Se il padre Anacleto avesse dato un’occhiata alla via che di là della Bormida, sotto i vecchi castagni, menava a Dego, avrebbe visto don Marco, avviato a quella volta. Uscito dalla palazzina che gli pareva di non capir più nulla, questi era andato alla ventura; ma poi, ripigliati i pensieri, aveva deliberato d’andar a Dego per dire apertamente ogni cosa alla signora Maddalena. Sentiva il bisogno di porla in grado di sapersi governare col figlio che poteva capitare a casa da un giorno all’altro.
Per guadagnar quella via aveva dovuto piegare a manca, e varcare la Bormida su d’una palancola, che si specchiava in un lago verdastro d’acque vorticose e rotanti là sotto in un gorgo pauroso. A chi passava sopra, questo dava la vertigini, e ne riverberava l’immagine, rotta in cento maniere. Di là del varco, fatti pochi passi su per un macereto, si trovava la via, e don Marco vi si mise di quel passo che consentivano gli anni e la passione che lo turbava.
Così, colle mani sulle reni, un passo innanzi l’altro, fu in un’ora al villaggio di Rocchetta, ancora mezzo sossopra per la passata dello stormo di quei di Dego. Cansò le case, pigliò i traghetti, e, nascosto dalle fagiolaie si ripose più oltre sulla via maestra. Quando giunse a scoprir Dego, i vichi sulle rive del torrente, il castello, il campanile, tutto parve sorridergli come ad un amico, e dirgli che dei guai di Giuliano e dei patimenti della signora Maddalena, niuno sapeva nulla. Il suo sguardo si posò sulla casa di lei, che spiccava fra l’altre, col suo piazzale ombrato di viti prosperose; e, a mirare quelle mura, non sembrò vero manco a lui, che là dentro si fosse annidata la sventura.
A quel punto del suo cammino, sentì un cavallo che gli veniva dietro al trotto, e, tirandosi sulla proda della via, si fermò per lasciarlo passare. Il cavaliere era un ulano alemanno, di quei che avevano svernato a Cairo, il quale, come fu vicino al prete, rattenne il cavallo, e, facendo vedere un foglio, domandò molto rispettosamente:
- Signor prete, sarebbe lei il pievano di Dego?
- No, - rispose don Marco: - salga su quel monticello, dove vede quel campanile; il pievano sta lassù, vada pur dritto che non può fallare...
Il soldato salutò di nuovo e, ripigliando il trotto, tirò avanti. Ma così non fece don Marco, che, avendo cansato la terricciuola di Rocchetta, per non imbattersi nel curato, adesso si studiava di non esser visto dal pievano di Dego, né da altri preti. Si sentiva mal disposto verso gli ecclesiastici. E, lasciata la via, discese nel greto del torrente per guardare alla riva sinistra, e quindi arrivare alla casa della signora Maddalena, che giaceva su quella.
Al guado più agevole, sedette sul primo sasso che trovò, si scalzò lentamente, e, dando uno sguardo alle sue gambe insecchite quasi per confortarle a porsi nell’acqua, sorrise, e pensò che tra non guari le avrebbe poste a riposare nelle buche dei morti. Entrato nel torrente i ciottoli del fondo gli scivolavano sotto le piante; ma sebbene ad ogni passo gli paresse di cadere, la freschezza dell’onda gli temperava il disagio, e guadagnò l’altra riva. Là si rimise in gamba le grosse calze di lana, che non erano più nere, ma d’un colore come di panno strinato; poi, contento del tepore che gli ravvivava le carni, prese un sentieruolo, che lungo l’argine di una gora, guidava al molino del borgo, d’onde, in pochi passi, si saliva al piazzale della signora Maddalena.
Tra l’andare e lo stare a ripigliar fiato, aveva quasi fatto le ventidue; e sapendo che era l’ora in cui la signora soleva uscire per la sua passeggiata, guardò pei prati e pei campi vicini, ma non la vide. Da due mesi essa non usciva quasi più. Amava la solitudine; un cerchio plumbeo le si era formato intorno agli occhi; dal tanto patire, le carni le si erano fatte quasi scure; talvolta si lagnava con la fantesca d’avere le labbra arse, e nel cuore un caldo d’acqua bollente; tal’altra rabbrividiva senza saper perché e poi parlava di mostri che le era parso di vedere. Marta s’ingegnava di farle animo, dicendo che di quelle scosse di nervi n’aveva provato anch’essa; e parecchie volte pigliava la via della montagna, e tornava con dell’erbe che conosceva buone a quei mali, e che l’indomani buttava via senza averle adoperate.
