosco e alla sua ombra), per lo più erbacee. L'unica legnosa di un certo rilievo è l'agrifoglio (Ilez aquifolium), molto decorativo per via delle bacche rosse e delle foglie persistenti, di colore verde scuro e dai margini spesso spinosi, che d'inverno spiccano nello spoglio panorama del bosco. Ricordiamo anche alcune felci Dryopteris filiz-mas e Athyriumfiliz-foemina, conosciute come felce maschio e felce femmina- e numerose piantine dalle magnifiche fioriture che spesso per bellezza non hanno nulla da invidiare a quelle delle radure e dei prati.
Quando ancora le chiome degli alberi sono spoglie e la primavera è lontana, approfittando della maggiore illuminazione e affatto turbate dalle chiazze di neve, fioriscono alcune bulbose piuttosto appariscenti, come il dente di cane, la scilla a due foglie (Scilla bifolia) e il campanellino. Tra le specie in fiore nella bella stagione ci sono il geranio selvatico (Geranium nodosa), Sazifraga cuneifolia e alcune orchidee (Orchis maculata e Neottia nidus-avis). Dove la faggeta tende a diradarsi è talvolta possibile ammirare il giglio martagone (Lilium martagon) una splendida liliacea dai tepali rosa acceso, abbastanza rara in questo tratto dell'Appennino.
Le piogge di fine estate fanno maturare i corpi fruttiferi di alcuni fra gli ospiti più interessanti del bosco: i funghi. A parte alcune specie in evidenza tutto l'anno, per lo più coriacee e circoscritte al tronco degli alberi o al legno morto, è particolarmente da agosto a ottobre che si possono ammirare le forme e i colori più svariati dei macromiceti (funghi visibili a occhio nudo). Per quanto possano far gola per le loro carni gustose, bisogna assolutamente trattenersi dal raccoglierli, per non disturbare i delicati equilibri ecologici del bosco. Ci sono infatti importanti rapporti di interdipendenza tra le radici delle piante superiori e i miceli fungini. Inoltre, tutti i funghi, anche i più umili e quelli ben noti per la loro tossicità, rivestono un ruolo preciso all'interno dei cicli energetici del bosco, e vanno perciò rispettati. Contribuiscono fra l'altro alla degradazione di sostanze morte (legno, sterco, carogne di animali ecc.), costituendo nello stesso tempo un alimento gradito da molti erbivori, ungulati compresi. Fra i macromiceti più comuni figurano i boleti, le amanite, i lattari, le russule e i cantarelli.
Gli animali che vivono in queste faggete sono numerosissimi e occorrerebbero anni per conoscerne a fondo comportamento e abitudini. Alcuni di essi però, perché meno schivi, si lasciano intravedere, talvolta addirittura ammirare; altri - i più piccoli - non avvertono neppure la presenza dell'uomo e continuano indisturbati le loro attività; altri ancora lasciano tracce ben riconoscibili, come orme, escrementi, resti di pasti, oppure si fanno sentire attraverso richiami, canti e versi. Chi possiede occhi e orecchie attenti e si muove in maniera prudente e silenziosa può farsi un'idea del tipo di fauna presente nel bosco. Il discorso, ovviamente, vale per tutti gli ambienti della Riserva 3M, ma è il bosco di faggio, così tranquillo e incontaminato, ad offrire le emozioni più vive.
Molti uccelli sono legati in modo particolare alle fronde o ai tronchi del faggio. Vanno segnalati due insettivori, la cincia mora (Parus ater) e il codibugnolo (AegitEalos caudatus), quest'ultimo riconoscibile per la coda lunga e sottile. Altro nidificante è il ciuffolotto (Pyrrhula pyrrhula), dall'inconfondibile richiamo monotono e dal becco conico e tozzo, tipico dei granivori, così robusto da consentirgli di spaccare anche i semi più duri. Sui tronchi di alcuni alberi morti è possibile osservare i fori prodotti dal picchio rosso maggiore (Dendrocopos major), che si ciba per lo più di insetti e di larve che vivono nel legno, ma non disdegna prede più grosse saccheggiando anche i nidi dei piccoli passeriformi. Durante l'inverno, gran parte della sua dieta è costituita da nocciole e dai vari semi che si possono trovare in faggeta. Non è raro scorgere nelle screpolature delle cortecce gusci spaccati e altri resti: i picchi usano infatti incastrare i semi nelle fessure dei tronchi per meglio romperli a colpi di becco.
