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Capitolo 3

Sotto quel cielo, a pié di quel castello, viveva quella Bianca che la signora Maddalena andava a cercare. Essa era una giovinetta in sui diciotto, bellissima e mesta; e, forse perché mesta, Giuliano se n’era innamorato. Vicina a lei si vedeva sempre una sua sorella, più giovane di qualche anno, tutt’altra bellezza, che si chiamava Margherita. S’amavano, ma non osavano dirselo; e pareva ad esse di fondersi l’una coll’altra, d’essere la felicità, quando potevano darsi del tu, senza il pericolo d’essere intese. Ma questo accadeva assai di rado, perché il babbo, se le sue figliuole avessero usato tra loro questa confidenza, guai alle poverette.

Orfane della madre sin dall’infanzia di Margherita, il padre loro, che si chiamava il signor Fedele, ricco, tirchio, rozzo, più che sessagenario, dottore di legge molto reputato nella vallata, non aveva pensato che a far roba per arricchirle. Della loro coltura manco s’era sognato, e, se fosse rimasto da lui, le giovinette non avrebbero imparato che a leggere, tanto da poter cantare in processione con un libro in mano. Scrivere non sapevano, perché non era cosa che in quei tempi si potesse insegnare alle donne, se non da parenti che le volessero usare al male. Ma lavoravano di cucito per bene, e, in casa, facevano tutto colle loro mani perché il padre era duro a spendere, e, per compensarle delle loro fatiche, dava in carnovale una festicciuola da ballo in cui si mostrava discreto spenditore, e, una sera di quaresima, le conduceva al teatrino del borgo, a vedervi la passione di Cristo, rifatta dai disciplinanti della sua confraternita con gran pompa di mitre, d’elmi, e di turbe, che finiva col fico di Giuda.

Il governo della famiglia era mantenuto dal signor Fedele con gran rigore; entrando ed uscendo, sulla soglia mutava il viso; altro era dentro, altro di fuori, burbero o alla mano. Si mostrava assai cosa di chiesa, dove, o s’udiva a intonare in coro il suo salmo, o si vedeva ritto in luogo da essere scoperto da tutti; in piazza dava strette di mano a destra e a sinistra; se la faceva da amico con tutti i signori dei contorni e coi preti del borgo, allora tanto numerosi, che, dall’alba fino a mezzogiorno, le campane non finivano mai di suonare a messa.

Come mai quelle due giovinette, senza madre, avevano potuto venir su così gentili, con quella sorta di babbo? Una cognata dal signor Fedele viveva nella famiglia, recondita, mansueta, buona fare ogni bene, quantunque fosse cieca nata. Per la vita, che aveva menata raccolta e meditativa, le si erano affinate le virtù dello spirito e del cuore, di maniera che miglior educatrice non avrebbe trovata né in Cairo né in altre parti di quella valle. Si era messa al posto della sorella morta, a far da madre alle sue nipoti, e, finché erano state piccine, non aveva provato gran dolore di non poterle vedere; ma ora, sentendo Bianca cresciuta, alla voce, ai detti, ai silenzi, quel non poterla studiare nel viso, era divenuto un gran tormento per la povera cieca che conosceva tutte le cose buone e le tristi del mondo, come per una misteriosa rivelazione. E, non potendo altro, pregava Dio che per Bianca e per Margherita, quando fosse stato tempo da ciò, avesse mandato due giovani, poveri a ricchi non montava, ma quali essa se li sapeva immaginare; poi che l’avesse pur presa. Nel borgo non la si vedeva, salvo che quando andava alla messa e ai vespri, franca di passo in mezzo alle nipoti; e, nel tragitto, capiva come camminassero confuse perché guardate dalla gioventù. Ma, con quel suo viso calmo e muto, comandava il rispetto. Nell’andare e nel tornare dalla chiesa le donne la salutavano: «damigella Maria», ed essa si fermava, fossero signore e popolane; appiccava discorso volentieri, interrogava e rispondeva benevola; alle voci conosceva anche gli aspetti, e diceva delle cose e delle persone, come se davvero le avesse vedute. Passeggiava volentieri a lungo, ma fuori per i prati, sulle rive del torrente, che, se non andava in villa, poteva passare le ore su di un’altana, ombrata di luppoli, la quale dava su d’un vicoletto, e aveva di faccia la casa di quel don Marco, stato maestro di Giuliano. Da un terrazzino di quella casa benedetta, il giovane aveva veduto Bianca la prima volta; questa dall’altana aveva visto lui; e, per anni, non era passato giorno che non fossero stati ognuno al suo posto parecchie ore. Ma Bianca, trovandosi in gran confusione, si soleva tenere nascosta dietro certi vasi di Sori, col cuore che le parevano piene di musiche, di canti, di un’aura misteriosa, primaverile. Non s’accorgeva di nulla la cieca; don Marco qualcosa del suo alunno capiva; tuttavia, sapendo che l’amore nascente, all’età di quei due, è cosa divina, egli taceva.

