In capo a quindici giorni, il signor Fedele s’era fatta una cera di trionfo. Non vedeva più che Bianca, la portava in palmo di mano, era il suo occhio destro. Damigella Maria e Margherita, parevano la istoria dell’olmo e della vite, e stavano sole la meglio parte del giorno, scansando con ogni cura il padre Anacleto. La cieca adombrava sempre più dell’avviamento che pigliavano le cose, si coricava la sera disegnando per l’indomani di dire tutto il suo cuore, ma poi taceva dalla tema di ridestare le collere del cognato, di far nascere qualche diceria sul conto della nipote, e, confidando nel senno di questa, tirava innanzi. Il frate veniva sin due volte ogni giorno, e soleva passare di lunghe ore, o vicino a Bianca, o al letto dell’Alemanno, che aveva cominciato a migliorare tanto, che presto si sarebbe sentito risanato.
In quanto a Bianca, riacquistato l’affetto del padre, essa non si accorgeva di nulla, neanco dei propri mutamenti. La solitudine patita per castigo nei giorni andati, adesso la cercava da sé. In quell’ore solitarie le accadeva sovente di trovarsi, non sapeva né a che né come, vicino all’uscio dell’Alemanno; e là, origliando i discorsi piacevoli del frate o del proprio padre, gioiva; le pareva strano, ma, delle tre, la voce del ferito le cercava il cuore dolcemente. Pensava alla Alemagna lontana, ch’essa non sapeva immaginarsi diversa da quella vallicella e da quei monti, che aveva sempre veduti intorno a sé. Le città, le grandi vie, i giardini di cui udiva parlare, non potevano essere più che le vie del suo borgo, non più che orti, come quello del convento. La casa del barone poi, se la figurava come quella dei marchesi di Cairo tutta sale e gallerie da trovarvisi spauriti. Egli parlava dei suoi, e più della propria madre, dando a capire come fosse di grande stato. Bianca sentiva pietà di quella donna lontana, e come un lampo che guizzando lascia nell’occhio una traccia luminosa, le passava dinanzi l’immagine della signora Maddalena. Già, tutte le madri son donne di una certa età, quali più, quali meno; ma tutte un po’ meste, e la fanciulla s’accostumava a confondere quella dell’Alemanno con quella di Giuliano. A questi poi non pensava più, se non come ad un peccato di cui avesse fatta la confessione, e ne fosse stata assolta con qualche sgridata. Se alle volte l’immagine di lui si veniva a porre in mezzo ai suoi pensieri, essa penava prima di poterla scacciare ma se ne confidava al padre Anacleto, il quale la tirava su da quelle corte cadute, e la rimetteva in via. Le ore che passava col frate la costumarono alla sua compagnia, né l’avrebbe pensato mai, ma, una volta ch’egli non comparve, capì che di lui non poteva fare a meno per difendersi dalle memorie pure e dolcissime, d’altri tempi ancor freschi. Come mai non compariva, egli puntuale sempre come un oriolo a venire, dopo aver detto messa? Che al padre guardiano fosse soverchia la frequenza di lui in quella palazzina, e gli avesse vietato di tornarvi? Bianca cominciava a formare congetture e a spazientirsi; s’affacciava ogni tantino a vedere se spuntasse da qualche parte; si provava a farlo partire colla fantasia ora dalla cella ora dalla sagrestia, l’accompagnava contandone i passi; - eccolo diceva: dovrebbe esser qui- tornava ad affacciarsi... nulla. Allora ripigliava il suo lavoro, stizzita.
Quel giorno essa era sola nella sala. Il signor Fedele s’era recato al borgo per sue faccende: damigella Maria e Margherita, essendo assai di mattino, non erano peranco venute fuori della loro camera? ed essa poteva pensare e sospirare a suo talento, che nessuno l’avrebbe turbata. Sfaldava tela, sebbene, in tutti quei giorni, delle filacciche ne avesse fatte tante da bastare a un ospedale, e si sarebbe detto che non pensasse come alla fine dovesse pur venire un giorno in cui l’ospite non avrebbe avuto mestieri di quelle robe. Sapeva che egli, da un par di giorni, cominciava a vestirsi, e stava in camera morendo di voglia di far due passi all’aperto! In uno di quei momenti in cui, stanca di affacciarsi invano, pensava al rimprovero da farsi al padre Anacleto, un fruscio, come di sandali, le si fece sentire alle spalle, ed essa, levandosi ritta, nell’atto di volgersi a chi veniva sclamò:
- Bravo il padre Anacleto! - ma facendosi nel volto di fuoco, poi come un panno lavato, chinò gli occhi, quasi persona colta in fallo, e giunse le mani tremando.
