Riandando quello, che de’ Liguri in generale è stato scritto da Tito Livio, da Lucio Floro, dall’Orosio, dall’Eutropio, dal Tarcagnota, dal Ricciolio, e da altri, si ricava, che questi popoli erano divisi in molte picciole repubbliche, le quali allora quando si trattava di difendere la causa, e la libertà comune formavano probabilmente un corpo solo; ma in varie circostanze alcune starsene potevano impunemente neutrali. Di simile convenzione troviamo qualche prova, e qualche esempio di simile parziale neutralità nelle Deche di Tito Livio medesimo, come nella III. 31 ove dice che sendo consoli P. Cornelio Scipione, e Tito Sempronio Longo, Scipione da Marsiglia venne a Genova per opporsi ad Annibale, nella quale città non sarebbe stato così di leggieri ammesso qualora i Genovesi non fossero stati per lo meno neutrali, mentre che gli altri Liguri erano contrari al popolo Romano. Infatti Genova di tale neutralità (se non voghiamo dirla parzialità) portò la pena tredici anni dopo 32; imperocché Magone Barchino generale de’ Cartaginesi la saccheggiò, ed in gran parte la distrusse, trasportandone immenso bottino a Savona; il che ci conferma nell’idea che i Liguri Genovesi siano stati parziali verso i Romani, i quali al dire dello Stesso Livio spedirono due anni dopo Lucrezio Spurio con due Legioni acciocché Genova risarcita venisse delle ruine, che Magone 33 vi avea portate.
Un’altra prova s’incontra nella Decade V. dal medesimo Livio 34 in riguardo a’ Liguri Statellati ma prima di venire a quel fatto, affinché meglio s’intenda quanto siamo per dire intorno alle guerre Ligustiche, fa d’uopo premettere, che secondo Plinio 35 i più celebri Liguri di qua dall’alpi erano i Veneni, i Bagienni discesi dai Caturigi, gli Statellati, o Stazielli, i Vibelli, gli Euburiati, i Casnoniati ed i Vellejati; e che dopo d’avere lo scrittore suddetto nominati vari fiumi , porti, e città marittime della Liguria, soggiunge se si riguarda la faccia opposta dell’Apennino fino al Po, tutto questo tratto della Liguria splendeva a cagione delle nobili città, che al suo tempo vi si trovavano, fra le quali le più cospicue erano Libarna, Dertona colonia, Triria, Barattate, Industria, Polenzia, Carrea cognominata Potenza, Foro di Fulvio sopranomato Valentino, Augusta de’ Bagienni, Alba Pompea, Asta, ed Aque de’ Statielli.
I Veneni (dice il ch. sig. Dottore Jacopo Durandi 36) occupavano la valle di Stura, discendevano fino al confluente del Gesso e della Vermenagna, ed aveano per luogo principale Vinadio ora Vinai, terra ancor a’ nostri giorni frequentata per la salubrità delle sue Terme, posta in maggior luce nel nostro secolo merce le dotte opere de’ cel. Piemontesi Fantoni 37, Marino 38, e Fontana alle quali diedero motivo.
Alla sinistra de’Veneni, al piè delle alpi dalle sorgenti del Po, sempre alla destra del fiune 39 fin verso le Langhe, abitavano i Bagienni detti pur anco Vagienni, la capitale del qual popolo da più d’uno scrittore di grido supponesi, che fosse nel sito dov’e ora la Città di Salluzzo o ne’ contorni della medesima, nominata Augusta de’ Bagienni: e taluno pretendo cha quantunque sia sufficientemente dimostrato dal sig. Iacopo Durandi medesimo 40, che Bene detto già Benne, Bajenne, e Baenna e Bagienna in moltissime scritture antiche, sia stato uno de’ luoghi considerabili di quel popolo; tuttavia non è ancora ad evidenza dimostrato, che fosse un giorno la Augusta medesima, intorno al qual argomento noi ci siamo altrove occupati.
I Vibelli erano alla destra del Po nei territori fertili ed ameni di Revello, d’Envie, di Bibiana (IV).
Gli Statellati erano, com’è già stato replicato più volte, fra il Tanaro e l’Orba, ed aveano per sede primiera Caristo, distrutta la quale que’ popoli assoggettatisi al Romano imperio, adottatane con le leggi la lingua, alcuni conglietturano, che a poco a poco l’abbiano riedificata nel sito dov’è ora la città d’Aqui, e le abbiano dato il semplice nome d’Aquae Statellatum, o Statiellorum a cagione delle copiose acque termali saluberrime, che vi scaturiscono 41.
