Mentre la signora Maddalena partiva da Cairo, le cose tra Giuliano e don Apollinare si facevano a Dego molto buie. Questi, certo che Marta avrebbe mandato da lui il giovane, l’aveva atteso invano parecchie ore. Dopo la colazione aspettava ancora, e, per fare un viaggio e due servizi, rannicchiato nel suo seggiolone, diceva l’uffizio. Era già innanzi un bel tratto a recitar salmi e, di tanto in tanto, rovesciato il breviario sul ginocchio, fiutava un po’ di tabacco, pensando che, se quel renitente fosse capitato, sarebbe stato un bel gusto tenerlo ritto lì fuori dello studiolo, e non farlo entrare almeno per una mezz’ora. Poi ripigliava la lettura dei salmi biascicandoli verso a verso, all’ultimo si levò in piedi stizzito dicendo:
- Adesso vado io!
Si mise in capo il cappello e, nell’andare, passò nel salotto, ove stava seduto a dire anch’egli le ore un Minor Osservante del convento di Cairo il quale, fatto il quaresimale in Dego, aspettava la domenica in Albis per dare la benedizione papale, e tornarsene al proprio convento.
- Dove va, signor pievano? - chiese costui vedendo Apollinare pigliar l’uscio difilato.
- In partibus infidelium! - rispose il pievano.
- Grammatica! Grammatica! - gridò il frate; e scoppiò in una risata così piena, che s’appiccò in cucina fino a Placidia, che non rideva di voglia manco tre volte l’anno.
Passin passino don Apollinare discese dal castello, e, sebbene quanti s’imbattevano in lui s’affrettassero a sberrettarsi e a baciar gli la mano, che egli sapeva porgere con garbo da vescovo, gli pareva che la gente gli fosse men rispettosa. E procedeva schiacciando col bastone i noccioli di ciliegia dell’anno passato, o scansando i ciottoli della via. Giunto al piano, passò il ponte ed entrò nel vico oltre il torrente. I borghigiani facevano le meraviglie vedendolo andare verso la casa della signora Maddalena, dove non era tornato da anni; le donne bisbigliavano con aria di mistero, e stavano lì per dirgli che la signora non vi era, ma nessuno l’osava.
Quando fu sul piazzale, egli si fermò un tantino e tossì, volendo che quei di casa lo udissero; ma la signora era fuori e Giuliano, toltosi di là dove Marta l’aveva lasciato a sedere, se n’era andato nel più remoto angolo del giardino. In casa non v’era che la fantesca, la quale, non appena ebbe visto il pievano, corse ad incontrarlo col batticuore, tutta inchini e ringraziamenti interni alla Madonna, che, anche questa volta, l’aveva aiutata. La buona donna, se si rammenta, s’era ritirata in casa pregando il cielo che don Apollina re non venisse, o almeno indugiasse tanto da non trovarsi con Giuliano in quella ora cattiva; e siccome non era più là ad aspettarlo, così essa credeva che il cielo se ne fosse proprio immischiato.
- Men furia e più memoria! - disse il pievano vedendola affrettarsi alla sua volta.
- O signoria, so cosa vuol dirmi; ma stamattina sono tornata che la signora era lì per partire; darle da colazione, aiutarla a vestirsi, correre su e giù... sa pure che qui io sono Marta, ma faccio anche da Maddalena; e, come diceva... la sua ambasciata, il signorino.. non l’ho ancora veduto... - e subito aggiunse colla mente: dacché l’ho lasciato qui.
- E dov’è andata la signora?
- Ma... se per in giù o per in su... non mi ha detto nulla... Già sarà per affari; morto il padrone buon’anima, tutti hanno approfittato per usurpare...
Qui, mentalmente, si picchiava il petto per le due bugie sgusciatele in un lampo; ma il prete che non soleva farsi uccellare, mise in disparte quel discorso, fissandola bene tra ciglio e ciglio, e le disse:
- Dunque il signorino si può vederlo?
- Ah! questo sì... - rispose essa rimescolata - cioè posso guardare, era qui... sarà là... sarà...
Sarà di qua, sarà di là, avrebbe dato i suoi salari di cinquant’anni se in quel momento le campane del castello avessero suonato qualche cosa, anche un’agonia, pur di vedere il pievano tornarsi indietro. Invocò un’altra volta il cielo, ma il cielo l’abbandonò, e don Apollinare, segnando col bastone in fondo all’orto, mostro d’aver scoperto Giuliano, che si vedeva traverso il fitto degli alberi, non ancora fronzuti. Senza dire alla vecchia né ai né bai, s’avviò da quella parte, punto da una smania che gli correva dal cuore sino al sommo dell’unghie. Ma, da uomo avvisato, si seppe rattenere e pigliare in viso un poco di calma.