L’Alemanno, pallido, col braccio sorretto da una fascia anno data sul collo, severo e quasi bello, sebbene alla voce paresse intimorito, le disse: - Ed io le faccia paura? Veggo che ho osato troppo... Ma, Bianca, se m’avesse visto qua dentro in questi giorni...! Essere in casa sua, sapere che era sempre lì a due passi... mia fidanzata... e non vederla...! Ora... l’ho intesa sospirare, son venuto per dirle ch’io non posso più reggere... e veggo che le faccio paura.
Oh no paura...! credeva fosse il padre Anacleto... - rispose Bianca cogli occhi bassi e colla voce tremante.
- Ebbene - ripigliò l’Alemanno - sono io... sono io qui per dirle quello che sa, ma che non ho potuto dirle mai da me... L’amo e le chieggo una grazia, quella di dirmi il giorno che vorrà sposarmi...
Essa che era già confusa e quasi smarrita, sentì queste parole, come fosse stata a camminare sul ciglio di una rupe altissima, e un impeto di vento l’avesse investita, nel punto di mettere un piede nel vuoto. Diede uno sguardo intorno a sé, e il suo pensiero urtò per tutto. L’empio che aveva amato come un angelo, il frate che si era adoperato a salvarle l’anima, la memoria dei trattamenti sofferti il mese addietro; tutto le turbinò in giro, togliendole la vista d’ogni varco a scampare: e, alzati un poco gli occhi in viso all’Alemanno, vedendolo così umile, aperse le labbra e le venne detto:
- Bisognerà sentire mio padre...
- Oh! benedetta la mia vita! Voi Bianca verrete a far maravigliare le donne del mio paese, comparendo un momento in mezzo ad esse! Un momento solo.., poi torneremo quassù, e vi farò signora di tutto quel che vi parrà bello...! Io farò vostro quel castello, che vedevo là dal mio letto, e in questi giorni lo riedificai colla fantasia mille volte...! E lo riedificherò per voi davvero... vi chiameranno la castellana, ed io sarò l’uomo più felice di questa terra...! Dov’è vostro padre?
- Non è in casa... - rispose a fatica Bianca.
- Non è in casa? - esclamò l’Alemanno turbato; poi, sentendo dar giù quel bollore dell’animo, proseguì umiliato: Allora... perdonatemi... mi perdoni, Bianca, io non lo sapeva...
E, salutando modestamente, lasciò lei confusa, discese le scale, uscì dalla palazzina, e aprendo il petto a quell’aria pura del mattino, non più respirata da lunga pezza, temprò un poco quella sorta di sgomento in cui era caduto. - O bei colli - esclamò - patria mai dell’avvenire, io vorrei baciare ogni vostra zolla! Ma essa..., che dirà di me? Penserà che io stetti in agguato per coglierla sola? Questo pensiero gli fece scottare la terra sotto le piante; vagò senza badare per dove, e, alla fine s’abbandonò a piè d’un filare d’avellani, a un trar di mano dalla palazzina.
La fanciulla, rimasta un tratto come persona che pena a destarsi, rinvenendo da quello stordimento, sentì qualcosa che poteva essere rimorso e sdegno e ammirazione dell’Alemanno, di sé di tutto; ma, udendo la zia che entrava in sala, fuggì paurosa in punta di piedi, prese le scale, fu alla porta della cascinaia, la chiamò a bassa voce come per un sotterfugio, e corse con essa difilato al convento .
- Bianca - diceva la cieca, mestissima nell’aspetto, venendo oltre per la sala, colle mani tese verso la parte dove la fanciulla soleva stare: - ho inteso... tutto... tu dunque lo sposerai? tu ci lascerai qui sole, e andrai tanto lontana, che non sapremo di te, se sarai viva o morta? Non ti ricordi di quel giorno, di don Marco, della signora Maddalena...? Oh tu singhiozzi...! tu non lo sposerai no, tuo padre non fisserà nessun giorno...! Tu sei più mia che sua, nevvero? Vieni... vieni Margherita... (e porgeva la mano a questa che veniva dietro lentamente), vieni... preghiamola povera Bianca... ti vogliono ingannare...
