Difatti a Dego, in casa della signora Maddalena, la giornata era stata mesta, come quello squillo di campana che la chiudeva.
Giuliano, avendo le membra tronche dal gran cavalcare, non s’era potuto togliere il sonno di dosso, sino a mezzodì; e destatosi aveva covato il letto a guisa di persona che mediti la morte. Fatti e rifatti i conti, aveva veduto più chiaramente i casi suoi dolorosi per ogni verso. Oramai non vi cadeva più dubbio: la marchesa di G.... l’aveva ingannato pietosamente, per farlo fuggire da Torino. E forse a quell’ora, i suoi amici erano tutti in carcere, onde non sarebbero usciti che per essere appiccati, e chi sa? qualcuno morendo avrebbe lanciato a lui lontano, l’accusa di codardo e di traditore. Che gli rimaneva a fare? Deluso dalla donna amata, non provò senso d’odio o desiderio di vendetta, ma una voglia di sventure, di patimenti grandi gli allagò il cuore, e, colla fantasia, vedendo se stesso sui gradini del patibolo, gli parve d’intonare un inno, un inno che avrebbe fatto piangere il mondo. Si levò col proposito di ripartire per Torino prima di notte; e pieno di calma severa discese nella sala.
Sua madre, vedendolo venire, s’affrettò a far viso allegro; e Marta, uscita dalla cucina, gli passò dinanzi colla tazza di latte e colla focaccia, che odorava lungi a venti passi, cotta per lui.
- Sì - disse Giuliano - un sorso di latte, e il petto del montanaro è ristorato!
E, andatosi a sedere a mensa, mangiò quasi non si avvedendo di sua madre, la quale gli spezzava il pane, e gliene poneva nella tazza timidamente, paurosa di rompere quella quiete che gli vedeva nell’aspetto sereno.
Quand’ebbe finito, egli si levò e disse che andava a far due passi pei campi.
- Ben pensato! - sclamò la signora, credendo che a un tratto egli si fosse messo il passato dietro le spalle, disposto a non più pensarvi: - mi vuoi? vengo anch’io...
- Fa troppo caldo: - rispose Giuliano - ed io sento una smania di camminare, una smania di correre tutte le montagne che abbiamo intorno!
Queste parole, dette con accento diverso da quel di prima, fecero dar giù l’animo della signora, che soggiunse interrogando sommessamente:
- E intanto non potrei far trovare qualcuno, da ricondurre in Alba il cavallo che hai menato?
- Lo ricondurrò da me, perché stasera sul fresco ripartirò per Torino.
La signora chinò il capo un istante, e quando lo rialzò, tendendo le braccia verso di lui, egli era già fuori. Ma essa non vedeva più lume, e: - Tu non partirai! - proruppe - non partirai, o verrò anch’io a vedere qual misera fine tu vorrai fare! Che tu credi che io non t’abbia capito, e che per me non sia tutt’uno, mi scoppi ii cuore in questa casa tua, o in mezzo alla via come a una mendica?
Così esclamando, si metteva una mano sul cuore, e, a sentirne lo scompiglio, la ritraeva, recandosela alla fronte lavata di sudore. E allora Marta, che, dal dolore di veder la padrona in quello stato, si sentiva la lingua in fondo alla gola, le veniva a dire:
- E glielo chiegga una volta, se vuole vederla morta, ché già da Pasqua in qua, mi pare che non cerchi altro!
- Egli... egli vuol morire! Vuol tornare a Torino e di là, me lo dice il cuore, non uscirà più...!
- Torino! Quanto a questo, ci penso io. Se sarà viso da pigliarsela a piedi, lo vedremo!
E così com’era, colle maniche rimboccate, andò nella stalla, tolse a cavezza il cavallo da nolo e la giumenta, e, pigliata come un palafreniere, la condusse da Rocco, tornato un’ora prima da Santa Giulia, comandandogli di menare le due bestie alla cascina dei padroni, la più discosta dal borgo, di segreto quanto potesse. Il colono obbedì, strologando su questi fatti, alla sua maniera.