A guarir la signora Maddalena sarebbe occorso ben altro. Suo figlio in casa, Bianca per nuora, e la dolce quiete; questi sì, sarebbero stati farmaci. Ma di lui non si pregava che le notizie; di Bianca non aveva più risaputo nulla; né s’era mai rischiata di chiederne a don Marco per lettera o per altra via. Di quello che aveva inteso e veduto a Cairo le era rimasto qualcosa che le consigliava a non si fidar nel futuro; e sebbene la fanciulla avesse promesso di non essere d’altri mai, si mescolava a quella memoria l’immagine del signor Fedele, come quella d’un drago delle tante favole, che, alla fine, l’avrebbe costretta.
Per togliersi un poco a quelle idee, aveva trovato un passatempo che, per quell’età, non era cosa da poco. Raccoglieva ogni giorno tre o quattro fanciulle del vicinato, e loro insegnava a leggere con amore. In questa impresa le alunne s’erano così dilettate, che, sin dalle prime lezioni, avevano imparato il gesùmaria. Io non saprei dire perché i pochi che allora sapevano di lettere piú quella valle, avessero dato all’abicì quel nome, che sempre è sulle labbra della gente per dolore, per uggia o per paura: ma so che lo si chiamava ancora a quel modo, sarà poco più di vent’anni.
Questa novità spiaceva a Marta, che ne mormorava tra sé ogni giorno, molestata al monotono sillabicare delle fanciulle: spiaceva a Rocco, perché tra queste ci aveva la sua Tecla e più che a tutti, spiaceva al pievano, il quale non s’era potuto tenere dal dire sul pulpito, che qualcuno della sua pieve, lavorava pel diavolo. Ma la signora Maddalena, pur avendolo risaputo, non ci badava.
Quel giorno, all’ora in cui don Marco si avvicinava, essa aveva seco la sola Tecla... Questa, chi non l’aveva più riveduta dal dì della partenza di Giuliano, a prima giunta non la ravvisava. Faceva allora i suoi sedici anni; e prima niuno s’era accorto che fosse bella, perché la sua faccia aveva patito il sole, e forse la gran sanità, che fa parere le campagnole troppo virili, teneva nascosti i pregi delle sue forme. Ma, da quando Giuliano le aveva dette, sul prato, le afflitte parole che rammentiamo, i contorni del viso e la persona le si erano molto imbelliti. Di certo le era entrato qualche dolore, che, assiduo ma pacato, aveva fatto migliore l’opera della natura.
Dunque la signora Maddalena, cui quel mutarsi della fanciulla dava gran piacimento, stava, come ho detto, con essa in sala: e, avendo terminata la sua lezione di lettura, diceva amorosa:
- Non ti puoi immaginare la dolcezza che provo! Prima che finisca l’anno, voglio che tu sappia leggere a modo e scrivere. Così, se un giorno ti sposerai a qualche buon giovane, ti vorrà più bene. E allora ti ricorderai di me, nevvero?... Adesso provati a imitare questi segni che t’ho fatto in cima al foglio.
A Tecla quelle parole suonavano piene di mesti presagi, e insieme di vaghe promesse. Si appoggiò al tavolino, e cominciò a sgorbiare certe lettere che un po’ le riuscivano scorpioni, un po’ girini; e a tratti la penna, impuntando restìa, schizzava inchiostro fin sulle dita della signora.
In quella don Marco, giunto sul piazzale, si spolverava un tantino: poi, attraversato il corto andito, che dall’atrio metteva nella sala terrena, battè all’uscio pianamente, quasi gli fosse piaciuto di non essere sentito. Tecla corse ad aprire spedita.
- O Dio! - sclamò la signora, facendosi bianca come la baverina, che dal collo le si rovesciava sulla veste; e movendo incontro al prete, rimasto a quel grido sulla soglia impacciato, gli prese la mano, lo guardò, gli lesse negli occhi. A lui la lingua gli andò in fondo alla gola; essa non trovò la forza a dir altro.