- O zia - diceva Margherita - Bianca non v’è mica, non v’è...
- Come! - esclamò damigella Maria; e il petto le si affannò, la gola le si gonfiò di singhiozzi l’uno incalzato dall’altro; vacillo, si resse a Margherita e tacque.
In questo mezzo Bianca giungeva al convento. Sotto il portichetto, donde si godeva la bella vista di certi pergolati, alcuni laici sedevano sulla cassapanca colle mani in mano, chiacchierando di pace e di guerra, ché tale era di quei giorni l’oggetto d’ogni discorso. All’apparire di lei forse si misero a parlare della sua bellezza, e ci avranno avuto il garbo che avrebbe avuto a suonar la cetra quel tale animale.
Come la giovinetta fu vicina a costoro, dimandò del padre Anacleto, dove si potesse vederlo; ed uno, il quale alla colatura di certa cera che aveva sulle maniche del saio pareva il sagrestano, pose lei e la cascinaia su di una viuzza che menava a trovarlo.
Bianca ringraziò appena, e si mise a camminare frettolosa, lasciando quei laici addietro a fare le congetture. Proprio bell’e in mezzo al bosco vi era uno spianato erboso, sopra il quale i rami delle querce più antiche, erano infittiti per modo che non vi poteva raggio di sole. Sorgeva a quell’ombre una cappella modesta, quella, se ci si rammenta, a cui damigella Maria aveva fatto voto di venire di notte per ringraziar San Francesco, della pace ricondottale in casa dal padre Anacleto. Il Santo era dipinto sul muro di quella cappella, a mani giunte dinanzi a un crocifisso, con a piè della croce un teschio e un libro, i cui fogli parevano assai bene agitati dal vento. Due lagrime gli colavano per la guancia scarna e le stimmate apparivano infiammate e sanguinose. La dipintura si vede ancora ai nostri dì, e durerebbe intatta, se molte scalcinature non mostrassero che vi furono tratte schioppettate a prova o a disprezzo. Quelle palle le tirarono i Francesi nel 1794, né so come non sia stato detto poi per ubbia, che il piombo rimbalzando uccise i profanatori. Nella vallata si sarebbe creduto, e sarebbe rimasta mala fama al luogo assai bello. Il quale, in una col convento ruinato, attende qualcuno che del mondo n’abbia assai, e venga a farne la sede di piaceri tranquilli, ad allevarvi figliuoli, robusti come i nodi di quelle vecchie roveri solitarie, che videro il frate e la fanciulla che l’andava a trovare.
Egli pigliava il fresco, seduto su d’una delle pietre che giacevano a piè della cappelletta, e lavorava a formare di canne un arnese, da farne un presente al barone. Appena le due visitatrici l’ebro veduto, la cascinaia, da donna esperta, rattenne il passo, lasciando che Bianca andasse oltre da sé. Questa, che non bramava di meglio, entrò sotto l’ombra delle querce, togliendosi la pezzuola che tra via s’aveva messa in capo; e il suo volto acceso dal caldo, già forte a quell’ora, espresse subito il ristoro della freschezza che si godeva là sotto.
Alle pedate leggere, il frate alzò il capo, e, visto lei che discosta pochi passi si peritava a venire innanzi, si levò in piedi e le si fece incontro sorridendo: - Che miracolo - le disse - che tu, figliuola mia, sia venuta sin qua con questo sole?
- Ci sarei venuta se anche avesse grandinato a baleni! - rispose Bianca - O perché stamane non si è fatta vedere?
- Eh! A casa tua ci verrò di rado, da ora in poi; tua zia si è fatta capire che non le vado più a genio...
- Mia zia...? Ma le sarà parso, padre...
- Eh sì parso! E mi è parso che tiri dalla sua anche Margherita... Ma, finché avrete in casa un uomo che soffre, io ci verrò... Vedi? Stava appunto lavorando per lui quest’arnese, che è un’incannucciata da reggervi il braccio, quando uscirà a passeggiare...
- Padre - disse Bianca chinando gli occhi, vergognosa di aver lasciato che il frate entrasse pel primo a parlare di colui, che in parte era la cagione di quella sua venuta, - egli è già uscito.
- Ebbene, che c’è da farti rossa per questo?
- Egli mi trovò sola, e mi chiese quale sarà il giorno che io vorrò...
- Far le nozze, nevvero? Oh! E tu chi sa che avrai risposto...?
- Che bisognava parlare con babbo...