Un giorno che ancora l’altana non era rinverdita, ma già si godeva a stare all’aperto, pel tempo bellissimo, la cieca e le nipoti v’erano state confinate dal signor Fedele, il quale aveva in casa una persona con cui gli bisognava parlare in gran segreto; una persona che Bianca sospettava chi fosse, e a pensarvi vi pigliava un’uggia non mai provata. Damigella Maria, con una sua scusa, fatta andare Margherita nelle stanze disopra, stringeva coi discorsi Bianca per sapere da lei come mai cinque giorni prima? il giovedì santo, andando in chiesa, fosse uscita in un grido mal represso, e, quasi avesse inciampato, a guisa di persona confusa da cosa inaspettata. Quella era la quarta volte che la cieca tornava su quei discorsi, dubitando che la nipote avesse veduto qualcuno; e voleva cavarle una confessione. Bianca si schermiva, combattuta dal desiderio di dire la verità, provando anzi il bisogno di sfogare l’animo; ma alla zia no... sentiva di non poterle dire che aveva visto Giuliano.

Quel giorno potevano essere le quindici ore d’Italia, e il calesse, su cui veniva la signora Maddalena, giungeva a scoprire il borgo di Cairo. Essa guardava intorno a quei luoghi non più riveduti dacché vi era venuta a porre Giuliano a scuola da don Marco.

Le torri brune, le vette alte degli olmi che allora cingevano il borgo, il castello in rovina, le parve facessero segno di antica amicizia. Subito cercò coll’occhio i tetti delle case a lei note; vi si mise dentro con la fantasia; e un po’ pensava alle morti forse avvenute; un po’ contava le famiglie alle quali, appena avuta una risposta da chi doveva darla, sarebbe andata ad annunziare le nozze di Giuliano. E studiava le parole da dirsi, quando quel dolce lavoro della mente le fu turbato. Pei campi e pei prati a sinistra della via, giostravano gli Alemanni, passati a Dego, mesi prima; quegli Alemanni odiati tanto dal suo figlio.

Alcune coorti di cavalli galoppavano a briglia sciolta, varcando di lancio i fossati, balzando con turbinoso agitare di zampe per di sopra alle siepi, divorando fragorose gli spazi, a investire, e allora, urla e scompiglio, quasi come in vera battaglia. A pié d’un muricciolo d’orto, di costa alla via, ardevano i fuochi del campo; nereggiavano appese tra le fiamme grosse caldaie, intorno alle quali si affaccendavano dei soldati luridi, mentre altri contendevano per cavar acqua da un pozzo, e ne facevano altalenare il mazzacavallo, come monelli. Da un poggio poco discosto, si diffondeva un suon di banda guerriero e pietoso, che faceva pensare all’Alemagna, alle famiglie di quei soldati, alle venture sanguinose cui erano condotti così da lontano.