Con questa accoglienza s’andarono a sedere vicino al tavolo, sul quale si vedeva il calamaio, la penna, il foglio sgorbiato da Tecla, e allora soltanto, così per aspettare che alla signora si quetasse quel rimescolio di sangue: - qui, - disse don Marco - abbiamo una scuola? - E pigliò in mano il foglio, ma non aggiunse altro.
Tecla intanto, accortasi d’essere di troppo, chiesta timidamente licenza, si tirò in cucina, sotto colore di aiutarvi Marta in qualche faccenda.
- Dunque tutte quelle promesse? disse la signora, certa d’avere indovinato quel che il prete portava.
- Le hanno fatto vedere che il mondo è vasto, bello, ricco di piaceri; Bianca ha dimenticato il suo paradiso. Si è fidanzata, bisogna rassegnarsi.
- Rassegnarsi! Noi! Ma Giuliano? Ah quel giorno glie l’aveva pur detto che queste cose avrebbero trista fine...! O cosa sono le fanciulle dei nostri tempi! Come mai si può mutarsi tanto, in sì breve tempo? E a udirla era pronta a ogni martirio...!
- Sono cose che chi non le ha viste, non saprebbe immaginarle: - rispose don Marco; e qui cominciò a narrare l’andata improvvisa in villa del signor Fedele, poi dell’Alemanno capitato a Cairo ferito, e di nuovo di colui che se l’era venuto a pigliare per portarselo laggiù. Disse di quel tempo in cui non aveva avuto cuore d’andare a quella villa, e quanto gli rimordeva; raccontò quel che gli era avvenuto poche ore prima, e ripetè le parole di Bianca, che gli era parsa fresca e rossa, e aveva detto di voler fare in tutto la volontà del padre suo, con tali modi, da non lasciare speranza di vederla tornata all’antico proposito.
Diceva di sentimento, ma badando a dar men dolore che potesse alla signora, la quale, a mano a mano che gli parlava, si abbandonava di nuovo nella sua stanca malinconia.
Ma, come se quel giorno non ne avesse abbastanza, doveva arrivarle in casa don Apollinare con un’altra consolazione. La signora Maddalena non s’accorgeva di lui, se don Marco andandogli incontro, così per dire qualcosa, non gli chiedeva della salute.
- Io sto bene! - rispose il pievano; - ma non così tutti coloro che mi stanno a cuore. Suo figlio, signora, a Torino finisce di rovinarsi.
- Che non l’è ancora abbastanza? - proruppe essa levandosi: - ci pigli una volta me e lui! ci mandi schiavi ai Turchi: peggio di qui non istaremo!
Queste parole, il modo con cui furono dette, la guardatura di don Marco, posero il pievano in gran confusione. Di che ripiegandosi un tratto in se stesso: - Io - disse - io che ho fatto a lei.... Me ne vado e ognuno s’ingegni!...
E fece atto d’andarsene. Ma don Marco si pose fra l’uscio e lui, per rattenerlo, e stava per consigliargli maggior carità, per la signora; senonchè questa avea già presa la mano di don Apollinare, e, tenendola umilmente e lagrimando, diceva:
- No...! signor pievano, abbia compassione d’una povera madre, che non finirà di penare, sinché non sia morta o impazzita! Mi dica tutto..., mi dica, e che io muoia se è tempo!
- Ecco! - sclamò egli spiegandosi di nuovo: - ecco che le fruttò l’aver taciuto quando egli cominciava a perdere il timor di Dio! Questa è una lettera, che ho calda calda da un soldato mandatomi a bella posta dal generale piemontese, che accampa dalle parti di Ceva, il quale l’ebbe da Torino, per la via di Mondovì. In essa mi si chiede notizie di un Giuliano da Dego, che studia laggiù, che è mio parrocchiano;... insomma si vuol sapere che soggetto ... e se ne immischia la polizia, la Curia... Tutti!
Così dicendo faceva veder la lettera, battendola sul dorso della mano sinistra, e aspettando che l’un dei due parlasse. La signor a teneva il capo chino, colla mente negli abissi in cui il figliuol suo precipitava; don Marco guardando il pievano, pareva studiare, come un sacerdote potesse aver cuore di tormentar così fuor di maniera una donna già troppo infelice.