- Saviamente! Ma... quella castellana di cui parlammo una volta, avrebbe avuto altro cuore... E tu quando tuo babbo avrà fissato il giorno, tu testolina sarai buona di rispondere che non lo vuoi più...
- Ma non ha visto, padre, che gran signore egli è? Che dirò quando mi condurrà nella sua città, nel suo palazzo? E sua madre? Mi troverà fatta troppo alla buona...; e poi no... io non voglio andare così lontano, voglio vedere sempre mia zia, mia sorella...
- Ah sempliciona, e tu una volta pensavi di andar monaca, di quelle che non escono più dal monastero né vive né morte! Stai pure, che coll’amore si vince, e potremo tirar il tuo sposo a stabilirsi quassù da noi.
- Per codesto, disse che comprerà tutta la vallata, e il castello, e che lo farà ricostruire per me...
- Vedi, vedi? Lascia fare a me, che dentr’oggi s’ha da stabilire ogni cosa...
- Oh! padre... non così presto...
- Sta zitta: tutta la valle sa che ti devi sposare... E se la guerra ce lo portasse via! Che si direbbe? Che t’ha piantata... Chi ha tempo non aspetti. Tu sarai la prima dama del borgo; avrai fanciulle che ti serviranno come una regina; ti faranno priora della confraternita di Sant’Elisabetta; e quando sarai lassù nel tuo castello a farti fresco col ventaglio, affacciata al balcone, e vedrai questo povero frate salire per venir da te... dirai: «sarei stata pur sciocca a non dargli ascolto!» Ed io sarò contento, come fossi io stesso al tuo posto.
Bianca, ascoltando, fissava gli occhi nell’erba e pareva le si dipingesse su quella scena di cui il frate parlava. Ad un tratto essa uscì in queste parole, che suonarono come un ultimo squillo di tromba in mezzo alla sconfitta:
- Ma egli è soldato..
- E gli faremo smettere il mestiere! - esclamò il frate impettito come chi ha superato l’ultimo riparo nemico; - gli faremo smettere il mestiere; s’intende né oggi né domani, ma quando lo potrà, colla stima dei gentiluomini suoi pari...
- Ma se venisse a sapere ch’io volli bene a quell’altro...
- E chi gliel’ha a dire...?
- E il Signore m’avrà perdonata...?
- Altro che perdonata! - interruppe il frate, prodigo di perdono, appunto (per continuare la similitudine) come il vincitore di cure al vinto; - va in buona ventura... anzi t’accompagnerò io stesso…
- Oh no! - pregò Bianca - ci venga più tardi: il barone potrebbe credere, che io sia venuta da lei a posta.
- E tu va... che io ti seguirò...
Bianca stette un altro poco, quasi avesse qualcosa ancora da dire; poi, baciato quel benedetto cordone, che già aveva avuto tanti suoi baci, raggiunse la cascinaia rimasta sempre in disparte. Con questa si allontanarono, spedite come erano venute, per un sentiero che, lasciando il convento a manca, metteva alla palazzina.
Poiché le ebbe viste sparire, il padre Anacleto si volse a quel San Francesco della cappelletta, e dall’allegrezza gli parve di vedere il diavolo, vestito alla foggia del paese, fatto su per giù come quel Giuliano di Dego, fuggir colle corna rotte e colla coda tra le gambe, più che se avesse avuto alle spalle una fiumana d’acqua benedetta. Si prostrò davanti all’immagine del Santo e proruppe: - O San Francesco, sia vostra gloria, se io senza correre in contrade selvagge, senza attraversare mari e deserti, ho potuto togliere al diavolo l’anima di questa fanciulla! Così il buon pievano di Dego potesse acciuffare il giacobino che la voleva far perdere; acciuffarlo e, guardandogli bene in viso, dirgli: «ma chi t’ha posto in corpo la legione di demoni che tu ci hai? Pentiti, pentiti, pentiti» e dargli intanto squassi e benedizioni, finché li avesse tutti vomitati...!
Nella foga del dire, per poco non tese la mano ai capegli dipinti del Santo, scambiandolo per un vivo, ma subito la rattenne proseguendo: - San Francesco benedetto, tutta questa settimana e la ventura, dirò messa al vostro altare...!
