Lo sposo di Bianca, partito cruccioso sul suo cavallo, aveva pigliato la via, che sulla cresta dei monti, a ridosso del castello, menava a Montenotte e che si vede anche ai dì nostri, angusta, piana e ombrata di bei castagni. Egli ne aveva corso un tratto, poi, giù per un traghetto era disceso a valle, non ruzzolando, più per le buone gambe della bestia, che per l’avvedutezza propria: e s’era messo sull’altra, alla volta di Cairo, in riva al torrente. Cavalcava così raccolto e pensoso, che più non l’era stato Giuliano tornando dal borgo, la prima sera descritta in sul principio di questo racconto. Passando vicino agli alloggiamenti delle soldatesche il pover’uomo non rispondeva al saluto delle guardie né a quello dei compagni; e tirando dritto ora di trotto ora di galoppo, cercava di giungere a Cairo, prima che fosse suonato il De profundis, sapendo che a quell’ora ognuno di quelle parti soleva chiudere la porta di casa sua. Il borgo, dove non era più tornato da quasi un mese, gli apparve dinanzi nell’ombra dell’antico castello, sul quale un quarto di luna posava la sua luce di striscio e poca, come la guardatura d’un occhio socchiuso e bieco.
- Non t’avessi mai visto! - sclamò egli più coll’animo che colla voce, - non t’avessi mai visto, villaggio malaugurato!
E, trapassato il ponte, che suonò cupo come per rispondere a quelle afflitte parole, fu sotto l’androne che metteva dentro al borgo; poi, di là, per la via più breve, alla porta del signor Fedele.
I tempi erano tornati a correr grossi; e il capo supremo dell’esercito Alemanno che alloggiava in Cairo, aveva bandito di quei giorni che, dopo l’avemaria della sera, gli abitanti del borgo stessero ritirati, o badassero a non andar fuori senza recarsi in mano un lume, che guai! E però non è a dire se le vie, dopo le ventiquattro, rimanessero deserte. Fu proprio sorte, se il cavaliere, appunto fermandosi, vide venire un tale che portava una lanterna affumicata tanto, che si vedeva appena, quasi egli avesse voluto obbedire e insieme far dispetto a Sua Eccellenza il generale dell’Impero.
- Fatti in qua - disse a colui il cavaliere spuntando; e, dategli in mano le briglie del cavallo, piantando lui e la bestia a farsi paura a vicenda, salì dallo suocero.
Gli speroni e la guaina della sciabola battuta contro i gradini stridevano come voce di malaugurio. Il signor Fedele, che sedeva in sala facendo certi suoi conti colla memoria, al lume d’una lucernetta, la cui fiamma, per essere nutrita d’olio di noce, s’agitava fumicosa, spandendo intorno un odore molesto, balzò in piedi a quel suono, corse sul pianerottolo, e, levandosi alta la lucerna sopra la spalla, si chinò per vedere meglio chi fosse colui che saliva.
- Oh! siamo noi? - sclamò ravvisando l’Alemanno, al quale non voleva più dare del lei e non sapeva per anco dar del tu: chi desse retta al cuore non sbaglierebbe mai! ci pensava or ora... ma siamo soli?
- Solo! rispose l’Alemanno arrivando in cima alla scala e fissando in viso tra ciglio e ciglio il signor Fedele. Il quale, vedendosi guardato a quel modo, mostrando grande ansietà nella voce e nell’atto, gli chiese:
- O che abbiamo?
- Nulla! - rispose l’altro; ed, entrando nella sala, soggiunse:
- Vorrei parlar colla zia.
- Ma che è avvenuto, qualche malanno a Bianca? - gridò il signor Fedele rimanendo colla lucerna in mano e colla faccia illuminata di sotto in su, malamente: - se è, diciamolo a dirittura che, sebbene padre, so accettare dal Signore il bene e il male, e benedire la sua santissima mano.
