Cairo nella storia della Liguria e della Nazione, di Piero Angelo Tognoli
Le origini del territorio Cairese risalgono alla fine dell’era terziaria.
All’inizio della quaternaria, (500.000 anni fa), la sua fisionomia geologica ha assunto un aspetto pressoché definitivo.
I corsi d’acqua dallo spartiacque appenninico, scendevano tumultuosi giù verso il Golfo Padano ancora un mare, ma che pian piano si trasformava in acquitrino, per poi assumere, verso [a fine dell’era, l’attuale fisionomia.
Le rupestri balze dei nostri siti erano popolate da una fitta vegetazione inospitale ed erano calcate da enormi mammiferi di specie oggi estinta.
Il nostro territorio, come del resto tutta la Liguria, rappresentava l’unico tratto di terraferma che collegava la penisola italica al resto dell’Europa; le migrazioni degli animali avevano, pertanto, il loro itinerario obbligato attraverso i nostri monti, abbastanza accessibili per la facilità dei valichi Appennino-Alpini che davano accesso alla valle Cairese.
All’inizio dell’era quaternaria ha fatto la comparsa sulla terra l’uomo.
Le tracce più numerose della sua presenza si riferiscono però al periodo più recente cioè verso l’epoca post - glaciale, quando l’immane distesa ghiacciata, formatasi per effetto dell’abbassamento di temperature andava sciogliendosi e la terra diventava più ospitale e più atta a ricevere degnamente l’uomo e gli animali.
Fra questi ultimi il più famoso era l’Elephans Primogenius o Mammouth.
La presenza dell’uomo preistorico, nel territorio Cairese è certa.
La prova inconfutabile di tale affermazione è data dal ritrovamento di asce di pietra levigata del periodo neolitico, in varie località del Comune, ora conservate nel Museo Archeologico di Genova Pegli.
Al periodo post-glaciale è succeduto il "quaternario recente (olocene) " con flora e fauna attuali.
Le prime fasi della civiltà dell’uomo dal paleolitico al neolitico, dall’età del bronzo all’età del ferro vedono l’uomo continuamente presente nella terra Ligure e in modo particolare nel Cairese.
Attraverso i millenni, si è passati piano piano dalla preistoria alla storia e troviamo che il Ligure si è trasformato da popolo nomade e rozzo in un gruppo ben definito, con caratteristiche proprie, con lingua e costumi che lo contraddistinguono dagli altri popoli viciniori.
Esso era il più antico dei popoli conosciuti del continente europeo ed aveva stanza dall’Arno ai Pirenei.
Ben presto i suoi vicini di tramontana, i Celti, incominciarono a molestarlo con rapide scorrerie ed a pressarlo verso mezzogiorno sulla fascia costiera del Tirreno.
Paolo Emilio Taviani ben giustamente afferma: "Fin da queste prime convulsioni si delinea già all’origine della storia, il nostro destino: chiusi, dalle rocce e dalle montagne tutti gli altri orizzonti, rimane un unico grande orizzonte, il mare" (1).
Il Ligure infatti sarà nei secoli il popolo marinaro per eccellenza.
Nella Valle Padana Celti e Liguri si fondono in un solo popolo mentre sulla costa e sui crinali i liguri mantengono la loro unità etnica.
Già nel terzo secolo a. C. il nostro popolo si imponeva all’attenzione del mondo di allora scegliendo il suo destino.
Mentre Genova e la Riviera di Levante si alleavano con Roma, la Riviera di Ponente ed i popoli delle nostre valli si schieravano con Cartagine.
Tito Livio narra la resistenza fatta alle legioni di Roma dagli abitanti dell’oltre giogo.
È nota la frase "durum in armis genus".
Nel 238 a. C. i Romani iniziarono la guerra contro i Liguri con il console Sempronio Gracco e gran parte della Regione fu sottomessa a Roma però i Liguri Statielli, abitanti della Valle Bormida e del Tanaro, opposero fiera resistenza e non furono sottomessi; anzi durante la seconda guerra Punica diedero grande aiuto ad Annibale che, con il suo esercito (219 a. C.) varcate le Alpi, passava in Italia, invadeva la Valle Padana e sconfiggeva duramente le legioni di Roma.
I Liguri, rimasti liberi dall’egemonia romana, combatterono pure con Asdrubale al Metauro (207 a. C.) durante l’infelice tentativo del generale Cartaginese di portare rinforzi al fratello.