Giuliano gli dava le spalle, ma udendo le pedate, si volse e vide lui, e Marta dopo che trinciava segni, faceva l’occhio supplichevole, e, coll’indice sulla boca, pareva volergli dire mille cose e che fosse prudente. Salutando cortese per amor di lei, e per l’onor della casa, egli si fece incontro al pievano; questi rispose con un cenno, e, subito uscendo nelle piacevolezze, disse alla fantesca: - State allegra, Marta, che con questo ortolano avrete i più begli ortaggi del mondo! - e rise con cadenza, soggiungendo a Giuliano:
Ebbene, torinese? come si sta al paese del Re?
- Bene - rispose il giovane - ma non quanto tra questi nostri monti: ché qui almeno, tutta questa primavera ci pare cosa nostra, e c’entra nel sangue bevuta a sorsi
- Gioventù, foco e fiamme! - esclamò don Apollinare. E Giuliano giocondamente a lui:
- Le spegneremo con due bicchieri di moscatello
Quasi non ebbe il tempo di proferire queste parole, che Marta, beata di vedere i propri timori risolversi in un brindisi, non attese d’essere comandata, ma andò da sé per la bottiglia, lesta che il pievano manco se ne avvide.
- Lasciate stare il moscatello dov’è, - disse, annuvolando improvvisamente - lo beveremo se io partirò amico
- Amico? - esclamò il giovane - ma di casa nostra non so che uno sia mai partito scontento!
- Sarà... ma io in casa vostra ci vengo, non per avere cortesie, ci vengo per rimproverarvi di non avere obbedito! Voi non avete fatta Pasqua?
- La Pasqua? Oh! io l’ho fatta con mia madre, e vorrei essere lasciato in pace con essa, sempre...!
- Proprio come un debitore che dicesse al creditore: non darmi noia! Bravo!
- Via, signor pievano, non vada in collera. In faccia a questa bella natura che si risveglia, in questi giorni di vera resurrezione, facciamo come gli uccelli; li sente? Cantano d’amore e d’accordo che è un desio. E in quest’inno che si diffonde dalla terra al cielo, non ci capisce nulla, lei? Questa per me è la Pasqua! E non mi par vero che noi così piccini, eppure fatti a godere di sì grandi cose, ci abbiamo a guastare tra noi...
- Come sarebbe a dire? - interruppe il pievano - E chi siete voi che osate parlarmi in codesto modo?
- Io? Non sarei mai venuto a dirglielo; ma poiché lo vuole, sappia che io oso molto di più! Oso persino alzare la voce e la mente al cielo, dove mia madre mi insegnò da bambino a cercare quel padre che non s’adonta di udirci parlare amorosi tra noi, che capisce il suo, il mio, tutti i linguaggi, quel Dio che io amo, e che ella vorrebbe che io temessi...
- Orgoglioso! - gridò il pievano, cui tremolavano le guance, e il viso si faceva rosso: - Orgoglioso! Ubriaco di letture infami! Li voglio! Andiamo, venite a darmi tutti i vostri libri!
- I libri? E perché non mi chiede addirittura i pensieri, il cuore, l’anima mia?
- Ah giovane traviato! Uno come voi non ce l’ho mai avuto nella mia pieve; non ce l’hanno, in tutti i parroci delle Langhe! E non so che gran peccato io abbia commesso per meritare il castigo di una pecora così marcia. Me ne duole per voi, ma verrà il vostro giorno, e vorrei che Dio v’aspettasse in buon punto. La morte galoppa, e sarà una bella gloria pel vostro casato che si porti il vostro cadavere in qualche luogo selvaggio, cogli scellerati, cogli empi, le cui ossa contaminerebbero quelle dei fedeli defunti!
- A lei duole per me; ma io mi dovrei dolere molto più per lei che crede di servire il Signore spaventando i semplici con codeste fole! Ma che vuol che faccia a me il luogo selvaggio? Più in questa che in quella terra, la pace del sepolcro sarà tutt’una per me... in fondo al mare, come in una chiesa, sotto una zolla di quest’orto, come sotto una piramide dell’Egitto...
- Ma che vi ha fatto la chiesa? Che vi ho fatto io... vostro pastore?
- La chiesa? Oh! quando io era fanciullo, e vi veniva la sera... e udiva là entro voci di donne, di vecchi, di giovanetti cantare ‘c litanie, mentre l’oscurità discendeva e avvolgeva gli altari e noi e tutto nelle tenebre, io pigliava colle mie le mani di mia madre, e, stringendomi ad essa, mi pareva d’andare portato in un vuoto misterioso, dolcissimo...! E poi, quando s’accendevano i ceri, e vedeva lei all’altare incensare alto e benedir la moltitudine silenziosa, provava certe ebbrezze...! E la chiesa l’amava! E amava anche lei, signor pievano; e nel mio pensiero mi pareva di veder Dio che lo guardasse di lassù, che le facesse cenni; lo credevo l’uomo più buono, più grande, più santo dell’universo!