- Vorrei parlare da solo a sola colla zia. - tornò a dir l’Alemanno.
- Allora passiamo da lei, che è sull’altana con Margherita. - disse il signor Fedele un po’ insospettito; e accompagnò il genero attraverso l’andito che metteva sull’altana. Là, chiamata Margherita, le fece salutare il cognato rispettosamente. Poi lasciò che questi se n’andasse da sé dov’era la zia Maria, e, deposta la lucerna in un lato dell’andito, se ne tornò in sala alla figliola, tutta rimescolata di quel mistero.
Damigella Maria sedeva al suo posto usato, sotto la cupoletta dei luppoli, mesta per certo fruscio di foglie secche, che il vento le faceva sentire intorno. Quel fruscio le parlava dell’inverno che, sebbene fosse anche mezzo settembre, già, su quei monti, s’annunziava vicino. Oh il triste inverno che sarebbe stato quell’anno! Non potersi più sedere in quel posto, a udire la gente passar allegra pel vicolo; chiudersi in una stanza a canto al fuoco; udir l’ore scoccate con suono spento, dalla campana coperta di neve; vivere come sepolta viva, e non avere più Bianca! Pensava a queste cose, e già le pareva di patirle tutte, quando, udito il passo dell’Alemanno che veniva a lei, e la voce del cognato che chiamava Margherita, la cieca provò, non seppe neanch’essa qual contentezza. Questa volta si sentiva il caso di dirgli tutto l’animo suo; egli capitava proprio in buon punto! Se non si risolveva a tener promessa, lasciando che Bianca tornasse a vivere vicina a lei, se non la rimenava a Cairo, se non veniva a starvi anch’egli per sempre, poveretto lui!
Egli le si fermò dinanzi, e alla poca luce che la coglieva dall’andito traverso le foglie della cupoletta, vedendola stare col viso sporto, come per chiedergli che volesse, cominciò a dire rispettoso:
- Signora zia..., se qui niuno ci può ascoltare, io vorrei dirle una cosa…
- Parli, - rispose subito commossa damigella Maria, esperta a conoscere ogni più secreto moto dell’animo altrui, solo a sentir una parola.
- Niuno qui può ascoltarla, parli, comandi... - E così dicendo cercava colla sua la mano di lui.
Tanta cortesia della cieca riusciva nuova e dolcissima all’Alemanno; perché, dal giorno in cui essa s’era chiarita, che egli, ospite ed infermo nella palazzina, coll’aiuto del padre Anacleto, aveva vinto l’animo di Bianca, e stabilito il parentado; da lei più che parole aspre non s’era sentito mai dire. Ora forse la donna mite indovinava dall’accento di lui, più assai dolore che ei non volesse mostrare: e, in cambio di sorgere superba con dei raffacci vedendo avverati i suoi tristi presagi, s’addolcì tutta e provò per lo sposo di Bianca, misto a compassione, il primo senso d’affetto.
Egli sedè, vinto dai modi di lei, che gli tornava in quel momento cara, quanto gli era parsa uggiosa e molesta altra volta; e parlando più basso che potè, le disse:
- Io comincio col chiederle perdono di averle tolta la sua nipote, perché so quanta consolazione fosse per lei l’averla vicina Mi accordi questo perdono, ché se no non oserei più parlare, svergognato d’una colpa, che forse è la più nera della mia vita...
- Che dice mai? - interruppe la cieca - che dice mai! colpa! Ella ha cercato la felicità, e al mondo ve n’è così poca, che, per’averne noi dobbiamo toglierne agli altri. Mi spiacque che Bianca sposasse uno che non era dei nostri luoghi, sì...! ma poi... più di lei ci ha colpa il padre Anacleto... che li ha ingannati ambedue!
- O zia, - sclamò, sospirando, l’Alemanno - proprio non le spiaceva che io sposassi Bianca per altro pensiero?