La signora Maddalena veniva guardando tutte queste cose, piena di compassione, e due o tre volte aveva affrettato coi cenni Anselmo curioso e restio. Egli, dopo un altro po’ di trottata, uscì dicendo: siamo arrivati. - Sotto il calesse suonarono cupe le volte del ponte lungo, stretto, basso di muriccioli i quali, a ciascuna pigna, formavano un angolo dove i camminanti potevano, bisognando, cansarsi dalle file di muli, che allora varcavano numerose, spandendo per quelle valli la musica di centinaia di sonagliere. In capo al ponte sorgeva una cappelletta, che serviva a deporvi i morti del contado, fino a che la confraternita li venisse a levare pel mortorio. Alcuni fanciulli vi ruzzavano baloccandosi a giocare alle palle di piombo avute dai soldati. All’apparire del calesse stettero maravigliati, per non aver mai visto altrettanto; ma altri, più discoli, che facevano alle piastrelle nel greto del torrente, s’affollarono su per la ripa a chi più corresse, a chi arrivasse la carrozza; e l’avrebbero assalita a furia, senonché il primo che potè agguantarla per il dietro, toccò una frustata sulle mani, e gli altri si fermarono intorno a lui che, piangoloso e umiliato, si fregava il bruciore zoppicando. La signora, corrucciata, rimproverava ad Anselmo il suo giuoco bestiale, e si volgeva addietro a guardare pietosa il malcapitato.

Girando a manca repentinamente, di là a cinquanta passi, s’era alla porta del borgo; ma dispiacque molto alla signora Maddalena dover attraversar quello spazio, perché sotto gli olmi, che sorgeva no fuori le mura, conversavano a capannelli i maggiorenti della terra. Uno di quegli olmi, che, per essere solitario e molto spanto, pareva piantato là a posta per gente privilegiata, ed era il più vicino alla porta, si chiamava l’olmo dei preti. Nessuno che non fosse stato prete o frate avrebbe osato di fermarvisi sotto; e, in quel momento che la signora passava, vi stavano a crocchio discorrendo assai caldamente, mezzo il clero del borgo e mezzi i frati di un convento poco discosto, che vedremo tirando innanzi. Qua e colà soldati infermi all’aspetto sedevano al sole, fumando le loro pipe di Boemia, accidiosi e mesti; o accosciati in molti, l’uno dietro l’altro, s’acconciavano tra loro i capelli, s’intrecciavano le lunghe code; sudici, cenciosi, motteggiandosi nei loro linguaggi, come mostravano alle risa e agli sdegni.

I discorsi di quei signori e di quegli ecclesiastici, volgevano su cose di sì gran momento, che, alla vista del calesse, niuno si mosse tra i curiosi sfaccendati che, in altra occasione, avrebbero fatto folla. E bisogna sapere che questo avveniva perché, appunto quella mattina, era giunta la nuova che i Francesi, fattisi grossi all’improvviso sul confine della repubblica di Genova, da Mentone a Ventimiglia, ne avevano invaso il territorio, tentavano di guadagnare i primi varchi dell’Apennino; a calarsi poi nelle valli della Bormida vi avrebbero messa poca fatica.

La signora Maddalena li udì litigare sui nomi dei luoghi invasi dai Francesi e sulle distanze; e, lietissima di non essere badata, tirò diritto per la via maestra del borgo. Gli artigiani si affaccia vano agli sporti, guardandole dietro un istante, chiedendosi da bottega a bottega quella donna chi fosse. Essa smontò ad una porta, disse ad Anselmo che desse di volta e andasse ad aspettarla oltre il ponte: poi salì le scale, donde si sentiva venir giù una pedata grave e uno stridere di sproni. E subito comparve un uffiziale Alemanno, allegro in vista, come tornasse dall’aver vinto un esercito; uomo tozzo e impersonato, che ad ogni mossa, muscoli e polpe parevano schizzargli dai panni. Portava in capo un berrettone da ulano e ne aveva coperta la fronte fin sulle sopracciglia; sotto le quali balenavano un par d’occhi verdastri, ben accompagnati a due mustacchi rossicci, folti, attorciati come le branche d’uno scorpione. Egli s‘accostò al muro, lasciando spazio, quanto la sua persona ne poteva concedere alla dama, la salutò con garbo, ed essa continuò a salire fino all’uscio che andava a picchiare.