- Che ne dice, ella che fu suo maestro? - gli chiese alfine don Apollinare, vedendo che non gli si rispondeva né dall’una né dall’altro.
- Eh! - rispose don Marco - io dico, che questo miscuglio di monsignori, di polizie e di generali mi pare una torbida cosa: e mi duole di vedere che noi preti, a quest’ora abbiamo lacerate mezze le pagine del Vangelo! Dia retta a me, faccia in pezzi codesto foglio, li metta per segnacoli nel suo breviario, e ogni volta che li rivede, rammenti quel dettato che abbiam sempre in bocca: non muove foglia che Dio non voglia.
- Altro che foglie! - proruppe il pievano - va in aria la intera foresta!
- O allora, qual riparo vi possono fare la Curia, la polizia, il generale di Ceva...? E Giuliano, un giovane che manco si vede sulla terra, che cosa può aggiungere alla grande bufera? Non gli faranno nulla... vedrà...
- No... nulla! - saltò su a dire la signora Maddalena, pigliando dalla sicurtà di don Marco, un subito ardimento: - non gli faranno nulla, perché noi scriveremo, andremo, mi presenterò al Re!
- Il Re è stanco di perdonare - disse il pievano - e Dio non può più vedere la religione calpestata, i suoi ministri oltraggiati! Io ho qui la lettera, farò il debito mio, da cristiano e da pastore; ella scriva, mandi, vada, faccia quel che le pare! donna avvisata mezzo salvata!
Ciò detto diè di volta, infilò l’uscio e scomparve, stizzito di non avere potuto sfogarsi, per quell’importuno di don Marco, il quale, rattenendo la signora, che voleva correr dietro al pievano per supplicarlo: - Stia, - diceva: - e non si sgomenti...! E la marchesa di G...., non farà nulla per Giuliano? Non l’avrà tenuto d’occhio?
A questo ricordo, la signora Maddalena si fece come un fiore, al sole, dopo un ribocco di pioggia. E da quel nome pigliando lena, si mise col prete a pensar modo di chiedere alla gentildonna, che aiutasse Giuliano a scampare dai pericoli ignoti, de’ quali il pievano era venuto a parlare. Ora la marchesa di G...., cui don Marco aveva raccomandato Giuliano, sin dal primo anno della sua andata a Torino, era dama d’altissimo conto, in corte ai reali di Sardegna.
Nelle due valli della Bormida, tutti la stimavano onnipotente. E perché vi veniva ogni anno a villeggiare, ora in quello ora in questo de’ suoi molti castelli, conosceva per quei borghi i primi casati. Rimase nelle Langhe memoria di lei onoratissima; e si parla tuttavia di giovani, scampati per opera sua nei due o tre giudizi di quegli anni, in cui per tutto si vedevano Giacobini e nemici di Dio e del Re, da tor di mezzo.
Tra l’altre si narra la storia d’uno scolaro, che, carcerato con altri molti, la marchesa gli fece dire non pigliasse altro cibo, salvo quello che gli avrebbe mandato lei. Ogni giorno capitava in carcere una dozzina d’aranci pel prigioniero, e in capo a una settimana, mentre molti morivano, egli potè uscire e tornarsi libero alle montagne native.
La signora Maddalena e don Marco stettero un pezzo a fare e disfare disegni, discorrendo di Giuliano e della gentildonna; e appunto concludevano con quello di scriverle, quando Marta venne a dire che era l’ora di cena. La signora aveva più volontà di piangere che di muoversi; il prete era uomo di poco cibo, che, se aveva in cuore qualche tristezza, di questa si nutriva come di vivanda succosa; ma ambedue, per usanza di cenare sull’imbrunire, passarono in quella stanzetta oltre la sala, dove era la mensa apparecchiata.