Alla sinistra degli Stetellati erano gli Euburiati, che abitavano il paese corrispondente al moderno contado d’Asti: ed una traccia del nome diquesto popolo si ravvisa pur tuttavia in quello del luogo di Burio al sirocco d’Asti fra i torrenti Nizza e Tinella, che anticamente nominavasi Eburias 42.
I Casmonati si trovavano al di là di quel sito, che ne’ secoli di mezzo formava la parte inferiore dell’antico territorio d’Aqui, appunto dov’è ora la vasta città d’Alessandria.
I Velleiati finalmente popolavano i colli dell’ Apennino al sud di Piacenza fin dove si stende la diocesi di questa Città, e di quella di Bobbio 43.
L’antica loro capitale Velleia il ch. sig. Durandi conghiettura, che si trovasse nel sito ora occupato dalla villa di Macinesso per le molte anticaglie dissotterratevi, massime nel MDCCLX., oltre alla preziosa tavola di bronzo, che vi si scoprì nel MDCCXLVII. intorno alla quale dopo i celebri Muratori, e Maffei si adoperarono molti profond’ingegni, come ad interpretarla, ed a fissarne il sito de’ Paghi, e de’ Fondi in generale, e particolarmente per quello. che riguarda il nostro paese, si occupa attualmente con mirabile diligenza, e felicità il sig. Giuseppe Pittarelli Astigiano già da noi con lode mentovato.
Conosciuta .a un di presso la disposizione de’ Liguri antichi più vicini agli Statellati (V), possiamo dare un rapido sguardo alle guerre nelle quali si trovarono impegnati infin a tanto ch’Emilio Scauro ridusse tutta la Liguria in provincia Romana.
Superati i Toschi da’ Romani ben s’avvidero i Liguri, che lo stesso giogo si veniva loro preparando, e per evitarlo determinarono di non aspettare l’armi vittoriose di quelli nel centro della Liguria, ma d’allestirsi tutti uniti per innoltrarsi nelle provincie da’ suddetti già conquistate. Correva allora secondo il Ricciolio l’anno DVII. 44 di Roma, e i principii di quella guerra non meno che i movimenti delle due nazioni nemiche nell’antichità de’ tempi si smarrirono; soltanto ricaviamo da Orosio 45. che l’anno DXXVI. 46 di Roma il Senato Romano allestito un poderoso esercito sotto il comando di Sempronio Gracco, e di Cornelio Flacco, lo spedì contro i Liguri, e che venutosi a conflitto questi ne furono sbaragliati, e per sottrarsi alla strage costretti di nascondersi per gli dirupi dell’Apennino. Da’ gioghi di questo sovente si lanciavano sopra i Romani recando loro gravissimi danni fino a tanto che arrivato in soccorso d’essi Postumio con nuove truppe, i Liguri ne furono di nuovo disfatti: e Lucio Floro 47 non meno che Eutropio 48 scrivono, che i vinti ne furono privati dell’arme, e d’ogni sorte di serro acciocché più non potessero apportar loro molestia (V).
Si avvilupparono fin da principio anche gli Statellati nelle guerre, che i Liguri, ed i Galli confederati col famoso capitano Cartaginese Amilcare, ebbero contro i Romani, onde soffrirono i comuni disastri mentre che durarono i tentativi del suddetto ne’ contorni dell’Italia: ed intanto i Romani stessi prevalendosi delle frequenti vittorie s’innoltrarono nella Liguria, ne occuparono alcuni castelli senza pero distruggerli; e sebbene dalla Ligure nazione con frequenti sortite improvvise venissero inquietati, la trattarono sempre (come attesta Livio) con grande prudenza, e moderazione per rendersela amica, e per indurre questi popoli ad una spontanea dedizione.
Eutropio scrive 49 che Lucio Cornelio Lentulo, e Fulvio Flacco furono i primi consoli, che spedirono legioni Romane alla sinistra del Po, e che in tale spedizione tra Liguri ed Insubri furono trucidati ventitre mila uomini, e cinque mila fatti prigioni.
Disceso Annibale in Italia ebbe molti Galli, e Liguri in suo favore, ed avendone dovuto partire diciasett’anni dopo, vi lascio Amilcare figlio di Gisgone favorito anch’esso da’ Boi dell’Insubria, e da’ Liguri, a’ quali si erano aggiunti i Cenomani, e tutt’insieme uniti diedero il guasto al Cremonese, e al Piacentino; furono però da Lucio Furio Pretore superati, ed in un conflitto co’ Vettoni popoli valorosi di Spagna, restò ucciso Amilcare dopo d’avere perduto in quella guerra trentacinque mila uomini (VI). compresi gli alleati.