- Oh...! tornate Giuliano; torna, figlio mio, con noi... con Dio…!
Così dicendo, fosse commosso o fingesse, il pievano era li per abbracciare il giovine; senonché questi, ritraendosi:
- No - rispondeva con calma - io col gregge, col branco, non ci tornerò più... non vedrò più quel Dio...
- E perché? - proruppe allora don Apollinare, ripigliando il suo posto, severo. - Perché? Non mica perché io non creda; non mica perché io nutra odio per lei, no; ma che vuole? ho cavato la lucerna di sotto al moggio; ho un po’ letto la storia; ho pensato al bene che loro preti avrebbero potuto fare, e al male che han fatto; ho capito che furono sempre dalla parte dei più forti, ed io amo i deboli e loro preti, soldati, principi, tutti, mi paiono una mano di congiurati, con a capo un Dio di loro testa, un Dio che ha figli reietti e figli beniamini, e si godono, in suo nome, il mondo, beni e persone!
- Sciocco! sciocco! sciocco! E se non fossimo noi, i vostri contadini che s’assaettano da mattina a sera a lavorare i vostri campi, e stentano il boccone, v’accopperebbero un bel giorno, e vi lascerebbero ai lupi sull’aia, dove non avete sudato, eppure andate a dividere il grano...!
- Signor pievano, manco se ella mi avesse tirato un schiaffo, io non le avrei fatto l’oltraggio che ella si fa da sé con le sue parole. Bella gloria per la Chiesa l’essere tenuta in codesto conto da’ suoi stessi preti! Ah! la parabola dell’Epulone, pare che Gesù l’abbia detta ieri... ma se tutti i sacerdoti la pensano come lei, lo parrà ancora di qui a migliaia di anni...!
- Ma Epulone è all’Inferno, ed Eleazzaro nel seno d’Abramo! Ed è più facile ad un cammello passare per la cruna d’un ago, che ad un ricco entrare nel regno dei cieli...! Questa consolazione, ai poveri, l’ha lasciata Iddio…
- Ebbene! - disse Giuliano - allora le ripeto che io non vo’ saperne. Smettiamo di parlar di lui!
- Ed egli vi punirà colla morte del corpo e con quella dell’anima…!
- No... egli, quando gli pare, ci coglie sulla via di Damasco, e di Saulo fa San Paolo! Ma via, ha più nulla da chiedermi?
- Che veniate a fare la Pasqua; ché questo scandalo nella mia pieve non lo voglio soffrire!
- Ripeto che la Pasqua la faccio anche con mia madre o salendo talvolta su qualcuno di questi monti mentre nasce il sole, o quando va sotto. In quelle ore piene di voci misteriose, io m’inginocchio volentieri e guardo, e ascolto... Allora Dio mi si fa sentire più vicino... e rifaccio la Pasqua alla mia maniera con lui...
- Ah! Ah! - esclamò il prete, e si vedeva chiara la collera che gli fiottava dentro: - penso che voi vorreste salirne uno dei monti, ma uno tant’alto da poter vedere la Francia e Parigi e le carneficine che desiderate di poter fare anche qui!
— Sì! - rispose il giovane con sicurezza meravigliosa - La Francia e Parigi... ma non occorre tanto...! Vede laggiù il Settepani, San Giacomo, tutta quella catena? I varchi sono facili, e dall’altro versante, forse in questo punto, l’esercito della repubblica sale!
— Sale... sale un corno! - urlò il pievano, terribile, non si capiva bene se per minaccia che gli paresse d’aver ricevuta, o che volesse fare - matto voi e chi vi somiglia; Già! li vedete? Aspettano i Francesi per farci scannare! Aspettate pure, e noi pregheremo tanto, e tanto faremo pregare in chiesa che il Dio degli eserciti manderà su quei monti legioni d’Arcangeli a nostra difesa. Oggi bandirò un triduo in onore di San Giorgio, di San Martino, di tutti i Santi che hanno portate armi; vi nominerò dall’altare, vi farò conoscere a tutto il borgo... ma pregherò il Signore che v’illumini, mi vendicherò di voi colla carità.
- Della carità mandi a farne laggiù a quella svolta, oltre quei vigneti. Là, una povera donna, muore di stento con quattro fanciulli che le piangono intorno... Là, lei ed io potremo fare insieme la carità che m’ha insegnato mio padre...
- Vostro padre era un...