- Pensiero...! - rispose la cieca, che, alla maniera con cui veniva interrogata, non avrebbe né mentito né taciuto per nulla al mondo: - V’era anche questo, che Bianca si voleva bene con un giovinotto quaggiù della nostra vallata, e mi pareva che, sposando uno quando il suo cuore era già d’un altro, potesse andare incontro a qualche mal passo...
- Oh! no... no... - proruppe l’Alemanno - mal passo per cagion mia, mai! Ma quel giovane era degno di lei?
- Se degno!... Era del primo casato di Dego.
- Proprio di Dego?
Queste parole furono dette in guisa, che damigella Maria ne rimase tutta rimescolata; e, presa la mano dello sposo di Bianca, parve che, non potendo leggergli negli occhi, volesse sentire al tatto, indovinare al respiro, che cosa ei pensasse.
- E lei, - disse poi tremando - lei perché m’ha colta alla sprovveduta…? Appunto…. quel giovane era di Dego… e Bianca è a Dego! che fu, mio Dio, che fu? Per carità badi, essi non s’erano mai parlati, glie lo dico io...
- Le credo.
- Mai!... non saprei mentirle, non faccia a Bianca niun male!
- Oh far male a una donna! mai...! - rispose l’Alemanno; eppoi il torto fu mio... e basta!. - Ciò detto si levò e partì, lasciando la povera donna, che, non sapendo che farsi per rattenerlo, o piangere o pregare, sperò che si sarebbe fermata in sala dal signor Fedele. Ma egli, attraversato l’andito, vi si fermò tanto da stringere la mano a Margherita, dandole uno sguardo con cui pareva volersela portar via; pigliò anche quella dello suocero ma un po’ lentamente, e, senza dir altro, si mise giù per le scale. Trovò alla porta il cavallo abbandonato dal borghigiano, che, non parendogli vero di potersi levare la briga di quel focoso animale, l’aveva legato a una campanella lì fuori; montò in sella e partì.
Il signor Fedele rinvenne dallo stupore soltanto quando sentì lo scalpitare del cavallo sull’acciottolato della via. Mentre si lanciava alla finestra per chiamare il genero chi sa con qual grido, si vide dinanzi damigella Maria, venuta in sala a gran fatica, avendo essa pel turbamento quasi perduta la pratica della casa.
- Ecco - diceva, poiché si sentì vicina al cognato; - ecco a che ne siamo colla vostra ambizione!
- Sì! - gridò il signor Fedele, guardando a squarciasacco la cieca, mentre Margherita tremava a verga a verga: - fatemi le tragedie anche voi, che mi stanno bene! A che ne siamo via, dite... Siam morti?
- Siamo a questo - proseguì damigella Maria - che quella povera sventurata della vostra figliuola, se l’aveste lasciata sposare chi voleva essa, non finirebbe come finirà!...
- Tisica, ammazzata, peggio! - urlò il signor Fedele, - capisco!
Vi sarà a Dego quel suo giacobino sciagurato, cui Dio mandi tutti i malanni! Ebbene..., se essa avesse osato disonorarmi...
- Cognato! - interruppe la cieca, troncandogli la parola colla maestà dell’atto; e poi dolcemente disse alla nipote: - Margherita, vattene in camera...
La giovinetta obbedì lagrimosa. Allora damigella Maria ripigliò severa:
- Cognato, io non avrei creduto mai che voi foste padre da pensare brutte cose del sangue vostro!
- Io? - rispose il signor Fedele, inarcando le ciglia quasi meravigliato .
- Voi, sì! e se io non v’interrompeva, non avreste avuto rispetto neanco per quella innocente, che era qui ad udirvi...
- O voi - disse egli risolvendo l’atteggiamento in cui era rimasto, in una crollata di spalle stizzosa, - voi dunque che sospetti mi siete venuta a ficcare in corpo...?
