Sono rari i forestieri di conto tratti alla città di Aqui nella valle della Bormia dalla salubrità delle Terme che là si trovano o da altro motivo, cui vaghezza non prenda di sapere le vicende, alle quali essa soggiacque, avendone la maggior parte letta onorevole menzione appresso di gravi autori d’ogni età, e ravvisandone d’ intorno alle mura, e nel recinto vestigie d’antichità remotissima, indizi di non volgare magnificenza. Cresce poi molto più ardente la curiosità loro, quando nel palazzo vescovile entrati mirano la serie de’ Prelati, onde fin da’ primi secoli del Cristianesimo si crede, che fosse governata quella chiesa, ne’ ritratti colà nel salone con belò ordine, e simmetria disposti; quando portano lo sguardo su’ brevi elogi ad ogni effigie relativi, cui mediante additate ne vengono le azioni più chiare; e quando si arrestano a considerare le quattro iscrizioni principali, che adornano la facciata di quel pregievole museo. Quindi è. ch’io, la cui professione rendeva forse più che verun altro esposto alle interrogazioni di tali persone, cento volte ne sona stato il bersaglio, ed ebbi ne’ primi anni della mia direzione del militare a quelle Regie Terme il rossore di trovarmi privo delle notizie, che può mi sarebbero state indispensabili per appagare ognuno: per la qual cosa mi diedi a procacciarmene quante mi fu possibile. Il continuo colloquio co’ cittadini Aquesi meglio informati delle cose della patria loro; la lettura de’ libri, che m’ immaginava contenerne; l’assiduità mia ben sovente importuna presso di chiunque sospettavasi possessore di carte, di pergamene antiche, e d’altri manoscritti, contribuirono a fornirmi di cognizioni a segno che finalmente arrivai a potere con qualche franchezza rispondere alle questioni, che sopra di Aqui mi si facevano dagli eruditi, e da’ curiosi. Ma le parole volano, ed appena pronunciate non sono più; inoltre fra tanti, a’ quali sarebbono gratissime riescite le notizie istoriche da me raccolte, queste dame esposte pervennero all’orecchio d’un numero troppo picciolo: ad appagamento dunque di tutti, ed a conservazione di documenti, che non poco lustro arrecano alla suddetta città, e che di leggieri smarrire si potrebbero (come accadde pur troppo di molti assai rilevanti ad onta della mia diligenza, anche nelle mie mani) ove più a lungo si tardasse ad assicurarli dalle ingiurie del tempo, dalla malizia, e dalla ignoranza, collocandoli riuniti in un sito, ed appoggiandogli a persone, che dal vorace dente di quello, e di queste li difendano, gli estrassi dalli miei zibaldoni, e m’arrischio di presentargli a voi, Soci virtuosissimi, che alla dilucidazione delle cose patrie con sì laudevole zelo attendete, contento d’ unire in questa guisa per tal fine le deboli mie alle vigorosissime vostre fatiche, e di contribuire al decoro di quella città, che ho tenuto per ott’ anni in conto di patria. Aveva io ridotte le notizie , che qua vi reco; per maggior chiarezza, sotto alcuni capi adattabili a tutte le parti delle quattro mentovate iscrizioni, perché sembravami, che così non m’avrei dovuto astringere a quella rigorosa condotta, alla quale sarei tenuto ove affettassi di compilarne la storia; quelle però sebbene sieno erudite, ed in istile assai buono, trovai giusto il pensier di più d’uno di voi, che le considerò come troppo moderne per meritare, ch’altri s’adoperi a dilucidarle. Distenderò pertanto questi miei ragionamenti senza vincolo, lusingandomi con essi comunque sieno per riescirmi di mostrare agli Aquesi la mia gratitudine, ed a voi la mia buona volontà, e sarò pago se risveglierò in chi ha notizie alla Mia diligenza sfuggite il desiderio di rendere maggiormente manifeste le glorie di quella città, pubblicandole, o comunicandole a chiunque nutrirà il pensier lodevole di valersi de’ materiali da me ammassati per farne quello, ch’io, conoscendo troppo deboli le forze mie, non ho osato d’intraprendere. Avverrà senza dubbio, che sebbene al palato di certuni le cose in questi ragionamenti comprese insipide sembreranno, e quasi inutili, e mi biasimeranno d’ avervi speso d’ attorno la fatica, ed il tempo che vi abbisognò; così non mancherà di farne altri pur qualche caso, e troverà per avventura luogo a lagnarsi, perch’io abbia tralasciata qualche notizia della sua famiglia.
A’ primi che dirò io mai, salvo che il non aver date cose alla squisitezza del gusto loro più proporzionate non è colpa mia, bensì dell’edacità del tempo, che la memoria de’ fatti forse più segnalati distrusse? I secondi pregherò umilmente di lamentarsi di loro stessi non avendomi dati i documenti necessari: trascuraggine, con la quale mi fanno credere o non aver essi riputata la mia penna capace di stenderne degnamente il transunto, o non essersi curati di dare a loro stessi, ne alla stirpe loro quella perpetuità di farna, che può venire procurata dalla storia da chiunque sia scritta, purché veritiera e fedele. Ne sarò pauroso, o per esprimermi più convenientemente, ingiusto a segno di nascondere quel bere, che saprò d’alcune famiglie attualmente dall’incostanza della sorte nel più basso stato ridotte, perché delle più elevate a’ nostri giorni stato non mi sia somministrato materiale onde favellarne da chi avrebbe potuto fornirmelo.
L’auge unito al merito è una bellissima prerogativa; né mi astemi dall’encomiarla in alcuno, come non ricuserò d’encomiare il merito solo ancorché dall’aure non accompagnato: persuaso che tal encomio non può recare pregiudizio altrui, benché possa generare amarezza nel cuore di chi, essendone privo, e non avendo coraggio di procacciarselo, miseramente si duole, che negl’altri venga riconosciuto. Ma ciò basti per informarvi del mio disegno intorno all’annunziatovi argomento, per maneggiar il quale con la dovuta chiarezza dividerò in varie lezioni questo lavoro. E prima esamineremo chi fossero gli Statellati, Statelli, o Stazielli, indi recheremo quelle notizie, che abbiamo potuto raccogliere intorno alle guerre, che sostennero insieme con gli altri Liguri contro i Romani, fino alla ruina della città loro Caristo. Le osservazioni di fatto poi abili a persuadere chiunque della verità poco sopra annunziata, cioè la città d’Aqui fondata nel paese degli Statellati, alle Terme, nella valle di Bormia o prima, o dopo la ruina di Caristo, essere stata municipio Romano, e quelle altre poche notizie, che ce ne rimangono dal tempo di Plinio a quello dell’imperatore Carlo Magno, e successivamente fino a’ giorni di Guglielmo il Grande marchese di Monferrato, al quale gli Aquesi si diedero; consecutivamente gli argomenti, che ci dimostrano antichissima in Aqui la religione cristiana, e le notizie degli Aquesi, che Sì distinsero nella cultura delle lettere e delle scienze, nel maneggio delle armi e degli affari e nell’esercizio ‘delle più elevate cristiane virtù, e che sono celebri per altre lodevoli prerogative, saranno ad altro tempo da me riservate se verrammi anche accordato l’onor d’esporle al giudizio vostro, giacchè tante prove date di essere persuasi col ch. sig. Jacopo Durandi, che le ricerche su l’antica condizione di un paese ci conducono soventi volte a riconoscere alcuni rapporti, che possono influire sui vantaggi reali del medesimo, ma l’onore, che quindi ne ridonda alla nazione, e l’utile, che ne deriva alla letteratura, è sempre sicuro.