- Zitto! - gridò il giovane - zitto, e se ne vada subito! Qua ella non può più stare da uomo; da prete, nessuno ha bisogno di lei; vada e non si volga addietro!
Nelle parole e nell’atto di Giuliano vi era da cacciar ben altri che don Apollinare, che non se lo fece ridire e partì. Ma si sentiva l’anima far dentro come focoso cavallo che, raccolto col freno e tormentato collo sprone, gonfia le nari, s’impenna, sbuffa, tesse colle gambe su poco suolo, rabbioso e soffre; ma si farà vedere quando gli verrà dato lanciarsi di carriera.
Passando vicino a Marta, la quale, tornata mentre quella sorta d’alterco era sul forte, stava poco discosta coll’impaccio di una bottiglia e di due bicchieri in mano, non badò al profondissimo inchino che la poveretta fece per rabbonirlo, o per mostrargli che essa non ci poteva nulla.
Ma, come avesse voluto lasciarle un’altra ambasciata, disse tra i denti:
- Sfacciato! l’avrà a pagare. - E via, più che di passo, in pochi istanti disparve.
- Ahimè! povera donna - esclamò Marta - vecchia come la terra d’un castagneto, e chi sa che cosa mi toccherà vedere!
- Cosa volete che vi tocchi? - le chiese il giovane che s’era avvicinato, mettendole sulla spalla una mano.
- Certe parole - rispose essa, scotendosi quella mano di dosso - bisogna proprio averle imparate dal diavolo! Lasciavano il segno nell’aria come le saette!
- Oh santa semplicità! - esclamò egli sorridendo mestamente: - Una volta che in una città di questo mondo i preti stavano abbruciando un uomo, che loro non piaceva, una vecchierella come siete voi, recava legna da aggiungere al fuoco per aiutarli, e dar gloria a Dio con essi! - E una volta - rimbeccò Marta, provocata da quel raccontino: - una volta, che saranno quarant’anni, ed io me ne ricordo, lo speziale qui di Dego, per aver detto a un prete molto, ma molto meno di quello che lei disse al signor pievano, fu condannato a starsi ginocchioni in mezzo alla chiesa con due sbirri uno per lato e con un grosso cero acceso tra le mani, legate la domenica dell’ulivo, tutto il tempo della messa grande. Sì, sì, rida; ma non rise la sua povera moglie morta di vergogna; non rise lui, che, stato .n carcere parecchio tempo, uscì spiantato perché gli era cascata addosso la maledizione di Dio. E siccome questa maledizione cascherà anche sopra questa casa... così io ho deciso di andarmene. Sono vecchia, ma se non troverò un tozzo di pane lavorando, l’accatterò di porta in porta; ché, pur di salvar l’anima, non mi fa di morire, se occorre, anco in mezzo la via...!
Qui Marta imbambolava, e a Giuliano, che s’era sentito cader l’animo al racconto di quella moglie morta miseramente, subito si affacciò il pensiero che così triste ventura avrebbe potuto cogliere la sua povera madre; né potè por mente all’ultime parole della vecchia. Accennandole di moversi, le tenne dietro silenzioso fino al sedile di pietra fuori l’atrio; e là sedè un’altra volta, che in casa non aveva cuore d’entrarvi. Marta invece entrò, e si diede attorno ad ammannire il desinare, l’ultimo che le pareva di cuocere in quella cucina, governata da lei da cinquanta e più anni. Faceva per non uscire di là col rimorso di aver trasandata una faccenda anche piccina; che se no, avrebbe mandato all’aria piatti, tegami, tutto.
Rimasto solo, Giuliano tornò a meditare; e parlava a bassa voce tra sé, come coloro che sono travagliati da forte passione. Sicuro! - diceva - a conti fatti il meglio è che io parta. E me ne duole, perché questo signor pievano crederà d’avermi impaurito. Ma se io rimango! E se gli fosse entrato il capriccio di farmi un qualche gioco? Mia madre ne morrebbe, come la moglie di quello speziale! Eppoi... non potrebbe andar rotto il mio matrimonio? Si fa presto a mettere uno in conto d’eretico al signor Fedele: ed egli, che quasi si picca d’essere una colonna della chiesa, la sua figliuola non me la darebbe più! Sì, sì... sto a vedere quel che mia madre porta da Cairo, dò una corsa fin lassù, dirò a Bianca... che cosa ci diremo con Bianca? Non ci siamo parlati mai! Come era bella ieri mentre andava in chiesa! E mi ha veduto, e a me pareva mi raggiasse in viso il sole! E il giovedì santo! Mi feci vedere troppo improvviso...! Dalla confusione inciampò nel lembo della veste e damigella Maria se n’accorse, perché le agguantò la mano, e le parlò... forse le chiese che avesse... chi sa che abbia risposto? Io, se fossi stato in lei, avrei risposto: ho veduto un giovane che gli voglio bene, e che ne vuole a me... il mio sposo...