- Io dissi onestamente e giusto! - rispose la cieca e narrò in breve il colloquio avuto coll’Alemanno. Il signor Fedele ascoltava, rischiarandosi in faccia man mano ch’essa diceva.
Come gli parve che avesse finito, proruppe:
- Donne! E voi volevate perdere il conoscimento per simili freddure? Via, datevi pace, cognata; andate a dormire quieta, che domattina di buon’ora io me ne andrò a Dego.
E presa la lucerna, se n’andò a chiudere l’uscio da via, piantando (stavo per dire al buio) la povera cieca; la quale avrebbe data la vita per poter essere a Dego, o per potervi andare anche camminando sopra le spine.
Ma debole, infermiccia, con quella sua disgrazia degli occhi, che avrebbe fatto giù per quelle strade, di notte, se anco si fosse presa compagnia? Si ritirò nella camera dove soleva dormire con Margherita, pensando che quella notte sarebbe stata una notte pur lunga.
L’Alemanno frattanto cavalcava di buon passo, già vicino a Dego; e, per dire il vero, aveva molto combattuto seco stesso per tenersi dal passare al convento, chiamare il padre Anacleto, e giù, senza tanti discorsi, pagargli con una sciabolata sul cranio, il servigio fatto a lui ed a Bianca. Ma quella sua smania s’era risolta in un pensare doloroso alla scoperta del primo amore di Bianca. E, rifacendo colla memoria la vita dei mesi passati, rivide se stesso, quale doveva essere stato da principio, allora quando, preso d’amore e non essendogli dato d’avere uno sguardo dalla donna amata, s’era sentito venire addosso tanta malinconia, da non essere più quello di una volta agli occhi dei commilitoni maravigliati. Rammentò come avesse tribolato molto per cavarsi dal cuore quella montanina, la quale aveva fatto a lui un senso, che da nessuna donna gli era stato mai fatto: e la ostinatezza in cui si era messo per ottenere l’amore, mentre essa non badava a lui, gli pareva adesso la maggior colpa che avesse commesso in sua vita, proprio come aveva detto alla zia Maria.
- Folle che io fui! - esclamava. - E non pensare che in Italia le fanciulle, a diciott’anni hanno il cuore preso da un pezzo! L’ho voluta e mi sta bene. E qual dritto ho io di rimproverare una donna, perché serba memoria d’un uomo che amò, quando i luoghi, dove nacque l’amore suo, le stanno sempre dinanzi...? - In questi pensieri l’animo gli ribolliva, e penava a non lasciarsi pigliare dall’ira; ma gli tornavano nell’orecchio le parole della cieca, la quale gli aveva accertato che Bianca e quell’altro non si erano parlati mai. Così gli si abbelliva a poco a poco l’immagine della donna sua; e l’amore puro da essa custodito finché egli non era venuto a turbarla, cominciò a parergli la dote più nobile che Bianca gli avesse portato. Si sentiva quasi disacerbato, si lodava di essere andato dalla zia Maria a sincerarsi l’animo, e col capo pieno di disegni e di pentimenti, non vedeva l’ora di essere a Dego per baciar la mano alla sposa e chiederle perdono.
Vi giunse che mancavano poche ore all’alba, e trovò Bianca seduta a pié del letto Egli si fermò sulla soglia un tratto; ma non potè tenersi che non corresse colle braccia tese verso di lei; e, levandola dolcemente in piedi e guardandola nel volto pallido e bagnato di pianto recente, colla voce che seppe far più dolce, le disse:
- Perché non parli?
- Un’altra volta, prima di partire in quella guisa crudele, cacciatemi di casa che sarà meno spregio!
- Senti, - rispose il marito - se ho provato il bisogno di correre a Cairo, se ho voluto parlare alla zia, se torno chiedendoti perdono, io che non lo chiederei a nessuno offeso da me, o piuttosto morirei per punirmi colle mie mani, ecco che m’inginocchio davanti alla donna mia! Bianca, abbandoniamo, e presto, queste montagne. soltanto lungi di qui potremo viver felici...!