Tecla, che s’era tenuta fino a quel punto in cucina, donde aveva inteso i discorsi di don Marco, colla padrona, a quella notizia portata dal pievano appena ebbe veduto libero il passo per la sala, uscì di là in punta di piedi, turbata che non pareva il caso di trovar la porta, per cui andar fuori. Poiché fu sul piazzale diede intorno un’occhiata, come una fuggitiva che cercasse la via più destra. Il sole era andato sotto allora allora, ed essa guardava laggiù con occhio addolorato e selvaggio. A un tratto parve aver afferrato un pensiero, una memoria: e, correndo diviata a causa di suo padre, salì per la scala di legno sul pianerottolo che metteva nelle stanze, dov’erano i lettucci della famigliuola. Entrò guardinga; non vide nessuno; e fattasi vicino ad una vecchia ed ampia cassa, in cui suo padre teneva il frumento, distese sul coperchio un fazzoletto, tirò giù dalla stanga una gonna d’indiana rossa, un giubboncello di panno azzurro, un grembiule d’ugual colore, che cinto la copriva fin dietro le anche; poi, aggiunto un fazzoletto da capo, stampato d’alberi e d’uccelli e gli scarponcini da festa, di tutto fece un fagottino, aggruppò in croce le becche del fazzoletto, e buttò giù dalla finestra, dietro la casuccia, in un orticello. Discese, scantonò non vista, raccolse il fardelletto, attraversò un vicolo, e fu sulla via che, lungo la ripa del torrente, menava a seconda dell’acqua. Era quella presa da suo padre due mesi innanzi, quando aveva accompagnato il signorino; essa non sapeva altro: ma, una volta in viaggio, lo aveva inteso dire assai volte, per chi ha la lingua in bocca, ogni via va a Roma. Molti che tornavano dai campi, o che già cenavano sulle soglie delle loro casette, la videro passare; ma, come erano usi a non le abbadare, così non fu chiesta da nessuno, che cercasse o dove corresse.
In casa sua l’attendevano a cena, e sulla madia finiva di fumare raffreddandosi la scodella di minestra, quando Rocco, levando il capo, e stando per imboccare l’ultima cucchiaiata, pose gli occhi in quelli della sua donna, e le chiese: - E Tecla?
- Chi ne sa? - rispose la moglie - ora che impara a leggere, non la si può più comandare...!
- Vai a vedere dalla padrona! - gridò Rocco irato a uno dei figliuoli; e questi andato, tornò subito portando che di là Tecla era uscita da un pezzo. Allora la donna si fece sulla porta, e, colla voce più acuta che potè, chiamò: - Tecla! Tecla! - tre o quattro volte. I più discoli della ragazzaglia che ruzzava nel vicolo, risposero per beffa imitando la voce della fanciulla, e la donna, ingiuriandoli in cuor suo proseguiva a chiamare. Ma Tecla di qua, Tecla di là, questa non si faceva viva; ond’essa salì a vedere nelle camere, e trovato che in sulla stanga era stata tolta la veste cogli altri panni della figliuola, tornò giù così in furia, che non vide neppur la scala, e, piantatasi in faccia al suo uomo, gli disse sgomenta: - Tecla è fuggita!
Rocco balzò e ruppe, a quella nuova, in certe parolacce, che le donnicciuole del vicinato, affacciate a chiedere che fosse, si turarono le orecchie. Marta stessa, venuta alla voce, ne lo rimproverava, e intanto sull’aia, dinanzi la casa, si faceva folla come a vedere l’infortunio. Allora si cominciò a bisbigliare; e chi aveva vista Tecla, con un fagottino, passare dinanzi la sua porta, chi s’era abbattuto in essa e gli era parsa stravolta; uno le aveva tenuto dietro coll’occhio sino al tal punto, un altro sino alla tale svolta della via; sarà andata di qua, avrà tirato per di là, l’avranno maltrattata in casa; chi l’accusava, chi la compativa, e i più caritatevoli dissero che bisognava andar a cercarla, trovarla dovunque fosse, perché dei soldati alemanni se ne incontravano da per tutto, e... non osavano dir di più. Così gli uni correvano a pigliar lanterne, gli altri a munirsi di bastoni; la moglie di Rocco non faceva più che pianti, ed egli affaccendato a rispondere, a interrogare, ad allestire un lume, venne più volte a segno, che se avesse avuto lì uno schioppo se lo sarebbe scaricato nel capo.