Gli animali sicuramente più abbondanti nelle faggete, sia per quantità sia per numero di specie, sono comunque gli invertebrati: numerosi sono quelli presenti nel terreno, particolarmente ricco di vita, che annovera moltissimi organismi di dimensioni minuscole. Essi si nutrono di sostanze organiche già decomposte dalla flora batterica o di muffe e funghi microscopici, oppure parassitano le radici delle piante superiori. Molti invertebrati, soprattutto molluschi e insetti, sono legati alla lettiera, cioè allo strato di foglie morte e in decomposizione che ricopre il suolo del bosco: un certo numero di questi, per esempio i tenebrionidi e alcuni scarabeidi, si nutre direttamente dei detriti vegetali, contribuendo così alla formazione di humus; altri sono voraci predatori, spesso molto specializzati. Tipico il caso del coleottero carabide Cychrus italicus che si nutre esclusivamente di chiocciole. Non mancano poi i saprofapi, ossia quegli animali che si cibano di sostanza organica in decomposizione e che, insieme ai consumatori primari (erbivori) e secondari (carnivori), contribuiscono a costituire un ecosistema completo.

I corsi d'acqua

I numerosi torrentelli e rii che formano il reticolo idrografico del Rio Ferranietta incidono profondamente i versanti della Riserva dell'Adelasia e rendono il paesaggio ancora più vario, arricchendolo di ambienti caratteristici.
I corsi d'acqua principali sono il Rio dei Frai, con i suoi affluenti Acqua che Bolle e Lamone, e il Rio Cianetto, che ha origine dalla confluenza del Rio Barche col Rio Psigni. Questi torrentelli vengono alimentati alle quote più elevate da numerose sorgenti e sono caratterizzati da un andamento particolarmente scosceso a causa della notevole pendenza dei versanti. Nella prima parte del loro percorso le acque torrentizie hanno scavato nei fianchi dei rilievi profondi fossati, il cui letto sassoso è coperto da un'intricata vegetazione arbustiva. Alle quote intermedie i corsi dei torrenti, ricevuti alcuni piccoli affluenti, aumentano la loro portata e presentano un alveo ciottoloso e ghiaioso. Nel tratto finale gli affluenti del Ferranietta attraversano una zona pianeggiante di tipo alluvionale, rallentando il proprio corso e deponendo sul fondo sabbia e argilla.
In prossimità dei torrenti, riparati dalla luce del sole da una fitta copertura arborea e provvisti di acqua in tutti i periodi dell'anno, si sviluppa un microclima fresco che favorisce piante e animali amanti dell'umidità. La morfologia stessa di questi ambienti è elemento di grande attrazione: le pozze d'acqua limpida, i piccoli meandri, le cascatelle, i grandi massi erratici provenienti dalle rocche sovrastanti sono immersi in una vegetazione rigogliosa. La varietà di specie animali e vegetali rende le sponde dei torrenti una meta interessante per il naturalista, oltre che un piacevole luogo di sosta per l'escursionista.
La vegetazione arborea più caratteristica delle rive di questi corsi d'acqua nei tratti pianeggianti è data dall'ontano nero (Agnus glutinosa) e da varie specie di salice. Più in quota e lungo il corso scosceso dei numerosi rii si incontrano piante del bosco particolarmente legate agli ambienti freschi e umidi: alberi come il carpino bianco e il sambuco (Sambucus nigra), e felci come la lingua cervina. Sui sassi che emergono dalle acque si trovano numerosi muschi ed epatiche e, verso marzo-aprile, un bel fiore giallo tipico dei ruscelli montani, la calta palustre (Caltha palustris).
Moltissimi sono gli invertebrati che allo stadio immaturo o adulto frequentano i corsi d'acqua del Ferranietta. Esistono alcuni gruppi come i plecotteri, gli efemerotteri e i tricotteri, le cui forme giovanili vivono esclusivamente nei torrenti freschi e ben ossigenati e che dipendono in modo strettissimo dalla purezza delle acque: sono infatti provviste di organi respiratori (tracheobranchie) molto sensibili a ogni cambiamento delle caratteristiche chimico-fisiche dell'acqua. Comunissimi abitatori dei ruscelli sono anche numerosi emitteri, alcuni dei quali (ad esempio, i gerridi) hanno zampe particolari che gli consentono di "pattinare" sull'acqua. Altri vivono nel mezzo liquido sia camminando sul fondo, come lo scorpione d'acqua (Nepa cinerea), sia nuotando, come le notonette che se ne stanno girate sul dorso per avvistare immediatamente le prede cadute nell'acqua. Anche i coleotteri sono ben rappresentati: frequenti i girinidi, così chiamati perché girano velocemente in tondo sull'acqua e sono ormai incapaci di camminare a terra dato che le loro zampe si sono trasformate in palette natatorie. I girinidi hanno un'altra caratteristica: gli occhi sono divisi in due parti, una che guarda verso l'alto, l'altra che guarda verso il basso. In questo modo riescono a individuare sia sott'acqua che sul pelo tutti gli invertebrati di cui si nutrono. Tra gli insetti predatori non vanno dimenticate le libellule, le cui forme giovanili, molto voraci, sono in grado di attaccare non solo invertebrati ma anche girini e piccoli pesci.