Marta si rifece a casa a reggere l’animo della signora, che, da quel partito della fantesca, pareva aver pigliato un poco di sicurtà. E quando Giuliano, dato un lunghissimo giro, tornò, la trovò quieta che metteva in tavola le tovaglie di bucato, il vasellame della festa, le boccie dell’acqua cavata allora; e su per giù era l’ora del desinare.
- Qui non si fa che sedersi a mensa! - diss’egli, che, tornategli le forze, se non di voglia, si sentiva disposto a mangiar per bisogno. E parlando delle biche, dell’aia, e dell’uve che aveva viste copiosissime nei vigneti, faceva cuore a sua madre, che non si lasciasse cogliere dalla malinconia e mangiasse.
Ma a un certo segno parve rannuvolarsi. Appoggiato un gomito sulla mensa, e, reggendosi colla mano la guancia, rimase fisso a guardare la tovaglia dinanzi a sé e moveva le labbra come chi parlava con qualche sua immaginazione. La povera madre non osava dirgli nulla; ma alfine, vedendo come quel pensare durasse di troppo, lo toccò lievemente nel braccio.
- Ah! - sclamò egli riscosso - perdoni, mamma; pensava che il mondo è tutto una commedia; e mi pareva d’essere a Cairo ad una mensa lautissima, e che il mio bicchiere urtasse in quello di un’altra persona.
- Ma falla finita con coteste tue fantasie! O che alla fine non v’hanno più fanciulle al mondo? Dà retta: pensava qualche cosa anch’io. Di là dai monti, nell’altra vallata, in M..., ci ho una figlioccia. Saranno dieci anni che non l’ho riveduta, ma, a quel che era, di certo a quest’ora s’è fatta bella come un sole. Va a vederla... sentila... e se ti parrà...
- Ah! non parliamo di matrimonio, mamma, - rispose il giovane - io non mi sposerò mai più.
A queste parole la signora rimase muta. E intanto veniva Marta recando un cacio delle parti di Santa Giulia, dove le greggie, pascendo erbe odorose e timi alpestri, danno latte squisito. Mettendolo in tavola, coperto d’alcune foglie di viti, disse:
- Quei parenti di Rocco hanno accolto Tecla assai bene, e mandano questo presente.
- Appunto! - uscì a dire Giuliano rischiarandosi un poco in viso - Tecla non l’ho ancora veduta: mamma, non mi scriveva che se l’aveva presa in casa?
Marta, che era lì appena fuori della stanza, strizzò l’occhio nell’udirlo, e, ricordando che la sua pensata, di dar Tecla per isvago al signorino, aveva mosso a sdegno la padrona, si fece tutta orecchi per sentir questa, che rispose pronta:
- Non hai inteso? Tecla è a Santa Giulia dai parenti di sua madre...
- Già - disse Giuliano - ricchi o poveri son tutti compagni! Andate pure, o fanciulle, fuori degli occhi delle vostre madri; l’innocenza è una cosa che, una volta uscita, può tornare a casa con voi sicura e sempre...!
La signora Maddalena provò una stretta dolorosa al cuore, pensando che quelle parole toccavano in parte anche lei; e subito chiamò Marta. La quale, umiliata dell’onesto dire del giovine, stava così ristretta in sé e confusa, che pareva frugasse chi sa in qual fondo della sua coscienza, e non vi trovasse tanta sicurtà da farsi avanti. Ma la signora la chiamò una seconda volta, e, come, allo scricchiolar della scranna, parve alla vecchia che si movesse per venirla a cercare, presentandosi sulla soglia balbettò: - comandi.
- Dite a Rocco, che prima di sera, torni a Santa Giulia e rimeni qui la figliuola.
Giuliano pensava intanto a quell’ultima volta che aveva vista la villanella sul prato a raccogliere la tela; e quel canto malinconico alla rondinella, gli tornava nell’orecchio e nell’anima, come uno dei più soavi ricordi della sua vita. Oh! quanto gli si erano mutati i casi da quella volta! E l’immagine di Tecla, mescolata alle sue rimembranze d’amore, gli riusciva cara, come un fiore, un nonnulla avuto dalla donna amata, che lo si serba, lo si contempla, lo si porta sul cuore, e fin si pensa di farselo mettere nella bara. La signora Maddalena poi pensava anch’essa Tecla, vi pensava con un desiderio strano; e, se egli fosse uscito a dirle: - madre, voglio sposare la figlia di Rocco -, forse gli avrebbe risposto: - sposala magari domani.