- Questi non furono i nostri discorsi! - sclamò Bianca; - già me ne sono accorta; prima il paese dove io sono nata, poi vi verrò a noia io stessa...!
— Mi verrà a noia la vita! — proruppe egli allora rifatto severo. E fu l’ultima parola, perché Bianca non osò più aprire bocca; né a lui parve di poter più dire, senza cader col discorso sopra l’antico amore di lei; amore che non avrebbe mostrato di conoscere a nessun prezzo, più apertamente di quel che aveva già fatto.
Mentre essa tornava a rannicchiarsi timidamente, egli si affacciò al balcone; e il suo sguardo per quella oscurità andò a posarsi sul vico della riva sinistra del torrente, dove, a quell’ora, si vegliava in una sola casa, come si vedeva alle finestre or l’una or l‘altra illuminate. - Pare fatto per dispetto! - pensò tra sè; e toltosi dal balcone chiudendone le imposte con mal garbo, si ritirò nella sua camera senza più dir nulla alla sposa.
Quella ove aveva visto i lumi era la casa della signora Maddalena, la quale stava in quell’ora aspettando Anselmo, che venisse a pigliare col calesse Marta e lei, per portarle verso i luoghi della marina, dov’era Giuliano. Perché, dopo le novelle recate da Mattia, la signora si era sentita entrar una smania, che le pareva di non poter più vivere se non andava a raggiungere il suo figliuolo. La partenza era stata fissata per l’alba; ed intanto che Marta preparava un po’ di roba da portar via, Tecla la aiutava, sentendosi crescere lo sgomento di rimaner sola.
Così le poche ore che mancavano all’alba, passavano volando per la giovinetta, e facendosi secoli per la signora già pronta; la quale, guardando Marta affaccendata e rinfronzita, aspettava e sorrideva.
La vecchia vestiva certa sua veste di indiana scura, tempestata di fiorellini rossi e minuti, ornata alle ascelle di rigonfi, ai quali si innestavano molti svolazzetti somiglianti ad ali di pipistrelli. Le maniche della veste erano così strette che le braccia, sebbene aduste, vi capivano a fatica; un grembiale ampio, d’altra indiana meno scura, le cingeva i fianchi fin sulle reni, e due fazzoletti, stampati di frutta e di fiori a colori assai vivi, le coprivano l’uno il capo l’altro le spalle, facendo una strana cornice alla sua faccia, massime alla fronte, sulla quale pareva di vedere un pensiero, piccino ma sempre desto, ma sempre in moto come uno sgricciolo, dare il guizzo tra le grinze che facevano mazzo li verso le ciglia, in cima a quel suo nasetto, curvo come il rostro, e di espressione diversa da quella si dolce de’ suoi occhi.
Alfine il calesse arrivò sul piazzale. La signora, udendo, si levò in piedi, e voltasi a Tecla, le disse: - Mi sento così forte che proprio sarebbe peccato se io non andassi... Tu Tecla sta da buona figliuola... tu rimarrai al mio posto. La farai da padrona e accoglierai i forestieri, se qualcuno ne capiterà, mentre io sarò lungi. Ecco, queste sono le chiavi... tu le conosci tutte. Dormirai nella camera che ti piacerà meglio, e tuo padre e tua madre di terranno compagnia.
Userai d’ogni cosa come fosse tua; ritirerai la roba dai coloni, ne terrai conto sul libro di casa, darai gli ordini per la vendemmia... impara a diventar massaia, che, quanto a noi, chi sa quando ritorneremo. Se colà si sta bene, non ci verrà in mente di ritornar qui, no. Ma scriverò che tu mi mandi quel che mi bisognerà, e potrai venire con tuo padre a portarlo. Vedrai i bei paesi! Là, quando noi si muore dal freddo, dalla noia, chiusi in casa dalla neve, là sempre un sole, sempre un’aria dolce, e il mare... Addio Tecla! - E, presa tra le mani la testa della giovinetta, che pareva non aver più senso, la baciò in fronte, e s’avviò verso il piazzale.