Quando Magone (205 a. C.) mosse contro Genova trovò alleati gli Ingauni, i Sabati e gli Statielli.
Terminata la seconda Guerra Punica le legioni di Roma che fino ad allora avevano temporeggiato nei confronti dei Liguri "ribelli" in quanto avevano ben altro nemico da fronteggiare, iniziarono una dura campagna contro gli Statielli, i quali, affrontati da forze soverchianti, dopo dura lotta furono sconfitti, ma non ancora definitivamente domati.
Condussero infatti per lungo tempo una disperata guerriglia sulle montagne e solo nel 172 a. C. Marco Pompilio Lenate riuscì a domare o ad assoggettarli definitivamente a Roma.
Si narra che li console vincitore vendesse tutti i prigionieri catturati durante i combattimenti e commettesse tante atrocità nei confronti dei vinti, che ritornato a Roma, il Senato promosse un’inchiesta a suo carico e solo influenti amicizie lo salvarono dalla condanna (2).
Il nuovo territorio assoggettato fu incorporato con la IX REGIONE la quale comprendeva la Liguria, il Piemonte e la Lombardia attuali.
Le Regioni erano suddivise in Provincie.
Le Provincie erano territori conquistati, a capo delle quali era preposto un proconsole o propretore (cioè un console ed un pretore fuori carica).
I provinciali non erano cittadini romani, ma godevano di una certa libertà di lingua, di religione e di usi; essi non potevano far parte dell’esercito se non in casi eccezionali, ma pagavano i tributi come cittadini.
Assoggettato definitivamente il paese dei Liguri, ciò che più preoccupa va il Senato era il collegamento tra l’Urbe e i territori conquistati, per servirsi dei territori stessi quale pedana di lancio per l’impegnativa con questa della Gallia e della Spagna.
In ordine a tale necessità la prima grande strada romana costruita nel la terra dei Liguri e che maggiormente ci interessa fu la Via Emilia dovuta ad Emilio Scauro.
Tale Via, che si estende da Bologna e attraversando Pisa, la Val di Magra, Pontremoli, Fiorenzuola, Tortona, Acqui, Cairo giunge sino ai Sabatii (Vado) è stata presumibilmente costruita in due tempi.
Emilio Scauro probabilmente costruì il primo tronco, quello più settentrionale, nel periodo in cui era console (115 a. C.) e il rimanente, cioè il segmento etrusco, l’anno in cui fu censore 109 a. C.).
Infatti era compito dei censori curare la viabilità urbana o italica propriamente detta, mentre nella provincia soltanto coloro che vi esercitavano il comando aprivano le grandi vie militari (3).
Il tracciato della Via Emilia è matematicamente certo solo fino a Luni (La Spezia), da Luni verso occidente è assai controverso.
Nemmeno le due carte stradali dell’antichità, l’itinerario Antoniano e la Tavola Pentingeriana, illuminano in proposito.
Non è stato infatti ancora stabilito se la via Emilia oltre ad inoltrarsi per Tortona seguisse il litorale da Genova a Vado. Siamo del parere che la Via Emilia non seguisse il litorale per Vado e che una strada litoranea non sia esistita fino alla costruzione della famosa Via Aurelia e ciò per due motivi basilari: le difficoltà di tracciare una strada costiera in così breve tempo mentre la via per mare da Genova a Vado era molto più comoda e sicura della via per terra.
La via Emilia, la più importante opera dell’ingegneria romana nella nostra regione, partendo da Vado tocca val Valleggia e attraversando il torrente Quiliano si inoltrava nella Valle del Ouazzola passando su sei ponti, alcuni dei quali esistono tutt’oggi.
La via procedeva, quindi verso Cadibona passandole a lato e inerpicandosi a tutto petto verso la cima del passo. Nel luogo detto Rossello volgeva verso le Chiappe e scendeva a Ferrania donde, seguendo la destra del fiume Bormida, attraverso Bragno, la Mazzucca, il Rian del Quaer, il Boglio, raggiungeva Rocchetta indi Crixia, Acqui e finalmente Tortona.
A Ferrania una diramazione conduceva a Montenotte e ad Alba Docilia (Albissola) .
A Rocchetta, si staccava, già tin da quel tempo, l’attuale strada che dopo aver attraversato il Bormida, mette ai Vignaroli, a Gorrino, a Cortemilia ed a Alba; a quest’ultima città con sede episcopale fece parte la pieve di Cairo fino al 998 d. C.