Succedette a Furio il console Marcello, che in Toscana fu oppresso da’ Boi, e da’ loro collegati con la perdita della miglior porzione del suo esercito, del quale si correa pericolo di perdere il rimanente, se non giungeva opportuno co’ soldati suoi l’altro console Furio, che disfece, e quasi annichilò i Boi 50 se prestiamo fede ad Eutropio: ma se vale l’autorità di Valerio Antiate citato dal Tarcagnota, M Marcello poco dopo su quel di Como vinse gl’Insubri, e i Comesi uccidendone più di 40000., guadagnando più di 500. insegne, e 432. carri, con molte colanne d’oro; prese Como, e successivamente ventotto castella 51.
Sotto il consolato di Pub. Scipione Africano, e di Tito Sempronio Longo i Galli ed i Liguri ebbero nelle vicinanze di Milano una fiera sconfitta con la perdita di diecimila uomini, la quale costò cara a’ Romani, poiché vi lasciarono cinquemila soldati sul campo. Il fatto fu, che i Liguri avendo circondato improvvisamente Quinto Minuzio, questo capitano a gran fatica col favore de’ cavalli Numidi sottrar si poté al grave pericolo, e dovette lasciare una parte de’ suoi in preda al furore de’ nemici, contro de’ quali già stanchi rivoltasi con fresche truppe fece l’oste romana l’accennata vendetta.
Non riescì come al precedente di sottrarsi al furore di questo popolo a L. Bebio, perciocché mentr’egli era per passare in Ispagna con poderoso esercito, i Liguri gli si scagliarono addosso, e non lasciarono vivo neppur uno (se ne crediamo gli stessi storici Romani) che potesse di strage così orribile recare al Senato Romano la novella 52, essendo toccato di ciò fare a’ Marsigliesi.
Ne più felice fu L. Marzio Censorino 53, mentre desideroso di frenar l’impeto de’ Liguri divenuti orgogliosi per le vittoria ottenute, nel primo fatto d’arme lasciò sul campo quattromila soldati, e quattordici insegne, onde tanto Livio 54, quanto Eutropio 55 ce lo dipingono avvilito a segno di dover abbandonarne l’impresa.
Tutte le prosperità descritte però non resero impenetrabili alle milizie Romane i gioghi dell’Apennino, ne le folte selve che lo vestivano, ricetto de’ Liguri, poiché L. Emilio Paolo l’anno DLXXIV. 56 dopo d’esservisi innoltrato li vinse, ne trionfò, e li ridusse alla necessita di chiedere al Senato Romano la pace 57. La ottennero 58, ma sotto certe condizioni, che loro non poteano piacere, come quelle, che limitavano quella libertà, della quale non fa d’uopo dubitare ch’essi fossero tenacissimi difensori, posto che tutto fatto sempre aveano per conservarla, tutto tentato per ricuperarla, onde maraviglia non è se continuarono ad appigliarsi ad ogni motivo per frangere i ceppi loro, e se ad ogni minima occasione tumultuando contro i Romani s’armavano.
Ma questa era una diversione troppo incomoda per quelli, ch’erano costretti di mantener grossi eserciti in diverse parti del mondo: e per liberarsene una volta, ottenuta la segnalata vittoria sopra i Liguri Apuani, ed invasene le popolazioni più recondite, il Senato Romano decretò l’anno DLXXVIII. 59 che se ne levassero quarantamila capi di famiglia, e si conducessero insieme con le mogli e la figliuolanza a coltivar le terre del Sannio, ora Abruzzo, Capitanata, e Terra di Lavoro 60.
Uno sì grande smembramento ad ogni modo non infiacchì talmente il corpo de’ Liguri, che non tentasse ancora ben sovente di sollevarsi. Floro 61, Orosio 62, e Livio 63 parlano delle irruzioni da essi fatte nelle Romane confinanti provincie, e de’ danni che vi recarono col ferro, col fuoco e con le rapine; ma terminata la guerra d’Istria Tito Claudio Console, che l’anno addietro era stato Pretore ed allora trovavasi in Pisa col presidio d’una legione, per ordine del Senato ne chiamò alcune altre dall’Istria per far fronte a’ Liguri, che si erano fortificati vicino al Panaro, ed essendo co’ medesimi venuto a battaglia, ne uccise quindicimila, ne prese settecento avendone anche espugnato il campo, ed acquistate cinquantadue bandiere 64. Diede innoltre la caccia alle reliquie dell’esercito sconfitto che si erano rifugiate fra i dirupi, sicché per qualche tempo non osarono più comparire davanti alle milizie Romane: e C. Claudio portatosi a Roma vi gioì del trionfo delle due nazioni Istriaca, e Ligure in quell’anno medesimo da esso debellate, e dome.