Marta apparve di nuovo sulla soglia ad annunciare, rimescolata, che qualcuno voleva la padrona.
- Chi è - sclamò questa, levandosi sollecita e correndo in sala.
La fantesca le additò in fondo; ed essa, attraverso l’uscio socchiuso, vide nell’atrio donna Placidia, turata nella sua guarnacca, a guisa di persona che volesse andare sconosciuta.
- Oh...! ma venga, venga oltre... - disse alla sorella del pievano, affrettandosi verso di lei per tirarla dentro. Ma donna Placidia non si sarebbe risicata per nulla al mondo, a porre il piede dove certo avrebbe incontrato Giuliano. Che anzi, se non fosse stata la tema di offendere la signora, l’avrebbe pregata di chiudere quell’uscio, da cui, le pareva venisse fuori puzzo di zolfo. Tante ne aveva intese sul conto dello scolaro, che essa quasi non osava toccar le mani della signora. Ma, vinta la riluttanza, la trasse verso il piazzale, e, in fretta in fretta, bisbigliò queste parole: - Su, nel presbiterio, ho lasciato il generale Alemanno e il signor pievano che si consigliano. Li ho uditi parlare di molti carceramenti, fatti non so se ieri o ieri l’altro a Torino; ho veduto per la toppa certi fogli, che il generale diceva di avere ricevuti caldi caldi di là. Oh! quel che devono aver fatto i giacobini! Delle chiese bisogna che ne abbiano incendiate, e dei preti ammazzati molti... Basta!... il generale e il signor pievano parlavano di suo figlio fuggito alla giustizia di laggiù... e questa notte verranno... ad acchiapparlo. Io non so nulla, non ho detto nulla, lei è avvisata...
E, detto appena, come fossero state d’accordo, diedero di volta, donna Placidia per un verso, la signora Maddalena a rientrare in casa, mezza fuori di sé. E se non fosse stata la tema di far parere il figliuol suo colpevole davvero, sarebbe corsa a gettarsi a’ piedi del pievano e a chieder pace, baciando la polvere dove egli metteva le piante. Ma da questo lato non v’era nulla a sperare; per cui fattasi innanzi risoluta: - Giuliano, - disse a lui, spaurito di vederla così mutata - sii sincero: che avete fatto a Torino, tu e i tuoi amici ?
- Nulla; - rispose il giovane.
- Meglio! Ma, se non vuoi vedermi morire prima che sia notte, parti... e non parlar più di Torino... Tu sai la via della montagna; a due ore di qui c’è il confine della repubblica di Genova...: là ti riposerai. Non dirmi di no, perché sono tua madre, e te ne pentiresti tutta la vita... Rocco verrà con te; denari in casa ne abbiamo... O Giuliano, quella bella riviera vicino a Savona...! Io vi passai con tuo padre una volta, e mi rimase negli occhi quel paradiso! Dammi la consolazione di vivere alcuni mesi teco, in una di quelle casette sorridenti... affacciate tra quei cigli di rupi, tra gli aranci e gli olivi col mare in vista e il cielo! Sì, sì Giuliano, tu la cercherai una di quelle casette, non baderai a spese, e vedrai, come vi staremo bene...: accontenta tua madre, perché da un giorno all’altro... mi sento vicina a morire...!
Non le sarebbe bisognato che quest’ultima parola, per avere da lui tutto quello che voleva. Al pensiero di doverla veder morire un qualche giorno, Giuliano si era sempre sentito come un navigante sbattuto dall’onde sovra uno scoglio, solo, assiderato, di notte, o udir una voce tuonar dall’abisso: - tu aspetti il sole, e il sole non spunterà mai più! - Questa immaginazione lo assaliva di quando in quando, e durava fatica a torsene, sicché molte volte ne aveva pianto. Adesso udire quelle parole dalle labbra di sua madre, e dire addio a Torino, ai compagni, ad ogni disegno fatto, fu un punto solo, e rispose: - Partirò.