Ciò detto, si mise di nuovo su quella pietra, ripigliò l’incannucciata che stava formando e s’affrettò a terminarla, cogli occhi sull’opra ed i pensieri nel barone e in Bianca. Questa, rientrando nella palazzina, sentì la zia e Margherita che parlavano tra loro in sala, e, pur vergognandosi, vinta dalla curiosità, colse queste cose
- Dunque non c’è verso a trovarla? - diceva la cieca. - Ma almeno fosse fuggita davvero...! Oh traditore! Affacciati, guarda se lo vedi sempre! - Sì - rispondeva Margherita, - è ancora laggiù all’ombra degli avellani... Bianca udì; e quelle parole della zia le fecero come una fiammata improvvisa dal cuore per tutta la vita. Non sapeva bene il perché, ma si sentiva ferita proprio nel vivo dell’anima; si fece forza, salì, ed entrò nella sala, severissima nell’aspetto.
- Eccola! Eccola! - gridò Margherita, battendo le mani e correndo ad abbracciarla.
- Donde venite? - chiese levandosi ritta la cieca -. E Bianca, più sempre ferita da quel sentirsi dare del voi, rispose:
- Dal convento.
- Questa è la prima e sia l’ultima volta che v’avrò vista allontanarvi... da sola! Almeno, dico, sin che io sarò qui... dopo farete il piacer vostro!
- Ah zia! - esclamò Bianca, dandosi le mani nel viso e col cuore alla gola, salì nella sua camera. Là il pensiero le ritornò sui giorni passati nella solitudine e nel pianto. Ma allora niuno aveva pensato di lei, quello che le pareva d’avere indovinato nelle parole della zia. Adesso l’ingiustizia le parve troppa; troppa verso di lei, troppa verso l’Alemanno; e, quasi per ricattarsi dell’offesa, si compiacque amaramente nel desiderio, che il barone fosse vicino, per farsi sentire dalla cieca a parlare con esso.
In questo mezzo, il padre Anacleto si era mosso anch’egli dalla cappelletta, e, per diverso sentiero da quel che aveva visto pigliar da Bianca, veniva alla palazzina. Quando all’uscire del bosco fu sopra un poggiolo scoperto, dal quale si poteva godere la bella vista del piano di Cairo, che a quell’ora di mezza mattina pareva una conca, si fermò un istante, e gli cadde lo sguardo sopra un uomo che giaceva nel vigneto del signor Fedele, a piè d’un filare d’avellani.
Da quel sito non si poteva vedere chi veniva dal convento per la via fatta da Bianca; ma il padre Anacleto, che teneva altro sentiero, fu visto da quell’uomo, che subito si levò in piedi e mosse incontro a lui che si faceva solecchio colla mano per guardarlo.
Quell’uomo era il barone, stato quasi due ore a giacer sull’erba. Si avvide ai primi passi che le gambe non lo volevano reggere, e gli pareva che il cervello andasse per aria. Allora s’appoggiò ad un albero e attese il frate che, disviando un tantino, veniva diritto verso di lui. - Figliuolo - disse questi arrivando e facendo veder l’incannnuncciata; - ecco tutto quello che ci rimane di quel che sapeva far San Francesco; egli risanava gli infermi con un soffio, io ho potuto appena formare questo arnese che l’aiuti a reggere il braccio un po’ più agiato che codesta fascia... - E presogli il braccio, glielo acconciava su quello strumento con molto garbo.
- A me non importa nulla guarire! - disse il barone con voce profonda.
Allora il padre Anacleto, guardandolo in viso, diede un passo addietro e proruppe: - O che la fa bestemmiare in codesta guisa? E che vuol dire la faccia così smorta?
- Ho fatto una mala azione, padre; e meriterei che mi si spogliasse della divisa, e mi si mandasse ai Francesi, che mi uccidessero!... In casa del signor Fedele io non c’entro più, perché uscii di camera, trovai Bianca... sola, e le parlai..., e suo padre non era neppure in casa...
- O ragazzo! - interruppe il frate; - uomini che con una spada in mano affrontano la morte, tremano in casa d’amici, per una parola, per uno sguardo! O Bianca non è sua fidanzata? E quando non ci si trova niun male noi, ve lo volete trovar voi?
L’Alemanno mise i suoi occhi verdastri, tra ciglio e ciglio al padre Anacleto, e gli parve di non aver visto mai più grande sincerità. Non aggiunse parola, si lasciò pigliare a braccetto, e condurre alla palazzina.