Altri animali comuni nelle acque sono le sanguisughe, ectoparassite di pesci e di anfibi, e alcuni molluschi gasteropodi (chiocciole acquatiche) che si nutrono di alghe e detriti vegetali. È da rilevare infine la presenza del gambero di fiume (Austropotamobius pallipes), un crostaceo di colore bruno che può raggiungere i 15 centimetri di lunghezza, provvisto di un paio di grosse chele con cui cattura le sue prede (lombrichi, chiocciole).
Tra i pesci ricordiamo le trote, spesso reintrodotte per la pesca, le alborelle, piccoli pesci di colore argenteo, e i cavedani, di maggiori dimensioni e di colore verde scuro. Nel tratto inferiore del Ferranietta sembra inoltre che viva ancora il barbo canino.
Gli ambienti umidi e i corsi d'acqua sono essenziali per la sopravvivenza di molti anfibi che vi depongono le uova e svolgono la fase larvale del loro ciclo vitale. I più diffusi sono il rospo comune (Bufo buffo), che depone le uova in lunghi cordoni gelatinosi; la rana rossa (Rana temporaria), le cui uova formano ammassi sferici dai quali a primavera nascono i girini, e la salamandra gialla e nera (Salamandra salamandra), che genera in acqua larve già autosufficienti. Solo dopo la metamorfosi, mediante la quale si formano i polmoni e gli arti atti alla deambulazione terrestre, gli anfibi escono dall'acqua, diffondendosi negli ambienti circostanti.
Anche alcuni rettili sono frequenti nei rii della Riserva: si tratta della comune biscia d'acqua, o biscia dal collare (Natriz natriz), di colore grigio con un collare bianco intorno al capo, e della natrice viperina (Natriz magra), dalla colorazione bruna con macchie più scure sui fianchi. Entrambe sono ottime nuotatrici e si cibano di pesci e anfibi. Possono venire scambiate per vipere e perciò vengono spesso uccise anche se sono assolutamente innocue.
Uccelli tipici degli ambienti torrentizi sono la ballerina gialla (Motacilla cinerea) e il merlo acquaiolo (Cinclus cinclus), che vivono in prossimità dei ruscelli e si alimentano di molluschi, crostacei, insetti e larve di anfibi. La ballerina deriva il suo nome dal modo ritmico e ondeggiante con cui muove la lunga coda quando è posata. Il merlo acquaiolo, buon nuotatore, è un uccelletto tozzo dalla coda piuttosto corta, di colore marrone uniforme con una macchia bianca sul petto. Nidifica di preferenza lungo i corsi d'acqua ricchi di cascatelle e caccia le sue prede in immersione nuotando contro corrente o "camminando" sul fondo anche per lunghi tratti.
I mammiferi strettamente legati all'acqua non sono numerosi e per di più sono assai difficilmente osservabili. Ricordiamo il toporagno d'acqua (Neomysfodiens), abile tuffatore e predatore di piccoli pesci e invertebrati, e l'arvicola (Arvicola terrestris), roditore attivo soprattutto di notte. Nel basso corso del Ferranietta era presente, fino agli anni Quaranta, la lontra (Latra latra), grosso mustelide che si nutre prevalentemente di pesci, gamberi e anfibi. Questo animale oggi è praticamente scomparso dalla Liguria ed è rarissimo in tutta Italia, a causa degli inquinamenti e della caccia spietata di cui è stato oggetto prima di venire incluso tra le specie protette.

Le radure

Nell'area prevalentemente acclive della Riserva dell'Adelasia, le superfici pianeggianti non sono numerose. Furono disboscate fin dai tempi antichi e molte famiglie contadine vi si stabilirono per coltivarle e talvolta per allevare bestiame. Dopo la seconda guerra mondiale gran parte dei terreni e delle abitazioni vennero abbandonati. Le zone più difficilmente accessibili si trovano oggi in stato di totale abbandono e tendono ad essere invase da arbusti e piante infestanti. In qualche caso sono tornati a prendersi cura di questi terreni i cacciatori locali, seminandovi piante foraggere e innestando i vecchi alberi da frutta per facilitare la sopravvivenza invernale della selvaggina reintrodotta a scopo venatorio (fagiani e lepri). Benché nell'Appennino ligure le radure e i prati siano ambienti instabili, destinati ad essere prima o poi ricoperti da una vegetazione prevalentemente arborea, la loro presenza nella Riserva 3M contribuisce comunque ad aumentare l'abbondanza specifica di piante e animali.