La signora Maddalena spuntò all’arco in quell’istante, camminando a piedi, e gli ruppe il filo di quei dolci pensieri. Egli, balzando, le corse incontro, e coll’anima tutta negli occhi, le disse: - dunque? - Andiamo in casa - rispose essa, colta a quel modo; e, per non farsi leggere in viso, passò rapidamente innanzi a lui, che, cansando Marta venuta oltre, forse per spiattellare lì ogni cosa alla padrona, seguì sua madre su per le scale.
Se di queste ve ne fossero state venti da salire sino al tetto, la signora Maddalena le avrebbe fatte tutte, per pigliare quell’altro poco di tempo, tanto le pareva d’essere sprovveduta di fermezza e di parole acconcie al fatto del figliuolo, sebbene v’avesse studiato sopra tutta la via. Ma più su del secondo piano non si poteva ascendere; ond’essa, fattasi animo, si volse a lui che le stava ai panni coll’agonia di udirla, e, senza dargli tempo di tornarle a dire quell’«ebbene?» spasimato, rispose:
- L’ho veduta...
- E le hanno detto di sì?
- Sì... ma sai pure... sono certe cose, basta! se tu ti condurrai bene.. .
- Oh! mi dicano quel che debbo fare... Vede? Solo a pensare che le hanno detto di sì, e che quella dell’Alemanno era una favola...
- Che sapevi tu d’un Alemanno...? - esclamò senza volerlo la signora, facendosi in viso come un panno lavato.
- Giuliano la guardò e le colse negli occhi la verità.
- Ah! dunque era vero - proruppe - per carità, mamma, parli... o monto a cavallo, vado da me a vedere, e stasera mi perdo...
- Perdiamoci insieme una volta! - disse la signora, smarrito per un istante il disegno fatto a Cairo con don Marco, ma subito ripigliandosi: - che cosa t’ho detto? Che Alemanno mi vai maledicendo? Ebbene? E se uno chiede una in isposa, gli è forse come l’avesse sposata?
- Sì... perché lei non sarebbe così sbigottita! - E abbandonandosi su d’una scranna colla fronte tra le mani, i capelli scomposti: - oh stolto, proseguiva Giuliano - stolto che io fui a tardar tanto! l’ho meritato...! l’ho meritato...! dunque non v’è più speranza? E Bianca ha potuto dimenticarmi?
- Giuliano - disse la signora - forse il meglio è che tu sappia la verità tutta intera. Io avrei voluto non dirtela; ma sii uomo, perché tu non faresti che mettere il tuo ed il mio nome sulle labbra ai maligni della vallata...
- E vengano, parlino i maligni! son qua! - gridò egli levandosi in piedi. Ma, essa, ingegnandosi di quetarlo colle mani, coll’atto del viso, colla voce: - Sì, lo so - noi non li temiamo; ma pazienza se vi fosse da disperarsi! Allora direi vada all’aria ogni cosa! Invece, se tu avrai giudizio, qualche anima del purgatorio pregherà per noi; e Bianca, vedrai, non acconsentirà a sposarsi a quello straniero; me l’ha promesso.
- Proprio l’ha promesso a lei? - disse il giovane sentendo rinascere la speranza: - o Bianca, tu l’hai promesso, tu mi fai questa grazia, già dubitava di te! - E rimase colle mani giunte, come se la fanciulla fosse stata davvero dinanzi a lui.
Allora la signora, pigliando consiglio dallo stato del figliuolo, gli raccontò ogni cosa seguitale a Cairo e, più animandosi a misura che lo vedeva rischiararsi: - Ecco, diceva, così ti voglio, pieno di speranza e di fede. L’Alemanno poi e il signor Fedele facciano pure: Bianca è sicura di sé; don Marco è dalla parte nostra; i Francesi son lì alle porte...
- Fossero qui domani! - esclamò Giuliano afferrando l’idea che sua madre non aveva esposta per intera: - venissero domani, e avessi cento vite, tutte, tutte le porrei con essi a combattere contro queste orde di schiavi!
- Combattere? - disse la signora, facendosi severissima in faccia, - tu, sin che io sarò viva, questa parola non la proferirai più...! Sii buono, dà retta a chi ti vuol bene; prima di tutto fa d; esser medico e parti per Torino. - Oh! - rispose Giuliano, spirando da tutta la persona l’aria d’un uomo pigliato dallo sconforto; - gli è che noi siamo... una razza d’imbelli... e a partire ci aveva pensato da me; partirò, sì, ma prima voglio andare a Cairo.
- Guasteresti ogni cosa! Finiresti di rovinar Bianca, e mostreresti di non obbedire a una madre che tu sai quel che farebbe per te. . .