Lungo la Via Emilia grandi furono i traffici fra i paesi rivieraschi e quelli delle Langhe e della pianura Padana.
L’origine di Cairo risale a questo periodo quando, molto probabilmente per la sua felice posizione, fu creato il primo nucleo abitato come stazione di sosta.
Recenti e antichi studi di eminenti storiografi (Agostino Monti, Navone, Rocca, Celesia, Sanguinetti, Girolamo Rossi hanno confermato la vecchia convinzione che Cairo fosse la stazione Canalico che l’itinerario di Antonino e la Tavola Pentingeriana segnano a 12 miglia da Vado e in posizione intermedia tra quest’ultima città e Crixia.
Tracce di civiltà romana, oltre alla già ricordata via Emilia, sono i resti di ponti costruiti all’epoca di Augusto ed il ritrovamento di lapidi, anfore, epigrafi, monete imperiali, ampolle funerarie ecc., venute alla luce delirante l’esecuzione di scavi nel capoluogo, in località S. Donato e Passerino (Rocchetta)
Apriamo volentieri una parentesi a proposito dei ponti romani esistenti nel Comune di Cairo: sulla romanità del ponte ad un arco in località Fornaci non vi sono dubbi.
Nei confronti di quello esistente in Rocchetta nominato nei modi più disparati - Ponte del Cortino (Consiglio Comunale di Rocchetta Ordinato del 1842); Ponte di S. Giovanni ai Vignaroli (G. C. Abba ne "Le Rive della Bormida nel 1794"); Ponte degli Alemanni (Cartina Militare); Ponte Romano (Pubblicazioni Turistiche), sono stati formulati molti pareri talvolta discordanti .
Alcuni sostengono che esso sia di origine romana altri lo negano.
Noi siamo del parere che esso lo sia e ciò per due motivi, l’uno di ordine pratico e l’altro di ordine logico.
In primo luogo la, struttura e l’architettura è simile a quelli altri della zona, per i quali i origine romana è inconfutabile; in secondo luogo è da pensare cosa improbabile che detto ponte sia stato costruito per il solo accesso alle piccole proprietà esistenti sull’altra riva del Bormida, mentre è assai più logico che esso sia stato costruito per il servizio dell’importante e già citata arteria romana che collegava il Rocchettese con i paesi delle Langhe. Leggendari sono, in proposito, i traffici carovanieri del vino e del sale tra le città marinare e i paesi dell’entroterra primi fra tutti Alba e Cortemilia.
Durante la conquista della Gallia e della Britannia, Cesare e le sue legioni ebbero stanza e passaggio nel territorio cairese. Molto probabilmente "Canalico" ebbe in questo periodo il suo maggiore splendore esercitando la sua grande funzione di stazione di sosta per le truppe fresche e vettovaglie che Roma inviava ai grande generale impegnato nella famosa impresa militare.
Nel 43 a. C., dopo la dura sconfitta ad opera di Ottaviano subita a Modena, Antonio e i suoi soldati transitarono certamente per Cairo, quando ripararono nella, Gallia Transalpina
Questo periodo della guerra civile, scoppiata alla morte di Cesare, fu senz’altro un momento difficile e tragico per gli abitanti di Cairo.
Durante le invasioni barbariche, Cairo segui la sorse toccata a gran parte delle città del Piemonte, della Lombardia e della Liguria
Forse nel Cairese transitò l’esercito di Alarico quando nel 402 corse a Pollenzo ove il 6 aprile, sconfitto da Stilicone, dovette abbandonare l’Italia.
Nel 406, senz’altro, Cairo subì il saccheggio di Ragadasio, il quale, invasa l’Italia dalla Rhetia, mandò uno dei tre corpi, in cui aveva diviso il suo esercito, a depredare la Liguria.
Vennero pure tra il 411 ed il 412, i Goti di Laro, le legioni di Costanzo e seguirono, più tardi, gli Unni condotti da Attila ed i Borgognoli di Guidobaldo .
Indi passarono i Longobardi di Rotari VII quando nel 7° secolo presero a saccheggiare le città rivierasche e quelle dell’entroterra ligure.
Fecero inoltre le loro tristi scorrerie i Saraceni.
La tradizione vuole che le case isolate e quelle dei piccoli nuclei abitati del tempo, avessero dei locali segreti con accesso da apposite bottole ubicate sulla base del camino, locali che venivano usati quali nascondigli durante i saccheggi dei pirati (località Vignaroli).