Nei prati le specie vegetali più numerose sono le graminacee, molte leguminose (trifogli), alcune crucifere (per esempio, Bunias erucago) e numerose composite (pratoline, tarassaco o dente di leone, cardi, centauree ecc. ). Sono presenti anche molte specie dalla fioritura vistosa, come i crochi, i papaveri, i narcisi e il bellissimo giglio di San Giovanni (Lilium bulbiferum), dai grossi fiori arancione. Tale vegetazione richiama al pascolo moltissimi erbivori che, a loro volta, attirano un certo numero di grandi e piccoli predatori: e così si viene anche qui a costituire una catena alimentare completa.
Tra gli invertebrati abbondano soprattutto i molluschi chiocciole e limacce e gli insetti. Molti di essi sono impollinatori come le farfalle (lepidotteri), gli imenotteri (api, vespe e bombi) e alcuni coleotteri. I lepidotteri più belli sono i papilionidi, come il macaone (Papilio machaon) e il podalirio (Iphiclides podalirius), grosse farfalle di abitudini diurne, con le ali provviste di lunghe code che attirano l'attenzione dei predatori lontano dai punti vitali dell'animale. Anche i bruchi, cioè le larve delle farfalle, sono spesso bellissimi: i più colorati risultano molte volte anche tossici dissuadendo così i potenziali predatori. Si nutrono delle parti verdi delle piante e la maggior parte di essi è vincolata a un'unica famiglia o addirittura a una sola specie vegetale. Per esempio, i bruchi della vanessa occhio di pavone (Inachis io) e di Vanessa atalanta si cibano solamente dell'ortica, mentre il grosso bruco rosso e nero della farfalla notturna Hyles euphorbiae mangia solamente l'euforbia a foglie di cipresso (Euphorbia ciparissias) o una specie affine, la mercuriale (Mercurialis annua).
Tra i piccoli predatori vi sono aracnidi (ragni e opilionidi) e molti coleotteri, soprattutto carabidi, stafilinidi e coccinellidi, tra cui la ben nota coccinella a sette macchie, vorace divoratrice di afidi.
Nelle aree aperte e più assolate vivono diverse specie di rettili, animali la cui temperatura corporea dipende dall'ambiente esterno e che, prima di essere attivi, debbono scaldarsi ai raggi del sole. Tra i più comuni vi sono il ramarro, grossa lucertola di colore verde brillante che si nutre prevalentemente di insetti, e l'orbettino, un sauro senza zampe dal corpo serpentiforme, che si ciba di vermi, molluschi e larve di insetti. Nelle zone sassose, sui muretti a secco e tra i ruderi vivono di preferenza la lucertola muraiola e la vipera comune che, con il suo potente veleno, caccia e uccide piccoli mammiferi e nidiacei di uccelli, per poi cibarsene.
Tra i mammiferi che frequentano le radure ricordiamo la talpa e la lepre che, come abbiamo già detto, viene sporadicamente introdotta a scopo venatorio. Molti animali poi compaiono durante le loro battute di caccia: i più comuni sono la faina, la donnola e la volpe, attive al crepuscolo, e gli strigidi (allocco, civetta, barbagianni), rapaci notturni dal volo silenziosissimo, che si nutrono prevalentemente di piccoli roditori. Durante il giorno, invece, i predatori più comuni sono alcuni uccelli come la poiana e il gheppio, che nelle zone aperte e prive di vegetazione arborea individuano più facilmente le loro prede.
Infine le aree erbose costituiscono terreno di pascolo per il cinghiale e il capriolo. Da alcuni punti panoramici è abbastanza facile osservarli soprattutto alle prime luci dell'alba e al crepuscolo.

L'ambiente delle Rocche

La roccia nuda offre un ambiente interessante e tipico, caratterizzato da alcuni fattori microclimatici che abbiamo già messo in evidenza nelle pagine precedenti. Si tratta di un ambiente particolare, dove viene ospitata una biocenosi (l'insieme delle popolazioni animali e vegetali di una località) molto specializzata. Un'ulteriore selezione sulle forme di vita è data dalla natura della roccia stessa: là dove, infatti, manca il filtro del suolo, l'influenza chimico-fisica del substrato è diretta e determinante. Le rocce carbonatiche accoglieranno pertanto una flora soprattutto calcifila, mentre quelle a composizione silicea, come i metagabbri della Rocca dell'Adelasia, piante ossifile.