La signora Maddalena e don Marco, saputa da Marta la cagione di quel tramestio, erano venuti fuori anch’essi. E quella tremava, e il prete accorreva pensando alle sciagure che in quel giorno facevano mazzo. Là si diede attorno a porre un po’ d’ordine fra quella gente; e, spacciandone per ogni banda, finì col mettersi insieme a Rocco ed a parecchi altri, proprio per la via presa da Tecla.
Questa, a loro sentire, non poteva essersi allontanata di molto; e in verità non era lungi più d’un miglio, sebbene avesse avuto tempo di far più cammino. Ma ad un bivio s’era fermata, non sapendo da qual parte pigliare, e un po’ paurosa della notte che s’era fatta alta. In quel sito, su d’un rialto, coperto di cespugli, maluriosi sorgeva una croce, e Tecla, a piè di quello, la guardava di sotto in su, pregando con gran batticuore: - Madonna Santa, mandatemi un’ispirazione! da qual parte si va a Torino? Non vado mica a dirgli nulla no...; vado a raccontargli che sua madre muor di dolore, s’egli non se ne vien via di là, che lo metteranno in carcere, che quella giovane... ah... Madonna Santa, non mi lasciate qui smarrita!... - Così stando le si era accesa la fantasia, per modo, che le parve d’esser guardata da un paio d’occhi balenanti di dietro la croce; e raccapricciò, come avesse avuto tutto quel roveto nelle carni. E subito rammentò che là un viaggiatore era stato morto dagli assassini. Credè di vedere i tristi acquattati, e i loro ferri luccicanti nei cespugli, e il morto ruzzolare dalla ripa sanguinante a’ suoi piedi. Si abbandonò, si rannicchiò, si fece piccina e non osando fiatare: - eccoli - pensava, porgendo orecchio affannosa - vengono, mi uccidono; ma... se dicessi loro quel che vado a fare a Torino? Chi sa che mi ci menassero essi stessi? Ne ho intese tante di masnadieri che alle volte fanno di belle cose! Oh, mio Dio, son qui...!
E si strinse vie più, quasi volesse farsi una buca nella terra, e un sudore freddo le correva per la persona. Qualcuno veniva davvero, perché lungo la via che essa aveva fatto, s’udivano pedate e parole, e fra i tronchi scuri degli alberi si vedevano due o tre lumi apparire e celarsi. Alla lentezza dell’avanzare, si capiva che coloro cercavano con diligenza la riva del torrente; ma Tecla non potè badare a questo, perché, provatasi a fuggire, ricadde senza forza, e, ravvolgendo la faccia nel grembiale, ruppe nel pianto più disperato che una povera creatura possa versare.
Come la brigata fu al bivio, uno che precedeva gli altri di pochi passi si vide quella cosa oscura a piè del rialto, e correndo vi accostò la lanterna. Non ebbe tempo di vedere cosa fosse, e Tecla facendo uno sforzo, con voce rotta dall’affanno gli gridava: - Signore, sono una povera creatura, non mi faccia male: vado a Torino a salvare il signor Giuliano. - E qui, è qui! - urlava colui scoprendo il viso alla giovane mezza morta dalla paura. - Te lo do io il signor Giuliano! - gridava Rocco, smesso il rammarichio con cui si era venuto lagnando, come un uomo che morisse svenato; e d’uno slancio fu sopra la figliuola sbuffando feroce, colle pugna levate. Ma un’altra mano incontrò le sue sul capo della infelice, ed egli guardando chi osasse impedirgli quello sfogo di padre, vide don Marco in atto così dolce, che gli fece cadere quel primo furore. - Giusto confessati! - disse risoluto alla figlia - confessati qui a don Marco, che qualche gran peccato ce l’hai di certo. Suvvia... a chi dico? - e, rideslandosi l’ira, egli torceva alla fanciulla le braccia.
- No, Rocco, - diceva don Marco - questo non è da cristiano; date mano a Tecla, essa è vostra figlia, e si confesserà a voi, meglio che a me, meglio che a chicchessia.