Marta, rispettosa più che non fosse mai stata tutto quel tempo, in cui i suoi riguardi verso Tecla erano cresciuti ogni giorno, le disse: - Avete inteso? Il Signore vi vuol proprio bene! Pregate per la padrona e per me. Addio! - E, datole anch’essa un bacio, andò a raggiungere la signora, recando una sporticella, nella quale aveva raccolto cacio, pane, frutta, tanto da potersi rifocillare tra via, come se fuori di casa vi fosse stato il deserto.
Tecla, sin dalle prime parole della signora s’era sentito uno sbalordimento, e si reggeva al tavolo, perché le gambe non volevano tenerla ritta. Ma quando lei e Marta furono scomparse dall’uscio, quel vedersi sola la scosse e corse fuori per raggiungere la signora. Il calesse partiva in quel punto, portando le due viaggiatrici, le quali si volsero in dietro, videro la giovinetta colle braccia tese, la salutarono colla mano, e subito trapassarono l’arco. Allora Tecla diede uno sguardo a suo padre, che tutte quell’ore, era stato ad aiutare Anselmo ad arnesare; un altro ne diede alle chiavi avute dalla signora e, lasciandole cadere: - No, no! - sclamò - io non voglio, non voglio... O signora Maddalena, o padre mio, rimenatemi a casa nostra!
- Via - diceva Rocco raccattando le chiavi, e non sapendo capire come tanto onore tornasse sgradito alla figlia, - via, che tu sei pazza e tiri calci al pan bianco... andiamo!
E la conduceva dentro, lieto di quella ventura, parendogli di essere da colono diventato castaldo, ricco per i belli occhi di lei; e già pensava alle cento cose che avrebbe fatto mentre che la signora sarebbe rimasta lontana. In cuor suo tornava ad augurarle la buona andata.
Questa, in verità, non poteva, da principio essere migliore, e il sole s’era alzato di poco, che già il calesse aveva oltrepassata la terra di Rocchetta, intorno alla quale giostrava una grossa banda di Alemanni, che sciupavano i prati, immolandosi nella guazza a procacciarsi doglie per la vecchiaia. A un certo punto, dove l’aspetto della via era più selvaggio, sorgeva su d’una roccia un pilastrone, nel quale era cavata una nicchia, e un pennello onesto vi aveva dipinto una Madonna Addolorata, che sovrastava ad un viluppo di fiamme e di teste, messe là dal pittore a spasimare nel purgatorio.
Là le viaggiatrice si abbatterono in due personaggi che venivano cavalcando dalla parte di Cairo e che si cansarono per lasciar largo il passo al calesse.
- Oh! oh - sclamò Anselmo - son mattinieri il signor Fedele di Cairo, e il predicatore che avevano a Dego la Quaresima passata! - E, girata un tantino la testa sulla spalla, e tenendo un occhio al cavallo e l’altro alla signora Maddalena, soggiunse: - Forse il signor Fedele va a visitare quella sua figliuola maritata ad uno di quei generali Alemanni che abita in Castello...
La signora Maddalena, cui la visita del padre di Bianca aveva tornato a mente l’apparizione di costei all’arco del suo piazzale s’era sentita correre un gelo per la persona. Ora le parole d’Anselmo le fecero pensare quanto più lieto di lei, doveva essere quel padre che andava a visitare la sua figliola sposa; e non potè frenare un sospiro. Anselmo, temendo di darle noia, schioccò la frusta, e tirò diritto al fatto suo: ma ahimè; quella donna, che, partendo di casa, aveva trovato così bello il cielo, i campi, la compagnia, parve a un tratto condotta a forza e rassegnata a qualche mala ventura. Già tutta l’allegrezza di mezz’ora prima si mutava nello struggimento degli altri giorni.