Là, il signor Fedele, tornato un momento prima da Cairo aveva cacciato il capo dentro la camera dell’Alemanno; ma, vistala vuota, rimasto col piede sulla soglia, e col dito sul sali-scendi, chiedeva stupito alla cognata, che non s’era mossa dalla sala:
- E il signor barone?
- Il signor barone - rispose asciuttamente la cieca, - potete cercarlo fuori: in casa non c’è e così non vi fosse stato mai!
- Oh lo spensierato che io fui! - sclamò il signor Fedele, dandosi una palmata sulla fronte: - spensierato che io fui a lasciarvi sole, a non tornare addietro, quando incontrai quel guastacapi di don Marco, che veniva da questa parte! Che c’è venuto a fare qui? Chi l’ha chiamato? Dov’è? Ditelo, prima che vi ponga le mani addosso !
- Don Marco! - disse la cieca maestosa, mentre Margherita le si rannicchiava dietro, temendo del padre imbestialito: - Don Marco? Fosse venuto! Ma egli non si cura di voi, né di noi... né delle case come la vostra...!
- Zitta! è qui... il barone..., guai a chi osa fiatare! - E spingendo la cieca e Margherita verso la loro camera, minaccioso, le chiuse; poi si fece sulla scala a vedere l’Alemanno che saliva aiutato dal frate. Il barone era pallido, e pareva tornato ai giorni in cui la febbre della ferita l’aveva travagliato. Teneva, salendo, gli occhi nel signor Fedele e, come fu in cima alla scala, li girò intorno cercando. Il frate fece per di sopra le spalle di lui, un cenno a quello, che stava per fare chi sa che esclamazione, e, fra tutti e due, si diedero attorno a riporlo in letto. Egli si lasciava fare come un fanciullo.
Damigella Maria e Margherita state spinte, in quella guisa brutale, nella loro camera, l’una sbigottita, l’altra offesa nel vivo, e incerta di quel che s’avesse a fare si sarebbero chinate a baciare i piedi a chi fosse venuto a dar loro un consiglio. Alla cieca non le pareva vero che don Marco fosse passato da quelle parti, senza rammentarsi di lei, e fantasticava e si lagnava di lui colla nipote. A un tratto si levò in piedi, e giunte le mani: - Oh guarda! - sclamò - e non ci aveva pensato. Oggi è il natalizio di don Marco, e di certo egli andò a dir messa laggiù a San Matteo. Non hai inteso la campanella che, sarà un’ora, suonava? E sì che mi pareva di sentirla dire: «vieni! vieni!». Margherita, dammi la mia pezzuola, poni in capo la tua, andremo tanto che lo troveremo!
Margherita obbedì sollecita; e, non viste, né udite dal signor Fedele, uscirono guadagnando spedite la via, che, sul margine d’un rigagnolo, menava diritto a un gruppo di case raccolte, come famiglia concorde, intorno a una chiesicciuola, in fondo alla vallicella. Là don Marco soleva andare il dì del suo natalizio, a dir Messa e a pregare pei suoi vecchi, che erano stati di quel casale. I villani accorrevano dai campi e dai vigneti, reverenti a quel prete buono, che riveniva ogni anno, come la rondinella della gronda, a far sentire la sua parola d’amore nella chiesetta. Detta la messa, egli andava a far colazione con qualcuno di essi; poi se ne tornava a casa, e, fino all’altro anniversario non lo si vedeva più comparire. La cieca pensò che il meglio era aspettarlo a un bivio, a mezza strada tra la palazzina e quel casale; e ivi si fermò appunto in quella, che gli spuntava a una svolta della via, camminando colla testa bassa e forse pensando a lei.
- È qui - disse Margherita -. Damigella Maria si sentì dare un gran tuffo al sangue. Appena la vide, don Marco affrettò il passo, e, quasi turbato, disse alla cieca: - Grazie, grazie! io da loro non mi sentiva il cuore di venirvi!
- O don Marco! in casa nostra non ci si può più vivere; ci comanda il padre Anacleto e Bianca pare che le abbiano mutato il cuore. Venga, venga un po’ lei, ci scampi tutti, per carità...
- Allora andiamo - disse don Marco - e Margherita, che s’era tirata in disparte, e in quel mattino s’era indonnita più che non avrebbe fatto in un anno, corse a dar in mano alla zia un po’ della sua gonna, come soleva, per aiutarla a camminare. Così mossero, badando, essa e il prete, che la cieca ponesse a modo i piedi per quelle sassaie; e s’avviarono alla palazzina.