L'ambiente rupestre, per questa sua azione selezionatrice sulle biocenosi, riveste una peculiare importanza come "rifugio" o "avamposto" per alcune specie animali e vegetali che riescono così a sopravvivere in aree lontane dal proprio optimum climatico e attitudinale. Tipico esempio di questo fenomeno è la presenza di alcuni lecci sulla sommità della Rocca dell'Adelasia: la pianta si è potuta sviluppare, sia pure solo a livello arbustivo, grazie all'aridità e all'esposizione ai raggi solari della Rocca, che emerge di qualche metro dal contesto arboreo medio-europeo, assai più fresco e ombroso.
Un altro interessante aspetto fieristico delle pareti rocciose è dato dalle felci rupicole, di cui Asplenium trichomanes è senz'altro la specie più diffusa nella Riserva; particolarmente legate alle rocce silicee si possono osservare anche Gymnocarpium robertianum e Asplenfum settentrionale.
Anche la flora lichenica delle rupi, col suo aspetto appiattito, crostoso e policromo, è ben differenziata rispetto a quella dei boschi, che presenta specie più ramificate e talora di aspetto fruticoso. Essa contribuisce ad abbellire queste rocche, spesso già suggestive per i colori di alterazione della pietra: la Cantoria, ad esempio, è un bel lichene rosso-arancio che offre un piacevole contrasto col verde dei metagabbri.
Oltre a una vegetazione di tipo termofilo, le rocche ospitano anche una fauna amante del sole e che sfugge l'eccessiva umidità dei boschi di latifoglie. Le cavità rocciose, dovute al franamento o all'azione erosiva delle acque, sono un ottimo habitat per animali piccoli e grandi che vi si rifugiano. Un rettile abbastanza comune sulle rocce nude ed esposte al sole è la lucertola muraiola che raramente si spinge nelle zone ombrose del bosco. Tra i mammiferi, alcuni piccoli carnivori come la faina e la donnola sono soliti nascondersi fra le rocce, mentre alcuni uccelli da preda quali il gheppio e la poiana sfruttano l'inaccessibilità e la posizione "strategica" delle pareti rocciose per costruirvi il nido.

L'ambiente sotterraneo

Le cavità ipogee sono interessanti non solamente sotto il profilo geologico e mineralogicocristallografico, ma anche per la ricchezza delle forme di vita che spesso ospitano. L'ecosistema ipogeo è del tutto particolare: mancano infatti le piante fotosintetizzatrici e le uniche forme vegetali sono rappresentate da muffe. Di conseguenza, in grotta non possono vivere organismi che si nutrono di piante. Al contrario, è molto abbondante il sedimento organico, in parte trasportato dai corsi d'acqua e in parte rappresentato dalle deiezioni (guano) dei pipistrelli: sono quindi numerosi gli organismi saprofagi e i predatori che di essi si cibano.
Esistono molte categorie di animali che vivono in grotta: i troglosseni, che vi si trovano solo accidentalmente e spesso non vi riescono a sopravvivere; i subtroglofili, che ricercano l'ambiente ipogeo soltanto in alcune fasi della loro vita o che entrano in grotta per seguire un ospite determinato (per esempio, molte specie parassite dei pipistrelli), oppure per cercare un nutrimento particolare come il guano. Infine ci sono animali che si sono perfettamente adattati all'ambiente sotterraneo (troglobi), sviluppando speciali caratteristiche: la mancanza di luce ha fatto perdere loro, spesso in modo totale, l'uso degli occhi, che si sono così atrofizzati. In relazione alla riduzione o scomparsa degli organi visivi si ha molte volte in questi animali un potenziamento di altri organi sensori: negli insetti, in particolare, si osservano un allungamento delle antenne e lo sviluppo di speciali setole che permettono di percepire gli spostamenti dell'aria. Anche le zampe sono di solito molto lunghe, mentre le ali sono ridottissime o mancano del tutto. Infine, in relazione alla costanza della temperatura, molte specie hanno perduto il ritmo riproduttivo proprio degli animali che, vivendo all'aperto in normali condizioni di alternanze climatiche stagionali, hanno epoche di riproduzione ben definite. I troglobi si riproducono tutto l'anno: ma, a causa del rallentato ritmo metabolico, il loro tasso di riproduzione è bassissimo.