- Che il Signore ti benedica! - aggiunse essa, strettosi al seno quel suo unico amore, lo baciò e ribaciò come non aveva fatto da quando era bambino. Poi sali con esso nella sua stanza, dove gli diede quant’oro aveva in serbo.
Marta, che s’era tenuta in disparte, e aveva inteso il discorso di donna Placidia e quello della signora, aveva fatto presto a correre da Rocco, ma non per dirgli che andasse a Santa Giulia, a ripigliar Tecla, bensì che venisse per accompagnare il signorino sul Genovesato.
Il pover’uomo, tornato da menar i cavalli, credè questa volta d’esser pigliato di mira per canzonatura, e già perdeva la pazienza. Senonché l’aspetto di Marta lo accertò che si faceva sul serio. Pensando che s’usciva dal territorio, che il domani era festa, salì di sopra, si mise indosso i suoi migliori panni. Così conciato, prese congedo dalla moglie, e fu in casa della padrona, dove sedette vicino all’uscio della sala, aspettando che essa e il signorino discendessero dalle stanze, dove Marta li aveva seguiti.
- Oh la bella musica! - diceva egli tra sé - si direbbe che in questa casa non si può vivere colla pace di Dio! Proprio, chi ha pane si cava i denti da sé per non mangiarlo...!
E volgeva gli occhi in su, come parlasse allo scarpiccio che s’udiva nelle stanze sopra il suo capo. Intanto Marta discese, ed egli le chiese se il signorino avesse roba a portare. - Credo che no - rispose la vecchia - perché portando roba si farebbe scorgere... Rocco arricciò il naso, quasi a una ventata di cattivo odore, ma non parlò, perché giù dalle scale venivano Giuliano e la signora, la quale, proseguendo il discorso fatto di sopra, diceva: - Dunque siamo d’accordo: la casetta sia pur modesta quanto vorrai ma trovala in un bel sito; e la stanza dove mi metterai a dormire, guardi il mare. Spaccerai qualcuno a dirmi quando dovrò venire a raggiungerti...; ho proprio bisogno d’un’altr’aria... d’un altro cielo...
Rocco, intenerito a quelle parole, andò fuori ad aspettare, pensando alla casa della padrona disabitata, alle finestre, alla porta sempre chiusa. Giuliano usciva colla madre, che diede a Rocco gli ordini per quell’andata.
- Pigliate il sentiero lungo la gora - diceva essa - e fate come se accompagnaste mio figlio a dare un’occhiata ai poderi; quando vi sarete allontanati, trovate la via più corta, e state sempre con lui, finché non abbiate varcato il confine. Questo è un po’ di danaro per voi se vi bisognasse. - Mio padre era contrabbandiere: rispose Rocco, brancicando le monete che la signora gli porgeva; e le vie dei monti le so meglio del lupo.
Mentre la povera donna aggiungeva a queste, parecchie altre raccomandazioni, Giuliano stava aspettando sul balzo tagliato a filo sopra il torrente, in capo al piazzale. Faceva notte, e il rumore delle acque cadenti dalla pescaia del mulino, ridestavano in lui memorie lontane e soavi. Soleva da fanciullo addormentarsi a quel suono d’acque monotono e dolce, talvolta assomigliandolo al canto di una processione udito da lungi, tal’altra al rumore del mare, di cui aveva inteso dir da suo padre. Avrebbe voluto rimanere là a pensare; ma ecco Rocco, e bisognava porsi in cammino. In quelle corte notti d’estate, si torna a rivedere l’alba assai presto, e poteva incontrare di dover disviare chi sa quante volte, per non dare nelle guardie alemanne, che guernivano tutti i varchi. Giovava molto avere di avanzo qualche ora di buio, e a dirla schietta, avendo saputo dalla padrona che il signorino sarebbe cercato dai birri, Rocco bramava di uscire dal territorio prima di giorno, per non essere visto a trafugarlo. Mossero, e la notte era bella. Su pel cielo cominciava la pioggia di stelle cadenti copiosa. Pareva che fosse lassù qualche gran festa. I grilli trillavano nei prati, i rospi gracidavano, e, nelle altissime regioni dell’aria, si udivano le strida degli ultimi rondoni tardi a migrare.