Damigella Maria e Bianca non s’erano per anco mosse di su l’altana; e una donna che aveva vista la signora Maddalena entrar dal signor Fedele, passando pel vicolo, levò in alto la faccia, e disse alla cieca: - damigella Maria, vien da lei una signora forestiera. A Bianca il cuore fece un gran moto, anche perché, proprio in quel punto, s’udì uno squillo del campanello. Essa, vi fosse o non vi fosse suo padre a sgridarla, corse ad aprire; e la signora Maddalena non aveva lasciato il cordoncino del campanello, che già l’uscio si apriva, e vi appariva Bianca, in tutta la semplicità della sua bella persona. Vederla, ravvisarla per quella che le aveva detto Giuliano, prenderle fra le mani la testa e baciarla in fronte, fu per la signora Maddalena un sol atto. E la giovinetta si lasciava fare, sentendosi discendere dentro l’occhio di quella donna che aveva in viso una dolcezza infinita. Né sapeva, ma le pareva d’averla conosciuta; l’immagine di Giuliano veduta a Cairo tre o quattro volte in quella settimana, la rivedeva lì; non osava richiedere del suo nome la forestiera, ma era certa che n’avrebbe risposto uno caro, già noto. E non pensava lei sola a Giuliano; perché la signora Maddalena, guardandola, la avvicinava per la bellezza a lui, alto, aitante e fiero; gioì per essa che l’avrebbe trovato uomo degno d’altissimi amori la cui anima, accesa di lei sarebbe divenuta luce.

Non v’è da meravigliarsi se, in quel momento che quasi era in estasi, la signora Maddalena credè già il parentado bell’e fatto; né, se passato il primo silenzio, parlò alla fanciulla quasi come a figlia chiedendole dove fosse suo padre. Bianca, tremando per la gioia, la fece entrar in una sala, dove, andando e tornando alcuni passi, chiedendo confusa e rispondendo colle vampe nel viso, seppe il dolce nome e corse come potè a chiamare il proprio padre.

Chi pensasse che la sala del Signor Fedele, sebbene tra le più belle del borgo, fosse arredata con fasto, s’ingannerebbe di molto. I tempi chiedevano poco, e il padrone d’arredi non si curava molto. Poche sedie, coperte di cordovano nero che vi stava appiccato con borchie di ottone; un divano scuro, uno specchio, che a guardarvi dentro si pareva butterati, due quadri antichi, uno dei quali rappresentava il sogno di Giacobbe, l’altro la Samaritana al pozzo: ecco tutto quello che là dentro si poteva vedere in un’occhiata. A un’altra persona quella sala sarebbe parsa d’un usuraio; ma Bianca aveva lasciato negli occhi della signora Maddalena tanto bagliore, che questa non avrebbe veduta più splendida la dimora di un re. Rimasta con lo sguardo fisso là donde Bianca era sparita, quasi continuasse a vederla, pensava a quella bellezza, mai più immaginata; alla gioia di vivere con essa nella pace della sua casa di Dego, e benediceva Giuliano d’averla voluta per sua.

La tolse da quella sorta di rapimento la voce grossa del signor Fedele, che veniva di stanza in stanza. Poi compari egli stesso frettoloso e grave, con una mano tesa ad un’accoglienza rispettosa, con l’altra acconciandosi tra l’orecchio e la tempia una grossa penna di pollo d’India. Portava calzette nere, brache di stoffa tralucente e nere anch’esse; le grandi fibbie d’argento delle sue scarpe lustravano; le catenelle dei due orologi che aveva nel panciotto di sera cangiante, gli battevano sonore sulle cosce; e quella penna l’aveva presa passando dallo scrittoio, così per parer occupato.

- Chi! - esclamò egli, appena vide la visitatrice - la signora Maddalena! Ma che miracolo, che buon vento, che fortuna è la mia? Segga, si metta a sedere, la prego! - E, voltando dieci inchini, prima che la signora avesse potuto dire una parola, già l’aveva ridotta a sedere sul divano, e le si metteva di faccia sulla prima scranna che gli capitò d’agguantare.

- Dunque ella sta bene, proseguiva, ed anche suo figlio? n’ho piacere!