I Liguri mentre che in Roma si celebrava tale trionfo, instrutti essere non solo stato colà condotto l’esercito consolare, ma levata da Pisa quella legione, che vi s’era fissata di presidio, tacitamente formato un grosso esercito, e superati per le strade più corte i gioghi delle montagne, si lanciarono nel territorio di Modena, e cogliendone all’improvviso gli abitatori, colonia Romana, tutti gli menarono prigioni.
Quand’ebbe avviso il Senato di questa novella mossa de’ Liguri prolungò il consolato di C. Claudio anche per l’almo DLXXXV. 65 acciocché l’impresa già così bene incominciata di domar la Liguria alla perfezione conducesse: ed egli mosse verso Modena colle opportune milizie, v’uccise ottomila Liguri che ne difendevano le mura, e conquistatala, tosto di nuovi Romani la popolò. Non tardarono i Liguri a discendere impetuosamente per vendicale la strage de’ loro confratelli, ma C. Claudio aggiunto un grosso di milizie alle squadre che seco aveva in Parma, si avanzò contro a’ nimici da’ quali era già stato fortificato tutto quel tratto di montagne, e dirupi, che v’ha tra Monte San Pellegrino in quel di Lucca, e Monte Balestra. Avevano essi lasciato buon numero di soldati fuor di quelle fortificazioni, ch’essendo stato da’ Romani attaccato, al primo assalto perdette millecinquecento uomini, cioé i meno pronti a ritirarsi. Del qual vantaggio non ebbero motivo di giubilare i Romani, perciocché i nimici avendo fatta nello stesso tempo una sortita contro a Modena, strage orrenda vi fecero, e ne riportarono ricco bottino.
In progresso di tempo uccisero anche il Console Q. Petilio, e fecero diverse altre prodezze: tuttavia i Romani finalmente espugnarono quel trinceramento, dove uccisero cinquemila Liguri avendo in tal fatto d’arme lasciati morti non più di cinquantadue soldati, cosa, che appena osiamo credere a Tito Livio, dal quale nel lib. I. della quinta decade vien raccontata. Ed eccoci insensibilmente arrivati all’epoca fatale, pe’ Liguri tutti, ma assai più per gli Statellati
Avea l’anno DLXXXVII. ancora questa nazione molti castelli forti e ben presidiati (VII.); e lo stesso Livio dice, che per conservare la propria libertà i Liguri erano impetuosissimi nell’assalire, feroci nel colpire, veloci nel sottrarsi al minimo incontro a cui non iscagliavano colpo, che non fosse mortale; che non discendevano al conflitto se prima non erano riscaldati da’ loro abbondanti e sulfirei vini: ma che allora precipitavano da’ gioghi sull’inimico, ed animandosi con alti clamori l’un l’altro, ne falcavano strage, e ben presto carichi di preda con celerità mirabile si ritiravano. Quando meno uom credeva ch’essi fossero per comparire, gia fra i loro dirupi disposta ogni cosa eccogli uscir dalle selve, portare sterminio e morte in quelle parti del campo avversario eziandio, che sembravano meno esposte agl’insulti loro: e quando i Romani gelosamente vegliavano verso le selve, i Liguri da’ più scoscesi giochi facendo improvvisa scorrería, sobbissavano dirò con le squadre, che loro si opponevano, con tempesta di sassi, di dardi, e tronchi d’alberi, che faceano da’ medesimi al basso rotolare.
Confessa Livio medesimo, che l’instancabile attività di questa nazione, la sua ferocia e costanza pose non poche fiate a mal partito l’arme Romane, le quali per un tempo notabile non arrivarono a far nulla di glorioso nella Liguria 66: e Lucio Annio Floro ce n’esprime con termini poco differenti il carattere, il passo del quale sembra Indicare, che sebbene gli Statellati si trovassero poco discosti dagli Eburiati, e dagl’Ingauni, pure l’autore non ne fece menzione forse perch’erano già collegati co’ Romani fin dall’anno di Roma DXLIX 67. Perocchè trovandosi tutta la nazion Ligure unita con Magone Cartaginese, ed essendo costui con gli alleati stato sconfitto da Quintilio Varrone pretore, e da M. Cornelio proconsole, egli, che nella battaglia era stato gravemente ferito, si fece con somma premura trasportar al mare, ed abbandonò gli alleati allo sdegno de’ Romani.
Quindi resi più cauti gli Statellati, è probabile, che avendo ben conosciuto quanto superiori fossero alle altre le forze Romane, e preveduto il felice destino di quel popolo bellicoso ed accorto, nella continuazion della guerra Ligustica abbiano tenuto almeno il partito della neutralità, del che Tito Livio medesimo ci persuade col dire gli Statellati soli tra i Liguri non avere portate le arme contro de’ Romani, all’occasione della quale in altra adunanza favelleremo.