- Ode? - diceva Rocco a Giuliano, - i grilli cantano per farci maturar le uve, e lassù tutte quelle stelle si staccano dal cielo, per festeggiare la Madonna degli Angeli che sarà domani.
Il giovane non volle togliere all’uomo semplice di cuore, quel tantino di poesia che gli raggiava nell’anima, perché sarebbe stato come rubare ad un mendico il tozzo di pane, accattato per amor di Dio. Ma quell’udir menzionare la Madonna degli Angeli fu per lui un gran che, e rammentò come la prima volta ch’egli s’era aperto colla madre dell’amor suo questa aveva detto d’aver visto Bianca appunto a quella sagra. Subito l’immagine della fanciulla gli apparve bella e sdegnosa, a rimproverarlo di averla creduta infida, senza essersi curato di sincerarsi qual fosse più, o colpevole o sventurata.
- E tu, - gli diceva quell’immagine - tu te ne vai con codesto amaro nell’anima, sprezzando o maledicendo la donna che amasti! Ma, chi ti disse che tu non faresti a tempo per avermi tua?
Queste voci della fantasia gli parvero dolci, come quelle d’un usignolo, il quale, già dal principio del viaggio accompagnava i due camminanti, avanzandoli di lunghi voli, e sempre fermandosi ad aspettarli e a salutarli col suo caro canto. Allora si pentì d’aver perduto in casa quel giorno e la notte innanzi, sperò che Bianca non fosse ancora sposata, e quel pensiero, venutogli tante volte a Torino, il correre a Cairo e, sposa o rapita, portarsi la fanciulla anche in capo al mondo, rinacque in lui così urgente, che tutto quel ch’era stato sino a quel punto, gli parve nulla. Così pensando aveano varcato il torrente su d’una palancola, e sulla destra di questo s’erano inoltrati per la strada maestra, sin dove si spiccano da essa due sentieri, dei quali uno piegando a mancina, verso le montagne a levante, era quello per cui dovevano porsi.
Rocco passò innanzi al signorino, per andare primo, ora che la via diveniva disagevole; ma quegli volgendo a destra, si mise nel sentiero opposto, pel quale si scendeva di bel nuovo al torrente, e, a dirla in una parola, era lo scorciatoio per andare a Cairo.
- Che fa? - chiese Rocco soffermandosi e guardare.
- Venite - rispose il giovane - venite dietro a me.
Il colono capì dall’accento che quello non era tempo da contraddire, e taciturno gli tenne dietro, immaginando che la signora Maddalena li avrebbe certo seguiti col pensiero sull’altra via; e ne provava una sorta di rimorso, come a saperla a quell’ora sola in una boscaglia.
- Eccoci al ponte di San Giovanni! - disse il giovane, arrivando sul ponte antichissimo, che è in un lato di quella campagna dove nessuno dei vecchi o dei giovani ha mai capito a che vi fosse o per agio di chi. I suoi archi e le sue pigne, sono uguali a quelle di tutti i ponti, che per la vallata, si specchiano nella Bormida; c pare sia stato messo là in serbo, a godersi l’ombra d’un pioppeto che lo nasconde, e a servire intanto alle foresi, che vi passano in autunno, colle ceste in capo, colme d’uve deliziose maturate sui colli dell’altra riva. I quali subito s’innalzano, offrendo a chi vuol guadagnare la cima, una salita tutta a petto, che a Rocco ed a Giuliano, sebbene gagliardi, diede quella notte tanto affanno, da costringerli a sostare in sulla vetta per ricogliere fiato.
Di lassù, se fosse stato giorno, s’avrebbero vista dinanzi la pianura di Cairo; ma a quell’ora nulla invitava a star là, più di quanto bisognasse a ripigliar lena. E i due ripresero la via lungo una costiera, che, ad un certo punto, metteva ai lembi più alti della selva del convento di San Francesco, a quell’ameno sito, che noi sappiamo Rasentando la selva si trovarono, di là a mezz’ora dove incominciano i prati, a piè delle piaggie più basse.