So della disgrazia del marito... eravamo amici, fratelli! sono dolori, ma che vuole! uno alla volta s’ha da partir tutti! E laggiù il signor pievano, che è sempre grasso, rosso...? Questa quaresima hanno avuto un predicatore di qui, mio grande amico e grande oratore... com’è piaciuto?

- Piacque, rispose la signora, cui quel tempestare del signor Fedele metteva addosso la confusione.

- Eh...! Bisognerà bene che qualche giorno venga a Dego a mangiargli un pranzo al pievano, se non mi scomunica! - continuava egli - ma che vuole? Non si ha mai un’ora libera... benedetti clienti, benedette liti...!

- Chi sa? - diceva essa. - Forse io potrei darle occasione divenire a Dego più sovente.

- Oh! - esclamò il signor Fedele; e, componendosi colle mani sul ginocchio, e col viso sporto, stette aspettando, come a udire i cenni di una cliente che poteva pagare assai bene.

- A dire il vero - continuò la signora - vengo per una cosa in cui avrei dovuto farle parlare da qualche amico... Ma lei mi perdonerà... mi scuserà...

- Scusarla! - saltò su a dire il legale - che mi fa celia? io sono qui tutto orecchi, non ha che a comandarmi, sono cosa sua io, la mia professione, la mia casa, la mia famiglia...

- Ebbene - disse la signora pigliando animo - vengo a chiedere la sua Bianca pel mio figliuolo...

- Bianca? - bisbigliò egli sommesso, levandosi e correndo a chiudere per bene l’uscio - più che volentieri... ma... - E ritornato a sedere appoggiò il dosso alla spalliera della seggiola, distese le gambe, sprofondò la sinistra nella saccoccia del panciotto, poi colla destra si tirò sul petto la coda, come soleva in tutte le occasioni che gli davano da pensare.

- Dunque? - interrogò timida e rimescolata la signora.

- Dunque... io le dico una cosa; se suo figlio vuole ammogliarsi, diamogli tra un paio d’anni l’altra mia figliuola, la Margheritina...

- O perché non Bianca?

- Bianca... non lo direi a mia madre se tornasse dall’altro mondo... ma a lei... mi sarà segreta... Bianca l’ho promessa...

- Promessa! - sclamò la signora colla voce spenta di chi cadendo da una grande altezza, volesse mandare un grido: - Promessa? e non si potrebbe...?

- Oh! quando io prometto gli è come avesse parlato il re!

- Pazienza! essa disse, e si levò per partire. Le gambe quasi non la reggevano, e non sapeva più rispondere a lui che le parlava di stare a desinare, di riposarsi, di far conto di essere in casa sua. A quell’uscio dove Bianca l’aveva accolta, la signora prese commiato; e il signor Fedele, tornando al suo studiolo, passò vicino alla fanciulla, che sola, atterrita, sedeva cogli occhi fissi sul pavimento, in una stanza attigua alla sala. Essa aveva inteso ogni cosa. Soffermandosi a guardarla allegro e malizioso - Eh! - le disse quanti ve ne sono dei padri affollati dai partiti che l’uno incontra l’altro su per le scale? - E piantò la poveretta, che a queste parole capì a chi suo padre l’avesse promessa. Le parve che la sua mente si spegnesse; ondeggiò, si slanciò forse per raggiungere la signora Maddalena... poi non potendo altro, corse sull’altana, a smaniare colla testa in grembo alla zia, la quale chiedeva invano che vi fosse e non si sapeva raccapezzare.

Sgomenta forse quanto Bianca, la madre di Giuliano camminava, s’andasse a riuscire dove si fosse, pur d’allontanarsi da quella casa e dal borgo. Ma, a un tratto, diede di volta, rifece la via, fu alla casetta di don Marco, ed entrò chiamando il prete.