- Ma che male c’è a vederla ancora una volta, e a dire addio a don Marco...
- No... tu partirai.
- Ebbene! - disse il giovane chinando il capo - domani all’alba partirò.
- Oh! non ti si scaccia mica! - esclamò la signora, che, pur di saperlo disposto di non tornare a Cairo, l’avrebbe trattenuto anziché fargli fretta a partire. Ma egli non si lasciò smuovere e ripetè, severo:
- No... mamma, l’aveva bell’e stabilito, partirò domani.
Appunto in quel momento Marta, d’in fondo alla scala, mandava su quel noioso annunzio del desinare, già troppo ritardato e messo in tavola a raffreddarsi. Essi discesero, sedettero a mangiucchiare colla mala voglia della sera innanzi; ma alla fantesca pareva non finissero mai, dalla smania di rimaner sola con la signora, per dirle del giovane col pievano, e del suo proposito di lasciar quella casa. Così i minuti si facevano ore, ma alfine Giuliano si levò da mensa ed uscì. Allora essa raccolse quanto fiato potè, e si fece oltre per cominciare. Senonché la signora si tolse da sedere, e parlando prima di lei...
- Animo - le disse - prepariamogli un po’ di roba...
- Come? - esclamò la vecchia - che se ne va? che il Signore gli abbia toccato li cuore?
- Che Signore... che cuore... che cosa mi dite? - disse la signora, guardando Marta e meravigliando di quell’esclamazione.
La vecchia ondeggiò un istante, e in quell’istante capì quanto le sarebbe poi riuscito amaro lasciare quella padrona, che l’aveva tenuta più da amica che da serva, per buttarsi su d’una via in cerca di pane e di ricovero. Se Giuliano partiva, che vi poteva essere di meglio per lei? Avrebbe potuto rimanere tranquilla al proprio posto, ché il pericolo d’offendere Dio servendo un peccatore era bell’e cessato. Ma, quanto al pievano, quel che gli era seguito col signorino, non le riuscì tenerlo sullo stomaco manco un minuto. Vinta dalla propria natura e dallo sguardo della padrona, cominciò l’ambasciata avuta in castello al mattino, e le narrò ogni cosa sino al modo in cui don Apollinare se n’era andato imbestialito mezz’ora prima. Le eresie buttate dal giovane, e la minaccia del prete di fargliela costar saporita, diedero alla signora il tuffo; e le venne addosso una smania che le pareva di non poter durare sino all’alba dell’indomani. E se non fosse stata la tema di vederlo intestarsi a rimanere, avrebbe pregato Giuliano a montare a cavallo, e a partire subito benedetto. Ma si quetò un poco pensando che, alla fin dei fini, per acchiapparlo bisognavano sbirri, e che a Dego di quella roba non ve n’era. Chi sa? forse il pievano aveva minacciato così per minacciare; o, alla peggio, non avrebbe spacciato uno di carriera per avere da Cairo o da altri luoghi man forte. Di là all’indomani non c’era molto, e, in ogni caso, Giuliano si sentiva in gambe per scampare di forza. Non potendo divorare le ore, affrettò quella faccenda del fardello; e, pur confusa com’era, aiutata da Marta, adoperava ogni diligenza perché nulla avesse a mancare.
Facendo parlavano sottovoce perché Giuliano non avesse a sentire, non sapendo che egli discosto da casa un trar di schioppo, in parte donde poteva scoprire le lontane ruine del castello di Cairo, alcune cime a lui note, certi sentieri biancheggianti nelle montagne e fino una rupe su d’una vetta selvaggia e foresta, dove don Marco soleva accompagnare lui e gli altri suoi scolari a diporto. Messosi a giacere sull’erba coll’occhio or su l’una or sull’altra di quelle viste, immaginava che Bianca stesse sull’altana di casa sua a pensare a lui.
Pianse d’affetto; e provò non sapeva che pietà per quell’Alemanno, che, nella sua fantasia, gli pareva di vedere umiliato dai rifiuti della fanciulla.
Stette così adagiato, finché s’avvide che il sole andava sotto, e allora tornò verso casa. Il sentiero correva fra due siepi di biancospino e di rose silvestri, che facevano allora le boccioline; ed egli veniva giù ascoltando una voce di suono dolcissimo, la quale cantava alle rondinelle una soave canzone. L’effetto del canto temperava la rozzezza delle parole, e le rondini, tornate di quei giorni, radendo a volo i prati, levandosi in alto alcune braccia, stando a brillare un’istante, e, ripiombando fulminee, parevano far segni di rispondenza amorosa alla cantatrice.