L’edificio del convento biancheggiava alla loro destra informe nell’ombra, come una nebbia che si levasse da una fondura. e i pilastrini dei pergolati somigliavano ad una processione di morti, che usciti di quella nebbia andassero in volta per penitenza.
Giuliano si fermò a guardare. E, se in cambio di Rocco, avesse avuto seco un uomo da potergli discorrer assieme, avrebbe parlato delle alte cose che gli venivano in mente in quella quiete.
Pensava con affetto, con doloroso affetto, a San Francesco d’Assisi che dalla sua Umbria era venuto mendicando a trovare quel lembo di terra, a farvi sorgere quelle mura, coll’opera volenterosa degli oppressi, colla promessa del regno dei poveri e di Dio. Pensava a quella promessa mancata, ai secoli venuti dopo il Santo, a frati, vissuti in quel convento, che subito furono più amici dei castellani oppressori, che dei popoli languenti all’ombre di quei castelli, e vedeva l’immagine di Francesco andare afflitta, tra gli spiriti di coloro, che amarono gli uomini e furono grandemente delusi. Quell’edificio che aveva dinanzi, al cui nascimento avevano presieduto chi sa che alti pensieri; gli pareva d’età in età venuto basso, quasi tempio che si muti in ricovero di sfaccendati.
Rocco in piedi, dietro di lui, non osava disturbarlo, ma già gli pareva, che un tratto qua un tratto là, si sarebbero indugiati tanto da non poter passare, di notte, il confine: e cominciando a far segno di spazientarsi, stava per dire aperto di voler tirar innanzi. Senonché s’udì rompere un grido confuso e discorde dal convento, e lumi apparirono alle finestre, e lumi negli orti; indi subito un rumore di pedate, come di parecchie persone inseguite, si fece sentire, e risa represse, e parole rotte, che venivano per un sentiero del bosco, appunto verso il signorino e lui. - Chi va di notte? gridò Rocco, piantandosi dinanzi a Giuliano, e levando in alto il bastone.
- Chétati, villano - rispose una voce; e quattro giovani sbucarono dalla macchia, pronti per l’abbrivo che avevano, a buttar a terra Rocco, Giuliano ed anche un par d’altri, che li avessero voluti fermare. Ma riconosciuti da quest’ultimo e chiamati a nome, gli si fecero attorno, molto stupiti di trovarlo a quell’ora in quel sito; e, interrogando e rispondendo, stati un pezzo a vedere il seguito della loro avventura, si unirono a lui, sulla via di Cairo.
Erano quattro suoi condiscepoli, dei bei tempi in cui era stato scolaro di don Marco; e già s’ha bell’e capito che uscivano dalla cella del padre Anacleto, nella quale li avevamo lasciati a fare buon tempo. Il frate aveva mesciuto, e tornato a mescere dei suoi fiaschi, sino a che i loro umori s’erano scaldati; poi, da smanioso giocatore di tarocchi, li aveva costretti a una partita. Ed essi, dapprima di malavoglia, quindi con ardore, gioca e bevi, ribevi e gioca, erano andati innanzi parecchie ore, in capo alle quali il frate dormiva gomitoni sulla tavola, e due di loro non avevano più in tasca il becco d’un quattrino. Era vicina la mezzanotte. Allora si ricordarono di Cairo, della sposa e del ballo cui erano aspettati. - Ah frate! Tu mi hai fatto perdere il ballo e i quattrini; stai pure, che t’ha a costar cara...! - disse tra’ denti uno dei due perditori: - Amici, spegniamo il lume, facciamo le viste di continuar la giuocata, e vorremo ridere!
Così dicendo, spense la candela, e rimasero come in gola a un lupo. E, messisi a picchiare con garbo, a bisbigliare di semi e di figure, e delle mille scioccherie di cui si parla giuocando, fecero che alfine il frate si riscosse. Alzò la testa... udiva... e non vedeva nessuno. Si fregò gli occhi col dorso della mano... niente...; tornò a fregarseli... buio. Sentì per la schiena un sudore ghiacciato; stette a bocca aperta un tratto, sperando che si fosse in sulla burla, poi, colla voce e col cuore tremanti, osò dire:
- Figliuoli, accendete il lume.