E, fatto raccattare il fagotto da uno di quei villani, ai quali la sua parola tornava sì nuova e sì dolce di pietà, d’amore, di perdono, don Marco s’avviò con essi per tornare al borgo. Vi giunsero che il ponte riboccava di gente, e chi una e chi un’altra, tutti in quella faccenda dicevano la loro. Don Apollinare anch’esso, disceso dal castello, dopo aver ben chiarito che non era affare di Francesi, alle congetture che sentiva fare, aggiungeva la sua, e tenendosi in mezzo ad un capannello di maggiorenti diceva: - Tutte baie! Quella ragazza va a male da due o tre mesi in qua, ed io dico che ha pigliato il maleficio. Chi in una mela, chi in un garofano, ne ho viste molte che l’avevano preso, e tutte finirono col fuggire improvvisamente di casa, come, salvo l’anima, i cani che vanno in rabbia...
- Dice bene il signor pievano: salva l’anima, come i cani! rispondevano coloro: - eccola, l’hanno trovata, è qui... - e tutta quella gente si affollava in capo alla via.
- Vieni qua... menala qua che la vegga... - diceva il pievano a Rocco - fatele largo... Eh? di queste ne ho a sentire? - E, levando il bastone sopra la fanciulla che veniva innanzi trascinata dal padre: - ma se l’ho detto - continuava - è malefiziata! Non la vedete com’è stravolta? Va, tienila chiusa, mettile in bocca una foglia d’olivo benedetto, falle bere un sorso d’acqua santa: domani la condurrai in chiesa, faremo l’esorcismo, e, se il diavolo non le uscirà di corpo, bisognerà condurla a Savona, nella miracolosa cappella del Cristo risorto.
- Ma signor pievano! - interrompeva don Marco, che stanco com’era, arrivava un po’ dopo degli altri: - chi parla di malefici, di esorcismi... di diavolo...? Ho visto quella fanciulla a piè d’una croce e lei insegna che il diavolo fugge dalla croce...!
- È vero... l’abbiamo sin per proverbio... Fuggire come il diavolo dalla croce...! - dicevano gli astanti.
- Oh! Si persuada! - proseguiva don Marco pigliando a braccetto il pievano, cui l’assentire dei suoi parrocchiani toglieva l’ardire, e, tirandolo via verso la salita del castello, gli andava dicendo: - Ai demoni e ai malefizi si crede meno di quel che pare: per carità, badiamo a non nuocere a nessuno e tanto meno a fanciulle povere e senza difesa...
Rocco, colto il destro, s’allontanava con Tecla; i signori ed i popolani chi lieto, chi mal sazio, si dispersero ognuno verso casa sua; i due preti si fermarono a piè della salita del castello, e chi fosse stato dietro a un oratorio che ivi sorge antichissimo, avrebbe inteso don Marco continuare il suo discorso col pievano, il quale lo lasciava dire, come questo fosse stato un vescovo, ed egli un chierichetto novizio.
- Le sarò grato, - diceva don Marco - le sarò grato d’essersi persuaso, d’avere smessa l’idea d’esorcizzare quella povera giovane, perché morirebbe di vergogna... Ma ora ho un’altra cosa, per cui sarei venuto domani mattina a pregarla, e, giacché siamo qui.... mi dica... a quella lettera d’oggi risponderà...?
- E come no? - sussurrava il pievano.
- Risponderei anch’io, ma mi dimenticherei di qualunque corruccio. Pensi, signor pievano, che là, in quell’angolo, vive una povera madre, che non sa più a qual santo volgersi per un po’ di pace. Io credo che la troverà nella tomba, perché non durerà più a lungo. Ma un giorno, quando gliela porteranno morta, a farla benedire, sotto le volte della sua chiesa, e il popolo, che le vuol bene, la piangerà come una madre perduta, qual consolazione per lei, poter dire: le ho fatto un beneficio, e questa donna lo deve a me se non è morta da tempo...?
- La signora..., povera donna, è degna di rispetto... - rispondeva don Apollinare; - ma lui, quel suo figliuolo, quell’insolente che farebbe ingiuria al paradiso... - Qui il pievano s’accendeva, ma don Marco sempre con dolcezza:
- Senza macchia non v’è manco il sole! Eppoi, sia pure Giuliano quel che le pare, ma sta bene ad un prete giocar di vendetta? Sta bene a noi essere i primi a portar la lanterna al bargello? E se domani, se fra venti giorni la guerra ci portasse in casa i Francesi, e qualcuno si pigliasse la briga di dir loro che ella ha perseguitato un giovane, che la pensava un po’ alla loro maniera? La vendetta rifiglia, ella lo sa; e se i Francesi ponessero le mani addosso a lei?
