Edizione 1888 (pubblicata nelle appendici de "La provincia di Brescia")
Capitolo 1
Tre ciuffi di case, in una stretta di Val di Bormida, formano il borgo
di Dego; uno piantato su d’un colle, gli altri adagiati sulle due rive
del fiume, di maniera che quello della sinistra ha metà delle case
con le fondamenta nell’acque. Passano queste e le rispecchiano malinconiche;
passa chi va per le sue faccende e non bada; ma chi ha senso delle cose
vive e delle morte, coglie il paesaggio nella sua dolce quiete...
Capitolo 2
Marta soltanto, se fosse stata vicina a Giuliano, non gli avrebbe avuto
rispetto. Offesa, stizzita, afflitta per le cose udite da lui, a quell’ora
dava volta nel proprio letto, con la mente piena d’Alemanni, col cuore
travagliato dalla paura del pievano, il quale aveva predicato e fatto predicare
dal cappuccino del quaresimale che...
Capitolo 3
Sotto quel cielo, a pié di quel castello, viveva quella Bianca
che la signora Maddalena andava a cercare. Essa era una giovinetta in sui
diciotto, bellissima e mesta; e, forse perché mesta, Giuliano se
n’era innamorato. Vicina a lei si vedeva sempre una sua sorella, più
giovane di qualche anno, tutt’altra bellezza, che si chiamava Margherita.
S’amavano, ma non osavano dirselo...
Capitolo 4
Mentre la signora Maddalena partiva da Cairo, le cose tra Giuliano
e don Apollinare si facevano a Dego molto buie. Questi, certo che Marta
avrebbe mandato da lui il giovane, l’aveva atteso invano parecchie ore.
Capitolo 5
La sera di quel giorno, a notte chiusa, Rocco ritornò menando
a mano la giumenta del giovane, e smontò alla porta della signora,
che volle dargli la cena con sé, e gli fece raccontare dell’andata
e dei discorsi che, come egli disse, erano stati corti e mesti.
Capitolo 6
Tornato alla villa, il signor Fedele cominciò dall’assalire
Bianca coi ragionamenti, e, trovandola sempre uguale, la condannò
a starsi tutto il giorno in una stanza appartata. Guai alla zia e alla
sorella se avessero tentato parlarle.
Capitolo 7
La cascinaia del signor Fedele, sin da quel mattino che origliando
aveva sentito le querele di Bianca, s’era messa in testa di correre al
convento per dire ogni cosa al suo confessore. A quei tempi s’usava molto
confidare nel confessore i propri peccati e le faccende altrui.
Capitolo 8
Ma don Apollinare si trovava a certi passi, che non era il caso di
poter pensare né al padre Anacleto, né a Giuliano. I monti
sui quali lo abbiamo lasciato colle turbe di Val di Bormida, in capo a
quattro o cinque giorni, formicavano, come vi si fosse raccolto un esercito
di barbari, pronti a calare dove loro fosse venuta bene la preda, per portarsela
a quelle sedi alpestri e selvose.
Capitolo 9
Sul pensiero che don Apollinare non aveva peranco smesso il rancore
rimastogli contro Giuliano, nacque nella mente della signora Maddalena
quest’altro, che don Marco, non essendosi più fatto vivo, avesse
dimenticato lei, il suo figliuolo e il caso doloroso di quell’amore, in
cui la sventura avea posta la mano.
Capitolo 10
In capo a quindici giorni, il signor Fedele s’era fatta una cera di
trionfo. Non vedeva più che Bianca, la portava in palmo di mano,
era il suo occhio destro. Damigella Maria e Margherita, parevano la istoria
dell’olmo e della vite, e stavano sole la meglio parte del giorno, scansando
con ogni cura il padre Anacleto.
Capitolo 11
Se il padre Anacleto avesse dato un’occhiata alla via che di là
della Bormida, sotto i vecchi castagni, menava a Dego, avrebbe visto don
Marco, avviato a quella volta. Uscito dalla palazzina che gli pareva di
non capir più nulla, questi era andato alla ventura; ma poi, ripigliati
i pensieri, aveva deliberato d’andar a Dego per dire apertamente ogni cosa
alla signora Maddalena.
Capitolo 12
L’indomani, un po’ dopo l’alba, don Apollinare stava sotto il portichetto
della chiesa, con parecchie divote che avevano sentito la messa; lo speziale
apriva la bottega, e, uscito a vedere che tempo facesse, si mescolava al
crocchio: un uomo attempatetto, che era il cerusico, montato su d’un cavalluccio,
si fermava a barattar con essi qualche parola, sul fatto della sera innanzi:
parevano l’ultima nuvola d’un temporale notturno, risolto da un vento benefico,
in un mattino quieto.