- Abbia pazienza un tantino; - rispose uno dei quattro - si finisce la partita e si va via.
- Che tu accenda il lume! - gridò allora arrangolato il padre Anacleto; e colle sue agguantò tre o quattro mani sul tavolino, stringendole come una morsa. - Gesù Maria! - sclamò quello dei quattro, che era l’autore della crudele pensata: - o vedete il padre!... che cosa ha, padre, che i suoi occhi paiono di cristallo?
- Ah! - urlò il frate dandosi due gran palmate nella fronte; oh! disgraziato me! correte, chiamate il cerusico, il barbiere, venga padre Anselmo a cavarmi sangue: l’ho tutto nel capo, me lo sento come un otre... sono cieco!
E rovesciando panca e scranne, e, dalla rapina non accorgendosi dello sbellicarsi che i quattro facevano, si trascinò fino all’uscio, tempestando colpi colle mani e coi piedi, da parere un dannato.
Pei corridoi si sentirono i passi frettolosi dei padri che accorrevano, e un aprirsi di celle, e un interrogarsi da un capo all’altro che fosse; tutta la frateria fu, in un baleno, sossopra. Ai quattro giovani, cominciarono a tremare le gambe, per lo sbaraglio cui s’erano posti; ma, fattisi animo, aprirono la finestra della cella; uno dopo l’altro, saltarono nell’orto, e all’ultimo mise l’ali un grido selvaggio del padre Anacleto. Perché un raggio di luce del corridoio, si era posato per la toppa sul ventre del frate, il quale, capita a un tratto la brutta canzonatura, si volse imbestialito per acciuffare il primo dei ribaldi che gli fosse caduto fra l’ugne. Ma i birboni non v’erano più... Ahimé! e la frateria affollava l’uscio; la voce del Guardiano chiedeva al padre Anacleto che aprisse; i guatteri, il cellaio, i cuochi, andavano di su, di giù bracaloni pel chiostro, e si fu appena a tempo di fermare il sagrestano che già entrava in chiesa per dare nella campana gridando: ai ladri!
Intanto che il padre Anacleto, aperto l’uscio, s’ingegnava a dare ai frati chi sa qual ragione del caso suo; i quattro amici camminavano verso Cairo narrandolo a Giuliano per filo e per segno. E Rocco ascoltando, annuvolava fieramente e provava nelle braccia tale un prurito, che, se non fosse stata la tema d’offendere il signorino, agguantati volta a volta due dei quattro, li avrebbe sbattuti l’uno contro l’altro, come ciabatte vecchie e polverose. Canzonare in quel modo un frate, gli pareva cosa da essere punita con un buon abisso spalancato improvviso sotto i piedi, e a tratti si turava le orecchie per non sentir quel racconto. Né di questo pigliava diletto Giuliano, troppo occupato dalle proprie cure; ma quando per commento alla narrazione, uno dei quattro parlò della festa nuziale, seguita quel giorno, e pel padre Anacleto finita con quella burletta, egli si sentì arricciar la vita. E udì da essi che il frate aveva menato vanto d’essere stato lui a raddurre Bianca nell’obbedienza del padre, a farle preferire l’Alemanno a un tale che amava da morirne; e udendo colla destra nello sparato della camicia, s’abbrancava le carni per modo, che maggior dolore non gli avrebbe recato l’artiglio d’uno sparviero. Gli altri continuavano a dire della cerimonia, dello sposo e della sposa: parevano gli amici di Giobbe intenti a straziar l’amico, ed egli, guardando in alto, quasi a chiedere consiglio a qualcuno di lassù, più degli astri che risplendevano silenziosi e tranquilli, più dell’inno che si levava dalla natura verso il regno dell’anime, più dell’amore com’egli l’aveva sempre inteso, gli parve bella la morte. Dunque colui, che gli toglieva la donna sua, non era quel soldato straniero, ma un uomo della sua terra, della sua lingua, un frate; quel frate che aveva predicato a Dego la quaresima e che sua madre aveva tanto lodato? Oh! Se non fosse stato il pensiero di lei, cui aveva già dati troppi dolori, se non fossero state quelle sue parole di morte, che solo a rammentarle gli toglievano ogni forza sì che sarebbe tornato al convento, e aspettato tanto che quel frate fosse venuto fuori, gli avrebbe insegnato a leggere nel Vangelo!