Delle numerose cavità sotterranee della Riserva, la più interessante dal punto di vista biologico è la Tana degli Olmi, la quale è attraversata da un corso d'acqua: pertanto è ancora "attiva" e presenta un habitat favorevole a numerose forme di vita. Alcune esplorazioni, infatti, permisero la scoperta di un coleottero, Sphodropsis ghilianii ghilianii, e di molti altri invertebrati. E presente anche un vertebrato, il pipistrello Rhinolophus ferrumequinum, detto ferro di cavallo per la presenza sul muso di una membrana semicircolare, che si rifugia di giorno nella grotta da cui esce all'imbrunire per cacciare insetti, soprattutto farfalle notturne e moscerini.
Purtroppo, dopo le prime esplorazioni, la Tana degli Olmi è stata visitata da persone poco sensibili che hanno distrutto o asportato le concrezioni più belle, per cui oggi ha perduto molto del suo fascino.

L'ambiente dell'uomo

Le attività umane nella Riserva sono oggi molto ridotte rispetto a quelle che per secoli furono presenti nella zona, ma le tracce della vita contadina che si svolgeva nel passato sono tuttora evidenti.
L'azione dell'uomo è sempre stata influenzata dalle forme del paesaggio: dove i versanti sono più ripidi e meno accessibili, il bosco veniva periodicamente ceduato, di solito ogni 15-20 anni. Nei versanti meglio esposti e più facilmente raggiungibili la copertura originaria già in tempi molto antichi fu sostituita con il castagneto. Là dove le forme del paesaggio si facevano invece più dolci e pianeggianti, il bosco venne tagliato per creare spazi atti alle coltivazioni. È in corrispondenza di queste "piane" che furono costruite le case coloniche e si formarono piccoli nuclei rurali. Attualmente, la maggior parte delle case contadine della zona sono abbandonate e gli unici insediamenti rimasti sono quelli situati in aree limitrofe alla Riserva 3M, lungo i fondivalle pianeggianti, come le case Caramellina, Ziulina, Sarvagliona e Pisano.

Pregi della flora e della fauna

Dal punto di vista floristico, la Riserva dell'Adelasia è ricca di elementi di interesse: basti pensare che nei boschi si contano più di 40 specie arboree e che alcuni esemplari hanno un'età ragguardevole, come testimoniano le dimensioni dei tronchi. Oltre a questi veri e propri "monumenti arborei", occorre segnalare la presenza tutt'altro che sporadica di una pianta assai particolare: Quercus crenata, una quercia rara in Italia e talvolta confusa con il leccio. In realtà, essa presenta esteriormente caratteri intermedi fra il cerro e la sughera (Quercus suber), e qualche botanico la considera un ibrido tra le due specie. Il fogliame, abbastanza simile a quello della quercia da sughero, è però semipersistente, cadendo in maniera molto graduale solo a partire da febbraio-marzo, mentre il tronco appare chiaro e suberoso. I frutti, per la maggior parte sterili e deformi, hanno una cupola ricciuta che ricorda quella delle ghiande del cerro. Un'altra quercia, il leccio, si trova in qualche stazione particolarmente favorevole (Rocca dell'Adelasia). La presenza di questo sempreverde mediterraneo tra i boschi medioeuropei e subatlantici della zona è da considerarsi del tutto straordinaria.
Ad accrescere il valore naturalistico della Riserva contribuiscono anche alcune forme erbacee dalla splendida fioritura: il giglio martagone, il giglio di San Giovanni, il campanellino, il dente di cane, la scilla a due foglie, svariate orchidee e inoltre il pungitopo. Tutte queste piante vengono spesso indiscriminatamente raccolte per la loro bellezza e pertanto sono state protette da una apposita legge che, totalmente o parzialmente, ne proibisce la raccolta in tutta la Liguria.
Di grande interesse ecologico è la discesa o, viceversa, la risalita attitudinale di alcune specie vegetali rispetto alle quote normalmente occupate: ne sono un esempio il pungitopo, frutice mediterraneo che raggiunge talora il livello dei faggi, e il mirtillo nero (Vaccinium myrtillus), arbusto tipico dei boschi e dei pascoli d'alta quota, che scende al di sotto dei 600 metri tra querce e castagni.
La Riserva dell'Adelasia ospita infine una forma endemica ligure-piemontese, che si rinviene sulle Alpi Marittime e sull'Appennino settentrionale: Crocus medius, lo "zafferano ligure". Questo croco fiorisce in autunno e col suo bel colore violaceo ricopre i prati e le radure. Secondo studi recenti, le popolazioni liguri della pianta sarebbero costituite da una specie a se, Crocus ligusticus, leggermente diverso dalla forma piemontese. L'ulteriore delimitazione territoriale aumenta il pregio scientifico della specie, contribuendo a rendere ancora più prezioso il significato di questo endemismo per la flora ligure.