Bianca, che non s’era più tolta dalla finestra della sua camera, li scoperse improvvisamente. L’apparizione di don Marco fu per lei, come se l’avessero posta dinanzi ad uno specchio, e, di bellissima, si fosse vista divenuta deforme. Ripensò a quel giorno, in cui s’era andata a gettare a’ piedi della signora Maddalena, in casa del prete; sentì come un’eco lontana delle parole che aveva detto quel giorno; e, misurato l’abisso che già la disgiungeva da quella d’allora, provò dentro qualcosa come i fanciulli che, svegliandosi al buio, colti da terrore, s’affagottano nelle coltri.
Nella coscienza si fece codarda. Presa da uno sgomento invincibile, si cacciò su per una scaletta angusta, e si rifugiò in una torretta, che sorgeva sul tetto della palazzina. Alcuni colombi, che annidavano lassù, turbati fuggirono a stormo per la campagna. Essa si rannicchiò in quel luogo immondo, e non ebbe il conforto nemmeno del pianto. Fu quello il momento più amaro della sua vita; tuttavia, pur di fuggire la vista di don Marco, sentiva che sarebbe stata lassù tutta l’eternità, come in luogo di penitenza.
Damigella Maria, Margherita e don Marco giungevano intanto alla palazzina ed entravano in una stanza terrena, dove nella state si soleva raccogliere la famiglia a godere il fresco.
- Maria - disse il prete - io aspetto qui suo cognato; vorrei parlargli da solo; gli dica che ci venga un momento.
La cieca salì con Margherita, e, trovato il signor Fedele che stava mangiando col padre Anacleto, gli disse: - V’è di sotto una persona che vi vuole...
Al tono della voce severo, al silenzio di Margherita, egli si levò da mensa, ricambiò col frate alcuni sguardi, discese e si vide dinanzi a don Marco. Se l’aspettava e non se l’aspettava, ma non fece segno di essere scontento; anzi gli fu incontro colle braccia aperte, come chi accoglie un amico desiderato.
- Fedele, - cominciò don Marco - fummo amici da giovani.
- Amiconi! In che ti posso servire?...
- In una cosa...; dimmi, in casa tua siete tutti felici?
- Felici! Tu insegni che il Signore felici non ne vuole; ma per quanto si può...
- Tu stai per maritare Bianca?
- Te lo voleva dire quel giorno, in cui venni in casa tua a pigliare lo sposo...
- E tu pensi che Bianca lo ami, codesto sposo che tu vuoi darle? Bada, Fedele; dei miseri al mondo ve ne sono già troppi; pensa che degli affetti delle fanciulle un cristiano deve farne gran conto. La donna è abbastanza infelice da sé; e darla, contro il suo cuore, a chi piace a noi, è forse un aprire la via della fuga alla virtù, che prima o poi se ne va. Tua figlia ama un altro, lo sai?
- Che ha il nostro don Marco? - entrò dicendo il padre Anacleto, disceso in quel punto, a porsi tra i due.
- Ho che qui si vuole rovinare una fanciulla - sclamò don Marco all’improvvisa apparizione del frate; - ed ella dovrebbe aiutarmi a fare che non avvenisse!
- Ma don Marco, - disse il signor Fedele - che ti fa credere, che io voglia maritare per forza mia figlia?
- Va - interruppe il padre Anacleto, sicuro del fatto suo: va, falla venir qua, che egli la vegga, la senta: certe cose non c’~ che da vederle da sé... va .. -. Fedele salì, in cerca di Bianca; e il frate e il prete rimasero un istante a guardarsi in viso.
- Don Marco; - disse alfine il padre Anacleto: - ella è il decano del clero di Cairo, parliamoci chiaro: viene per intercedere a prò di quel suo scolaro di Dego, Giacobino, empio e Volterriano, più prossimo al carcere che alle scuole dove dà ad intendere di stare a studio?
- Empio? - rispose don Marco; - io, quanto a me, non so a qual uomo getterei in faccia questa parola. Che poi sia qui pel bene di quel giovane, è vero. - E poiché ella dice la verità, la dirò anch’io. Sì anch’io son qui, e ci fui, e ci sto, lieto d’aver tolta Bianca al pericolo di perdere l’anima sua, e d’averla tornata nell’obbedienza del padre suo.