- Io... - disse il pievano, sentendosi arricciare la pelle più assai di quella volta, in cui il padre Anacleto gli aveva dette, a un dipresso, uguali parole: - io scriverò a Torino che Giuliano è un giovane... sì un giovane... - Via... un giovane dabbene, dica! Mi porto via la sua promessa, signor pievano; e se non ci vedessimo più, le sia dolce quanto a me, pensare che l’ultima volta abbiamo fatto insieme un po’ di bene...
Ciò detto, e strettagli la mano con gran sentimento, lo lasciò a piè della salita: e s’affrettò da Rocco, dove non sapeva come avrebbe trovata la povera Tecla. Sull’uscio della casetta s’abbattè in lui e nella moglie, che si bisticciavano, circondati dai figliuoli; ma la fanciulla non v’era, perché la signora l’avea scampata dalle furie della madre, e se l’era tirata in casa per tenervela quella notte. Don Marco si fermò un tratto da Rocco per consigliare a lui e alla moglie pazienza e pace; poi fece quei pochi passi che correvano di là alla casa dalla padrona. Marta lo aspettava nell’atrio, struggendosi dalla voglia di parlargli, e, appena lo vide, gli si piantò in faccia e gli disse:
- Mi perdoni; ci ha capito nulla lei nel fattaccio di questa sera? No? Ebbene io invece ci ho capito che quella ragazzona è innamorata del signorino! Già me ne ero accorta quest’oggi, mentre ella parlava colla padrona, e il signor pievano venne a dare quelle brutte nuove. Tecla pareva sul fuoco, e piangeva. Ora questa scappata... quel fagotto... vorrei parlarne alla signora...
- Date retta, Marta, la signora lasciatela in pace.
- Ma se venisse il signorino a casa...? Questa ragazza...
- Lasciamo questi discorsi, Marta, e domani sarete più; contenta d’aver parlato poco.
La fantesca tacque, gli aperse l’uscio, ed entrò dietro di lui. La signora Maddalena scendeva da una camera, vicina alla sua, dove aveva posta Tecla a dormire, e, fattasi incontro al prete, gli chiese:
- Ebbene, che diceva il pievano?
- Il pievano? Parlò di malie, di malefici, di diavoli...; voleva che Tecla gli fosse menata domattina per esorcizzarla...
- Oh! allora dovranno venirla a pigliarla qui a forza! sclamò la signora, lieta di potersi porre a qualche sbaraglio, ora che suo figlio pericolava a Torino: - di qui Tecla non uscirà più; alla fine delle fini, baciar la polvere ogni volta che il signor pievano lo vuole, non è manco da cristiani!?
- Ma egli ha smessa l’idea; - aggiunse don Marco - ed anche mi ha promesso di scrivere a Torino lodando Giuliano.
Discorsero un altro poco di Tecla, del signorino, del pievano, e quindi si lasciarono colla buona notte. Don Marco fu accompagnato da Marta nella camera di Giuliano, dove la signora faceva tenere il letto sempre rifatto, perché così le pareva che il suo figiuolo non fosse via: ed era una dolce illusione. Là il prete vide libri e schioppi in bell’ordine, e, avvicinatosi allo scrittoio, cominciò a scrivere la lettera a quella gentildonna di Torino, molto raccomandandole il suo antico scolaro. Poi si coricò, e don Apollinare, Giuliano, il signor Fedele, Bianca e quella Tecla, infelice forse più di tutti, gli uni con faccia di scherno, gli altri di dolore, gli facevano nella fantasia una ridda, che gli metteva la febbre.
Meditando sul fatto di quella sera e sulle parole dette da Tecla nel punto in cui era stata trovata, finì per credere che Marta avesse ragione, e che la fanciulla fosse davvero innamorata del signorino.
Il primo pensiero fu di immischiarsene pel bene di tutti, ma gli parve di sentirsi negli orecchi una gran risata del padre Anacleto, e la voce di lui dirgli: - Prete, e tu trovavi a ridire di me? - Con questo, contro ogni sua speranza, gli venne il sonno; e in casa la signora Maddalena tutto fu quiete, come fosse disabitata.