La fitta e ancora ben conservata copertura boschiva e la scarsa pressione antropica nella Riserva, unite alla varietà di ambienti e alla presenza di numerosi corsi d'acqua, hanno favorito il mantenimento di un consistente patrimonio faunistico. La ricchezza di specie animali è infatti indice di buona salute ambientale e i boschi di Montenotte, da questo punto di vista, sono tra i migliori in Liguria. Vengono tuttora segnalate specie particolarmente sensibili alle modificazioni ambientali e alla presenza dell'uomo e alle sue attività. Si tratta di animali molto schivi, la cui sopravvivenza si regge su equilibri delicati che possono venire facilmente compromessi, per esempio con il taglio del bosco o con mutamenti anche minimi nel microclima di un ambiente.
Emblematico è il caso dello sparviero (Accipiter Visus), un rapace diurno appartenente alla famiglia degli accipitridi, segnalato come nidificante nella zona. È un predatore che caccia soprattutto in volo basso e si nutre di piccoli uccelli e insetti. Costruisce il nido su alberi alti e ha bisogno per riprodursi di un'area molto tranquilla e protetta da "intrusi" che possano disturbarlo.
Un'altra specie che sembra frequenti ancora i boschi di Montenotte è la puzzola (Mustela putorius), piccolo mammifero ormai raro in Liguria, che abita i fitti boschi di latifoglie e si nutre prevalentemente di anfibi, roditori, uccelli e uova, non disdegnando comunque le bacche e i frutti selvatici.
L'elemento faunistico più caratteristico della zona è indubbiamente il capriolo (Capreolus capreolus). Il piccolo cervide, estintosi in Liguria probabilmente già nel XVII secolo, venne reintrodotto nei boschi di Montenotte dai dirigenti della Ferrania Film in un fondo chiuso di proprietà dell'azienda situato pochi chilometri a ovest della Rocca dell'Adelasia. Nel 1956 furono rilasciati tre femmine e un maschio, e successivamente altri esemplari, tutti provenienti dalla Jugoslavia. I caprioli si ambientarono rapidamente e la popolazione raggiunse negli anni Sessanta una densità elevata. Per questa ragione, l'Assessorato provinciale alla Caccia concesse alla Società proprietaria della Riserva l'autorizzazione ad abbattere fino a dieci capi per anno. Quando la 3M Italia rilevò la Ferrania Film, non ritenne opportuno rinnovare la concessione e il fondo, su richiesta della Federcaccia di Ferrania, venne dichiarato "zona di rifugio faunistico", allo scopo di proteggere la crescente popolazione di caprioli. Col tempo, le recinzioni hanno ceduto e il capriolo ha preso a diffondersi in tutta la zona circostante. L'ambiente boscoso risultò molto favorevole per questo ungulato, che si è propagato nell'intera alta Val Bormida e in vaste zone dell'entroterra di Savona. Attualmente la sua area di distribuzione in Liguria ha come centro la Rocca dell'Adelasia e come limiti occidentale e orientale, rispettivamente, i dintorni di Calizzano e Sassello. Ma il capriolo si spinge anche oltre lo spartiacque tirrenico-padano, lungo la zona costiera del Finalese, soprattutto in inverno, quando la neve e le rigide condizioni climatiche limitano la disponibilità di cibo alle quote più elevate. Tra gli ungulati reintrodotti in Liguria, il capriolo è quello che meglio si adatta alla morfologia e alle caratteristiche dell'Appennino in quanto è capace di sfruttare la grande varietà di risorse del bosco. Il suo impatto sulle coltivazioni, inoltre, risulta trascurabile in rapporto a quello di altri ungulati, per esempio il cinghiale. L'ottimo stato fisiologico e la continua espansione mostrano come la specie abbia utilizzato una nicchia ecologica che le competeva naturalmente, senza creare gravi squilibri nell'ambiente in cui vive.
Nei boschi della Riserva l'incontro con il capriolo è di solito abbastanza raro, in quanto l'animale è timido ed elusivo. Il modo migliore per osservarlo è di appostarsi, all'alba o al tramonto, in prossimità delle radure dove va a pascolare soprattutto in inverno. Più facile è trovare le tracce che i maschi lasciano sugli arbusti (Fregoli) per liberare le corna dal velluto o per delimitare il territorio durante la stagione degli accoppiamenti.
Oltre al capriolo, i boschi dell'alta Val Bormida danno rifugio a un altro cervide: il daino (Dama dama), che si distingue per la taglia maggiore e per avere palchi palmati e di grandi dimensioni. Nel Savonese il daino fu reintrodotto a più riprese fin dagli anni Settanta, utilizzando individui provenienti dalla tenuta presidenziale di San Rossore, in Toscana. Poco adatto a vivere in zone scoscese e coperte da una fitta vegetazione come quella della Riserva, il daino non sembra capace di costituire popolazioni consistenti. Le rare tracce che si possono osservare paiono perciò attribuibili a individui erranti provenienti da zone limitrofe.