Marta, pur non osando nulla, vedendo in faccia alla padrona i segni dell’animo scompigliato, stava tutta occhi temendo che le pigliasse male. E per questo, non badava a un rumore come di tuono lontano, che veniva non si poteva dir bene da qual parte; e quasi non udiva certe esclamazioni, in cui usciva Anselmo, come parlasse a se stesso.
- O che adesso siamo al temporale? - diceva egli - eppure non veggo una nuvola larga come un luigi d’oro, chi volesse pagarla. - E alzava gli occhi a guardare il cielo, terso da un capo all’altro come uno specchio. Ma quel rumore, quel mugolio lontano, cresceva cresceva. Il pover’uomo stupiva sempre più, e, ad ogni svolta donde si potesse scoprire più lontano, avrebbe giurato di vedere spuntare all’orizzonte le nuvole malvagie piene di tempesta.
Mentre egli pensava all’uve, alla grandine e al raccolto pericolante, la signora, toccando Marta leggermente col gomito, le additò, al di là del torrente, una viuzza aspra, che menava ad un casale, accovacciato in fondo a una valletta squallida e brulla. Marta guardò, e vide una compagnia di contadini, i quali facevano corteo ad un feretro coperto d’un lenzuolo bianco, e portato da quattro disciplinanti.
- Là c’è un morto - disse segnandosi Anselmo, che forse, udendo qualche verso delle litanie dietro quel feretro, aveva posti gli occhi addosso alla comitiva anche lui: - il Signore abbracci l’anima sua. - E si mise a bisbigliare qualche preghiera.
L’ora, la vista di quei camminanti, le pietose parole d’Anselmo; rozzo uomo e buontempone, aggiunsero tanto allo stato della signora Maddalena, che il suo pensiero si arrestò lì. In cambio del morto vide colla fantasia se stessa al gran passo, e una voce interna le disse: - Colui, se non altro, ebbe il conforto di spirare tra i suoi; ma tu, quando sarà la tua ora, dove morirai, o come, e in man di chi? - Morire per essere sepolta nella chiesa del suo villaggio, là dove erano stati chiusi suo marito, il suocero, la suocera, tutti i parenti ch’essa non aveva conosciuti, e che avrebbe trovati nel sepolcro e nell’eternità, era cosa cui pensava talvolta anche con certa gioia; ma andare a giacere in altre tombe, quale sgomento!
Essa si sprofondava in questi pensieri; e il calesse giungeva là dove la valle si allarga improvvisa nella pianura da Cairo, ampia e deliziosa e, nel lato opposto a quello donde il calesse arrivava, chiusa dai monti di San Giacomo, del Settepani, da tutta la giogaia, sui fianchi della quale, gli uni di là, gli altri di qua, si fronteggiavano da mesi, e assai da vicino, gli imperiali e i repubblicani. Le selve di quei luoghi aspri parevano, in quel momento, incendiate; e al fumo che sorgeva a viluppi in parecchie parti, s’indovinava una battaglia, della quale non si udiva che quel mugolìo, parso ad Anselmo di tempesta vicina.
- Oh! oh! - sclamò egli, fermando il calesse così d’un tratto, che le viaggiatrici n’ebbero scossa la persona. - Altro che temporale! Guardi, guardi signora Maddalena, non vede che guerra su quei monti lassù?
La signora Maddalena, strappata a’ suoi pensieri lugubri dal crollo e da queste parole, sporse il capo guardando da quella parte, verso la quale Anselmo teneva tesa la frusta; e Marta, ritta in piedi sul calesse, si faceva colla mano solecchio per vedere meglio quello scompiglio lontano.
- Oh poveretti noi! di lassù vengono in sette ore... - cominciava a gridar Anselmo.