Capitolo 13
Sul vespro di quel giorno, mentre Giuliano, cavalcando già vicino
a Dego, scopriva tra il verde del castello il campanile che pare a un amico,
appiattato per dar voce del suo ritorno, sul piazzale di casa sua sedevano
alcune donne del vicinato, a rammendare camicie, a filare, a fare qualcosa,
ascoltando i racconti di Marta. Essa pigliate le mosse dai molti Alemanni
giunti di quei giorni, parlava delle guerre degli Spagnuoli, venuti sul
principio di quel secolo, pochi anni prima che essa nascesse, a devastare
le valli della Bormida, dove erano passati come la maledizione di Dio.
Capitolo 14
Se in casa alla signora Maddalena s’era vegliato in quella notte al
tardi, a Cairo, dal signor Fedele, non tutti avevano dormito: e l’alba
trovava il padre di Bianca affaccendato, come un maggiordomo di famiglia
doviziosa, che abbia corte bandita.
Capitolo 15
Difatti a Dego, in casa della signora Maddalena, la giornata era stata
mesta, come quello squillo di campana che la chiudeva. Giuliano, avendo
le membra tronche dal gran cavalcare, non s’era potuto togliere il sonno
di dosso, sino a mezzodì; e destatosi aveva covato il letto a guisa
di persona che mediti la morte.
Capitolo 16
Quello, in cui a Cairo si ballava, era un palazzo dei vecchi feudatari,
sorge a piè della roccia, dalla cui vetta il castello in rovina
pare lo guardi imbroncito, quasi chiedendo se sia cosa giusta, ch’egli debba
stare lassù a disfarsi alla pioggia e al gelo, mentre il palazzo
sta ritto qual era nell’età fiera, in cui di ribalderie fatte
dai loro padroni ne videro entrambi d’ogni colore.
Capitolo 17
Giuliano, detto addio a Rocco, s’era trovato solo dove niuno faceva
guardia al rigagnolo che divideva le terre del re di Sardegna, da quelle
della repubblica Genovese. Non gli rimanevano a fare che pochi passi, e
poi, avesse avuto dietro di sé tutta la cavalleria ungherese, egli
sarebbe potuto volgere dall’altra sponda a riderle in faccia, sicuro come
fosse stato a Genova in casa al Doge.
Capitolo 18
Quel gran pregare Giuliano di starsi lungi, fatto dalla signora Maddalena,
nelle due lettere che gli aveva mandate, non veniva soltanto dai pericoli
che egli poteva correre per via degli Alemanni, ma ancora da cosa che essa
non gli avrebbe menzionata per nulla al mondo.
Capitolo 19
Lo sposo di Bianca, partito cruccioso sul suo cavallo, aveva pigliato
la via, che sulla cresta dei monti, a ridosso del castello, menava a Montenotte
e che si vede anche ai dì nostri, angusta, piana e ombrata di bei
castagni.
Capitolo 20
Il padre Anacleto era parso assai disumano ad Anselmo; ma; nei suoi
panni, ben pochi avrebbero avuto il capo alle opere di misericordia. Quel
mattino egli aveva appena finito di cingersi il cordone, e già il
laico portinaio gli aveva battuto all’uscio della cella, dicendo che il
signor Fedele lo voleva giù sul piazzale.
Capitolo 21
Al primo romper dell’alba, Giuliano e don Marco erano già sul
ponte, non essendovi stato verso per il giovane di persuadere il prete
a rimanersi dal seguire lui e i Francesi. Quello era il primo giorno d’autunno.
Una nebbia densa occupava l’aria, e la Bormida faceva quei fumacchi, che
ai fanciulli paiono d’acque scaldate di sotto dal demonio.
Capitolo 22
Marta, da noi lasciata sbalordita nell’atrio, non ebbe bisogno di farsi
dire chi fosse la giovine donna, gittatasi ai piedi del signorino. Essa
l’indovinò alle parole di lei, all’atto di Giuliano; e, lanciatasi
nel piazzale coi pugni stretti, le si sfogò contro con voglia crudele.
Commiato
Queste cose io le ebbi da un vecchio ottuagenario, morto da parecchi anni,
il quale me le dava stando al fuoco colle molle in mano. Egli mi diceva
che erano tutte vere verissime...