- Oh se noi, - esclamò doloroso don Marco - se noi ci immischiassimo meno della salute delle anime, e si pensasse a fare che sulla terra ci fosse un po’ più di giustizia! Si soffrirebbe meno, e si godrebbe abbastanza; e il fumo del peccato non s’innalzerebbe con quello degli incensi, che noi abbruciamo ogni giorno! Padre Anacleto, abbandoniamo questa casa ambedue; la luce del Signore vi discenderà da sé...
A questo punto il signor Fedele tornava con Bianca. L’aveva cercata coll’aiuto di Margherita, ed anche di damigella Maria, e scopertala in quel nascondiglio, erano riusciti a cavarsela più a forza, che colle preghiere. Essa, stizzita, vergognosa, avea dato in ismanie; poi, sbigottita al pensiero dell’Alemanno che poteva sentirla, e disperando d’essere lasciata in pace: - che si vuole da me? - aveva detto - don Marco mi cerca? dov’è? io non lo fuggo mica! - E mentre la cieca si sentiva rimpicciolire il cuore, il signor Fedele, quasi lì per battere le mani dall’allegrezza, menava la figlia giù per le scale a quella stanza, dove eran don Marco e il frate.
Bianca fu quasi colta da capogiro: sentì gli ultimi pensieri di rispetto che aveva pel prete, vinti dai nuovi che le aveva posti in mente il padre Anacleto. Subito don Marco, con voce d’affetto pietoso, le disse: - O Bianca; sono venuto a vederti, e tu non mi dici nulla..., che pensi, che fai?...
Essa chinò gli occhi e rispose: - Io non ho nulla a dire..., faccio quello che il Signore comanda..., obbedisco mio padre...
- Dunque tutto quell’affetto...
- Ho pianto abbastanza; - interruppe Bianca - e non voglio peccare, neppure col rammentare il passato...
Don Marco rimase come un uomo che acciechi improvvisamente. Aperse le braccia, guardò in alto, e, senza più dir parola, uscì da quella casa, dove gli pareva di sentirsi strozzare. La famiglia del cascinaio lo vide allontanarsi quasi fosse perseguitato da qualche nemico, e vide anche il padre Anacleto venir sulla soglia, e fargli dietro un crocione. Questi, rientrando, stava per fare le feste di quella sua nuova vittoria, quando, tastoni, ansante, pallida come una morta, veniva giù dalla scala madamigella Maria.
- E voi - gridava - voi avete scacciato don Marco? Io potrei scacciar tutti voi, che questa casa è mia; ma no.. io me n’andrò, io uscirò. - E così dicendo, faceva atto d’andarsene sola. Senonché il cognato, il padre Anacleto, la stessa Bianca le furono intorno, e, ingegnandosi di trattenerla, questa diceva: - O zia, don Marco se n’è andato da sé..., io gli dissi che farò quello che mio padre vuole, ed egli rimase contento che il Signore m’abbia illuminata...
- Illuminata ! - diceva singhiozzando la cieca - dunque tu andrai lontana?... tu m’ingannavi?... Fu nulla tutto quello che io penai per te... o Bianca, Bianca!... E presa tra le mani la testa di lei, le baciava i capelli, la fronte, la bocca, per tutto dove in quella angoscia le cadevano le labbra. La fanciulla piangeva, il signor Fedele era quasi commosso; il padre Anacleto coglieva il modo di quietare la cieca, e diceva: - Come! e tu Bianca non hai detto a tua zia, che lo sposo t’ha promesso di stare quassù, di far tua, se vorrai, tutta la valle, di riedificare il castello..., e tante altre bellissime cose? Datti pace, Maria, tu starai sempre con essi, sarai l’angelo consolatore della loro casa; ma ora per carità non facciamoci intendere da lui, che potrebbe risentirne la sua salute.
Damigella Maria, solo a sentire che Bianca sarebbe rimasta sempre in Cairo, sebbene tutti quei giorni si fosse preparata a fidarsi poco del padre Anacleto, si quetò un tantino, e disse che pigliava un po’ di tempo per trovare il partito che più le conveniva. Fu lasciata con Bianca. Il signor Fedele salì dall’Alemanno che, stando a letto, aveva udito quel viavai, ma, per buona sorte, non ci si era raccapezzato.
Nella palazzina si rifaceva la quiete, essendo quasi l’ora di mezzogiorno; e il padre Anacleto, tornando al convento, guardava se, in qualche punto della vallicella, scoprisse don Marco, che, dallo sgomento di quelle sconfitte, dovette, a sentir suo, aver smarrita per lo meno la via.