- Correte, frustate, chiedetemi il sangue purché s’arrivi! - interruppe la signora - mio figlio è lassù.. lo sento... lo so... me l’uccideranno! correte... o Anselmo, non mi volete portare? Oh la guerra! la guerra! anderò da me...!
E fece per discendere dal calesse, ma non le riuscendo, ricadde sul sederino, cogli occhi fuori di punto, colle labbra aperte, come se, volendo gridare, non lo potesse.
Marta, che in quell’abbandono le aveva cinta la vita colle braccia tremanti, Sa guardava e non sapeva trovare una parola. E la signora, alzando gli occhi in lei, si lamentava con un filo di voce: - Ah veramente io fui sempre una donna malvagia, nevvero Marta? Io ho afflitto mio padre, mia madre, mio marito, non ho santificato le feste, uccisi, rubai!... Perché, se no, il Signore non mi tormenterebbe in questa maniera! - E fissando il cielo colla rampogna nello sguardo, abbandonava la testa sulla spalla della fantesca sbigottita, e le sussurrava, acconciandovisi come una bambina: - Oh! come mi sento male!
Marta accennò ad Anselmo che desse di volta pian piano, dubitando forte di portarla viva a Dego, tanto era il martellamento che le sentiva dal cuore: e Anselmo obbedì. Coll’anima tutta negli occhi e nelle mani, reggeva le briglie del cavallo, facendolo cansare ogni ciottolo, ogni fondo, che fosse per dare al calesse qualche crollo; e fu tanta la sua gentilezza di cuore in quel ritorno doloroso che, in un punto della via, in cui la persona della signora rimase tutta irraggiata dal sole già alto e cocente, discese, strappò da certi castagni della ripa molte fronde, e di queste fece sul capo dell’infelice un poco di rezzo. La signora capiva, e, stando sempre col capo appoggiato sulla spalla di Marta, cogli occhi chiusi, tendeva la mano per ringraziarlo, non si sentendo di potergli parlare. S’adoperava egli in questo fatto, quando vide ricomparire il padre Anacleto, che solo, mogio, curvo sull’asina, non gli sarebbe bisognato altro che cavalcare colla coda di questa fra le mani per parere, invece che da Dego, tornato alla berlina.
- Oh! Il Signore ci manda quel buon frate - bisbigliò Marta cui s’allargava il cuore, e affrettava col desiderio il passo dell’asina che era assai lento; ma il frate, venuto innanzi, passò senza badare al calesse, e forse anche senza rammentarsi della storia del Samaritano.
- Sorte che il Signore ci ha fatto un buon par di braccia anche a noi! - disse Anselmo; e, avendo finito di intrecciare le frasche, tornò a sedersi al suo posto. Il calesse ripigliò la via. Un’ora dopo, Anselmo fermava il cavallo sul piazzale della signora Maddalena.
Tecla, che se ne stava in sala dove si era seduta il mattino, né si era più mossa, sbigottita della propria solitudine, sentito il rumor delle ruote, corse verso l’atrio, di che animo si può immaginarlo. Il suo primo pensiero fu che la signora, avendo incontrato tra via Giuliano, se ne ritornasse con lui; ma ohimè! La vide come era abbandonata sulla spalla di Marta, e le parve morente. Se non proruppe in un grido fu perché la fantesca gielo spense coll’atto.
La povera signora fu portata in letto da loro, da Rocco, dalle persone amiche arrivate affannose; vedeva, udiva, avrebbe potuto parlare, ma provava una dolcezza ineffabile a lasciarsi vincere da certa stanchezza accidiosa, che le si diffondeva per la persona. Sentiva come una nebbia che l’avvolgesse. Sorrise a tutti..., accomiatò tutti collo sguardo; e, rimasta sola con Marta e con Tecla, fissò il ritratto del marito che pendeva alla parete di faccia all’alcova. Parve che cominciasse con lui un discorso, e che gli dicesse che era venuta indietro, per morire nel letto su cui anch’egli era morto.