Anche il cinghiale (Sus scrofa) è presente nei boschi di Montenotte. Negli ultimi anni ha fatto registrare un enorme incremento numerico specialmente a causa della elevata prolificità e dell'abbandono delle campagne, provocando danni ingenti non solo agli orti e alle coltivazioni, ma anche al sottobosco e a molte specie animali che lo abitano. Il cinghiale, infatti, è un vorace onnivoro che non disprezza le uova e i nidiacei degli uccelli nidificanti sul terreno, le salamandre e arriva anche a predare le cucciolate di altri mammiferi. In assenza di grandi carnivori, quali la lince e il lupo, l'unico suo nemico naturale rimane la volpe. Durante la notte abbandona le zone più impervie e inaccessibili del bosco per scendere a valle, giungendo talvolta a saccheggiare i campi coltivati. Facilmente osservabili sono le tracce che lascia sul suo cammino, quali le arature prodotte con il grugno e gli insozzi, pozze melmose in cui si rotola coprendosi di fango.
La ricchezza degli ambienti favorisce anche una numerosissima e molto diversificata fauna a invertebrati. Tra i crostacei, è significativa la presenza del gambero di fiume, ormai raro in Liguria perché strettamente legato alle acque correnti e ben ossigenate, e perciò molto delicato e sensibile a ogni forma di inquinamento. Esso costituisce dunque un importante indicatore biologico, in quanto offre una precisa testimonianza del grado di purezza dei corsi d'acqua della Riserva 3M.
Molto varia è poi la fauna a insetti, soprattutto quelli legati al bosco. La lettiera ospita diverse specie: dai consumatori primari, fitofagi, ai consumatori secondari, predatori, ai saprofagi, necrofagi e detritivori, che si nutrono di sostanze vegetali o animali in decomposizione. Molti dipendono da un determinato tipo di pabulum e, se questo viene a mancare, anche essi scompaiono. I più interessanti sono i coleotteri carabidi, predatori sia allo stato adulto sia a quello larvale, attivi soprattutto al crepuscolo. Nella Riserva si contano ben 11 specie appartenenti al genere Carabus: un caso quasi unico per i boschi della Liguria.
Di estremo interesse è anche la fauna legata al legno morto: insetti xilofagi e loro predatori che, date l'abbondanza e la diversità di specie legnose, sono molto numerosi. I più significativi sono alcuni coleotteri appartenenti alle famiglie dei lucanidi, cerambicidi, elateridi. Si tratta di insetti piuttosto grossi (raggiungono la lunghezza anche di 5-6 centimetri), le cui femmine scavano la corteccia di alberi in genere già malati o morti per deporvi le uova. La larva che si sviluppa si affonda nel legno, scavando con le potenti mandibole una galleria in cui si accresce e rimane - talvolta anche per vari anni - fino a quando, poco prima della metamorfosi, non si porta in superficie sotto la corteccia. Qui avviene la muta e l'insetto adulto si invola.
Gli xilofagi sono importantissimi per l'equilibrio del bosco perché sono praticamente gli unici che riescono in breve tempo a trasferire l'energia contenuta nel legno in sostanza organica più facilmente utilizzabile sia dalle piante sia da altri animali. È quindi opportuno che gli alberi morti non vengano rimossi per non infrangere i delicati equilibri naturali.
Molti animali presenti nella Riserva sono particolarmente interessanti dal punto di vista biogeografico: i boschi di Montenotte, infatti, sono situati in una zona di confine dell'areale di alcune specie. Nella regione si spingono specie delle Alpi Liguri (e dei Dominii Provenzali) che raggiungono qui il limite orientale della loro distribuzione, come alcuni coleotteri: Sphodropsys ghilianii ghilianii, Carabus problematicus inflatus, Carabus monticata e Drymochares truquii, un cerambicide la cui larva vive solamente nel legno dei noccioli, faggi e ontani. Sono diffuse anche molte specie di vertebrati e invertebrati tipicamente alto-montane. Evidentemente, nonostante che le cime della Riserva non raggiungano i 900 metri, l'area ha caratteristiche climatiche, e quindi floristiche e faunistiche, tipiche di ambienti alpini. È il caso di alcuni uccelli come il ciuffolotto e il beccafico (Sylvia boria), segnalati come nidificanti nei boschi di Montenotte e che di solito prediligono come luogo di riproduzione l'area delle Alpi.