Giuliano diede un’occhiata per di sopra alla siepe e vide che la cantatrice era Tecla, una figlia sedicenne di Rocco, il suo colono. Essa stava seduta all’un dei capi d’una lunga lista di tela greggia distesa là sull’erba perché, tra per l’acqua che vi si buttava sopra e pel sole, divenisse bianca. E se ne raccoglieva sulle ginocchia, tirando e addoppiando di quella, quanto erano lunghe le sue braccia nude fino al gomito, e la tela s’accorciava man mano, strisciando sull’erba. La giovinetta, per il fruscio, non avendo inteso la pedata di Giuliano, proseguiva a cantare. A un tratto si accorse di lui che s’era fermato lì discosto e tacque arrossendo. Finito di raccogliere la tela, si levò in piedi rimescolata, e, tenendosela in fascio contro il seno, stette vergognosa di vedersi guardata come non s’era mai vista c a nessuno.
- Perché non canti più? - le chiese il giovane: ed essa, cogli occhi bassi, e col cuore agitato, fece atto di partirsi senza dir nulla.
- Ah Tecla, tu sei felice! - proseguì Giuliano - oh! se Bianca fosse nata qui, lontana da quella gente... e povera come te. Se tu fossi Bianca! Addio Tecla, va canta, canta pure che sei felice.
La fanciulla se ne andò dimessa e sbigottita. Egli stette a guardarla, poi esclamò: - in verità vorrei essere nato contadino, perché sento che a falciar erba e a vangare campi sarei felice come lei!
Qui, subito pensando al colloquio avuto con don Apollinare, soggiunse sdegnoso, e parlando a se stesso: - Tu! tu osi dire che questa povera gente è felice? E sai tu l’anima di questa fanciulla? Tu che ti trattieni a guardarla; e le dai del tu; e, solo che ti venisse in capo, potresti farla piangere, mandandola raminga coi suoi, fuori del tuo podere?
Così pensando fu in casa. Là Rocco, il padre di Tecla, stava pigliando gli ordini dalla signora, che gli raccomandava di tenersi pronto all’alba col suo bardotto e colla giumenta del figliuolo. Il quale, aggiunto qualcosa di suo, e stato in sala un altro poco, prese licenza e andò a gettarsi sul letto, dove, quanto fu lunga la notte, non gli venne fatto dormire mezz’ora di seguito, travagliato com’era dai pensieri che ogni poco gli rompevano il sonno.
In sala rimasero la signora e Marta, le quali, ad ogni più leggero rumore, tremavano, e credevano fossero sbirri. Vegliavano per essere pronte a far fuggire il giovane prima dell’ora fissata, dove occorresse; ma quando l’orologio del castello ebbe suonate le sei d’Italia, e per tutto fu quiete altissima, la fantesca disse:
- Signora, se ne vada pure a riposare, che ormai se qualcosa aveva ad accadere non saremmo più qui...
E tanto fece e disse, che la signora, sebbene non volesse per nulla, dovè andarsi a riposare. Ma prima salì da Giuliano, che, appunto, dormiva uno di quei corti sonni rotti. S’avvicinò cauta, facendo schermo colla mano al lume che, dandogli negli occhi, non lo destasse e lo guardò con amore lungamente. Povera donna! A quel che già sapeva di lui, e a quel che le era stato detto da Marta, circa al fatto del pievano, pensò che della fede in cui l’aveva allevato, egli ne serbasse ormai punta o poca. Provò al cuore una stretta dolorosa, e, stesa la destra, lo segnò leggermente dalla fronte al petto, come usava fargli da bambino, prima di coprirlo nella culla. Così facendo, non osava neanche fiatare dalla tema che, destandosi, se ne avesse a male; poi, in punta di piedi, uscì di quella camera e discese nella sua dove stette un’altra mezz’ora a pregare per sé e per lui.
Marta vegliava a terreno menando i ferruzzi a fare la calza, e stava tutta orecchi. Ma per tutta la notte non udì nulla mai.
Come fu l’alba e s’udì Rocco parlar con le due bestie arnesando, essa aperse la finestra della cucina e s’affacciò. O l’aria del mattino le spianasse le rughe, o la lunga veglia non avesse potuto sopra di lei, essa era come se si fosse levata allora da letto. Chiamò la signora Maddalena, e, poco dopo, Giuliano discendeva anch’egli vestito e stivalato, pronto a partire. Egli si trattenne con sua madre a parlar con grande passione; disse, ascoltò, promise tutto quel ch’essa volle, bevve una tazza di latte, mangiò un pane; poi, baciata la mano a lei, e strettala a Marta, uscì sul piazzale e fu in sella. Rocco montò un po’ meno agile sul bardotto con in groppa il fardello del giovane, e, questi innanzi ed egli dopo, pigliarono la stradicciuola che menava ai monti pei quali le due valli della Bormida son divise.