Ma sua madre... sua madre la vedeva nell’atto di accennargli colla mano di tirare innanzi, e ne udiva la voce gridare: - pace, pace, perdono; va alla tua ventura. - E volle obbedire.
- Vieni tu con noi, a vedere il ballo? - gli disse intanto uno degli amici, fermandosi a mezzo il borgo, in capo a un vicolo dal quale s’udiva venire un suono festoso.
- O perché no? - sclamò egli, provocato da quel suono come un’ingiuriosa parola: - andiamo e vediamo la sposa!
- Signorino - disse Rocco, accostandosi a lui per non farsi sentire dagli altri: - sua madre mi raccomandò di passare il confine, prima che sia giorno...
- Ho io ucciso qualcuno? - rispose il giovine - stai pure, mia madre a quest’ora è tranquilla.
Fosse stato a vederla, povera signora Maddalena! In quell’ora una mano di soldati Alemanni le mandavano la casa sossopra, chiedendo del figlio, come se loro avesse avvelenato l’acqua e l’aria, o rubato la corona al loro imperatore. Ed essa, non badando allo strazio che facevano d’ogni cosa, camminava col pensiero dietro a Giuliano, e lo immaginava arrivato in terra della repubblica, e benediceva donna Placidia, venuta a farle la carità d’avvisarla.
Marta, non potendo fare altro, fece le corna agli Alemanni tutto il tempo che stettero a frugare; e, per la prima volta, trovò che Giuliano non aveva avuto torto a maledirli quella sera della Pasqua passata. Anche don Apollinare le pareva scaduto di molto. Ond’essa, guardando a squarciasacco dalla banda del castello, pregava di tanto in tanto ch’ei fosse nei panni della signora, egli che sapeva dire dal pulpito al popolo della pieve tante parole di carità.
In quell’istessa sera, il pievano seduto sul suo seggiolone, con una gamba accavallata sull’altra, se la faceva colla sorella, raccontandole come Sua Eccellenza il generale Alemanno, avesse saputo da Torino che il figlio della signora Maddalena era fuggito alla giustizia, la quale lo cercava per congiurato ai danni del re e della religione; e, che, confidandosi a lui del carico datogli di farlo acchiappare, se mai si fosse rifugiato a Dego, egli l’aveva supplicato a far di notte, per minor vergogna, non del reo, ma di sua madre.
Queste cose egli diceva a donna Placidia, la quale, ascoltando, un po’ accennava col capo, come a dire che le sapeva, un po’ negava, come per dire: - Non l’acchiapperanno.
Un tratto queste due parole le fuggirono dette a mezza voce.
- Oh come non l’acchiapperanno? - gridò don Apollinare levandosi in piedi.
- Ma! - rispose donna Placidia - vi fu chi ne fece avvisata la signora Maddalena.
- E chi, se non voi, può avere ascoltato ciò che il generale non disse ad altri che a me?
- E voi non dite sovente dal pulpito, che bisogna fare il bene al prossimo? Ora la carità non è tutta di pane.
Don Apollinare le diede un’occhiata bieca; e, senza parlare oltre, tolto il suo lume da mano, s’andò a chiudere in camera, per non farsi trovare dal generale, il quale, rimasto a mani vuote, chi sa come sarebbe venuto a tempestare nel presbiterio bell’e a quell’ora.
- Tanto e tanto - diceva spogliandosi in fretta - mi sapeva male che uno della mia pieve cascasse in mano a questi signori. Ma to! questa mia sorella come me l’ha appioppata! Bella coppia essa e don Marco! Proprio il detto è giusto: - chi fa quel che noi preti si dice... va in paradiso diritto.
Si coricò disteso; e contento come quella sera non aveva più giaciuto da parecchio tempo.