Le donne stettero a guardarli dietro, e v’era, poco discosto, Tecla venuta quella mattina più sollecita dell’altre volte a portar latte per la famiglia. Tenutasi in disparte finché essi furono partiti, aveva gli occhi lagrimosi, e pareva accorata. Marta, fattalesi all’orecchio, le bisbigliò: - Cosa piangi sciocca? Va altrove, che la padrona non ha bisogno delle tue lagrime. Va, va, che tuo padre tornerà...
Tecla se ne andò, lasciando la vecchia punto dubbiosa di aver indovinata la cagione del suo pianto; e questa rientrò in casa colla signora. La quale, disfatta per quel che aveva patito dal giorno innanzi, sedette come persona inferma; e, voltasi alla fantesca, le disse:
- Marta, corremmo troppo a pensar male del pievano!
- Che vuole! - rispose Marta - ieri mattina egli se n’è andato così furioso, Giuliano glie ne aveva dette di così grosse! Ho fatto i giudizi temerari... Ma! chi si salverà farà la gran bella giornata...!
In verità, sebbene i fatti dessero ragione al pentimento di Marta, il pievano s’era partito il dl innanzi da quella casa proprio col proposito di pigliar vendetta a suo modo del giovane giacobino. Risalendo in castello v’aveva meditato sopra, e non vedeva l’ora d’averlo tra le mani; senonché, rientrando nel presbiterio, si era abbattuto in donna Placidia che gli porgeva una lettera suggellata grossamente con cera di Spagna, e con lei il Minore Osservante che gli si faceva incontro, dicendo da celia:
- Non ha gli occhi cavati, non il naso tagliato, non gli orecchi mozzi, dunque gli infedeli si sono convertiti...?
- Ah! padre - sclamò il pievano cui il sangue, rimescolato dalla procella di poco prima, fiottava tuttavia assai forte, - ella parla di infedeli per celia, ma qui nella mia pieve ho di peggio! Qui vi sono rinnegati...
- Rinnegati? - urlò il frate: - Che mi dice mai? rinnegati! ne parlerò domenica dando la benedizione papale.
- Eh! altro che prediche...! Adesso vado a Cairo, mi presento al generale Alemanno, gli dico le cose, e quel Giuliano laggiù, cui non fanno paura né Dio né Santi, e vuol fare scuola di religione a me... lo colgo e l’aggiusto io! Placidia, dite a Mattia che ponga la bardella sulla giumenta...
Parlando alla sorella, si rammentò della lettera che essa gli aveva data, e, mentre il Minore Osservante rispondeva alla sfuriata di lui con un’altra sfuriata, come dicessero i salmi, un verso per ciascuno, egli alzò il suggello, aperse il foglio, vi piantò gli occhi sopra e lesse da sé:
«Molto reverendo signor pievano, vengo con questo mio piccolo foglio a farle sapere che questa volta i regicidi, scomunicati, scellerati francesi, hanno il diavolo dalla loro, perché i nostri vengono perdendo, dalla marina verso in qua, ogni giorno. Sui monti di Nizza fu ieri grosso parapiglia, e, per quel che so, se il Dio di Sabaot non ci aiuta, finirà male. Le dico che non dormo né dì né notte, faccio conto di venire da lei, per scampare da quei birbanti». - Sì sì! vieni da me! - esclamò don Apollinare sgomento: - vieni e mi troverai qui colle braccia aperte! Starò qui ad aspettare che i Francesi mi colgano colle calze bracaloni! Legga padre, legga quel che scrive il Rettore di Montefreddo!
Il frate prese la lettera e lesse ad alta voce; donna Placidia si cacciò la mano nel grembiale a cercare il rosario, recitando la preghiera dei temporali: - Santa Barbara, San Simone, liberatemi dal lampo e dal tuono. - Il pievano intanto, si mise a guardar dalla finestra le gole dei monti verso la marina, e vide il campanile di Montefreddo biancheggiare nel verde degli abeti, come vela solitaria in golfo lontano. Il frate, letta la lettera, gli si avvicinò e gli disse:
- Senta, signor pievano, mi pare che sarebbe da uomo prudente aver pazienza. A quel giovinotto di cui parlavamo or ora ci penserà poi...
- Ben detto! - esclamò il pievano - non è tempo da cercarsi nemici. Ma! Eravamo così tranquilli! si faceva il dover nostro e stavamo come il pesce in mare! Bisognava che i Francesi diventassero pazzi, per darci queste tribolazioni!...
Qui entrarono in ragionamenti che a noi fanno gioco, e, l’indomani, quando seppero partito Giuliano, l’uno e l’altro, rallegrandosi assai di quella partenza, la chiamarono fuga e se ne lodarono molto.