Don Marco stava solo nella sua cameretta, leggendo l’Emilio di Gian Giacomo, avuto di quei giorni da un amico in gran segreto. E quella lettura gli aveva destato una febbre e non gli dava pace né giorno, né notte. Uditosi chiamare si fece incontro con quel libro in mano a chi veniva, e non appena ebbe visto la signora:

- Ecco! Ecco! - sclamò - Un libro per Giuliano. Appunto leggendo pensava a lui

- Meglio - rispondeva essa - meglio non aver figliuoli, o essere al mondo a vederli infelici.

Queste parole e l’atto con cui cadde di sfascio su d’una scranna fecero tremare il prete, come se d’un tratto gli fossero aggiunti dieci anni, né trovava il fiato per domandarle che le fosse accaduto. Ma in quella s’udì un passo precipitoso, e Bianca, accesa in viso e bella d’angoscia, si mostrò sulla soglia.

Avendo vista dall’altana la signora entrare dal prete, per certa scaletta che metteva a terreno, era discesa, aveva attraversato il vicolo e capitava là dentro a crescere lo stupore di don Marco, gettandosi nelle braccia della signora. La quale, a prima giunta, credendola inseguita, la strinse al seno guardando l’uscio se qualcuno venisse; poi, reggendole la fronte: - o Bianca - esclamò- siamo infelici tutti!

- Ma io - proruppe la fanciulla - quell’Alemanno non lo sposerò !

- Chi...? quello forse che incontrai per la vostra scala...? disse la madre di Giuliano, chiarita in un sol punto di tante cose e anche di quell’odio giurato agli Alemanni dal figlio. E la fanciulla con voce solenne:

- Sì... ma morirò! nessuno potrà costringermi... nemmeno mio padre !

- Bianca - entrò a dire don Marco che, rinvenuto dallo sbalordimento, molto aveva capito da quelle poche parole; - non parlare sdegnata del padre tuo!

La fanciulla tacque e chinò gli occhi dinanzi al prete. Egli continuò amorevole:

- A che ti vorrà costringere tuo padre? Perché lo accusi? Va, piangi, sfogati e prega; stattene raccolta nella tua camera più che puoi... la solitudine addolcisce l’animo e insegna molte virtù. Abbraccia la signora Maddalena... e essa mi dirà ogni cosa... t’aiuteremo.

Così dicendo, sciolse la giovinetta dalle braccia della signora, la prese per mano, la condusse verso l’uscio con gran dolcezza, e: - non ti scaccio, no - le disse - ma va, vedrai...

Da quella soglia, la poveretta, con uno sguardo lungo, insaziabile, si fissò sulla madre di Giuliano; poi si fece forza e partì, con fusa e meravigliata d’aver tanto osato.

- Povera Bianca! - esclamò don Marco - dunque se ho capito

- Si - interruppe la signora, son venuta a chiederla sposa pel mio figliuolo e la trovo promessa. !

- Ed io che m ‘era accorto di quest’amore sin da quando Giuliano veniva a scuola da me! La colpa è mia; avrei dovuto mettermi in mezzo, e, prima ch’egli andasse a Torino, chiedergli cosa avesse intenzione di fare...! Forse non avremmo adesso un Alemanno tra i piedi…

- Ma come farò a quetar Giuliano?

- Bisogna fare che di questo soldato non si sappia nulla; pensiamo che questi stranieri sono strapotenti; che qui non si vede altro che loro, e un cenno, un’occhiata, un sospiro bastano a farci incatenare e condurre come malfattori sin chissà dove..!

A queste parole la signora Maddalena, quasi dimenticandosi di quel primo dolore, s’empì di paura, per la nuova sorta di pericoli a cui Giuliano si poteva esporre.

- E allora- disse- io non veggo altro rimedio che farlo ripartir per Torino! venga, venga con me, m’aiuterà a persuaderlo; gli diremo che prima di tutto il padre di Bianca vuole che egli sia medico, e che del matrimonio se ne parlerà poi...; per l’amore di Dio, venga perché io sento che mi pende sul capo una grande sciagura !

- Non per ricusarmi, no; - rispose don Marco - ma se io venissi a Dego, gli potrebbe nascere qualche sospetto. Egli è figlio rispettoso, lo potrà indurre la parola della madre, più che cento d’amici... Parta prima che gli venga in mente di tornare qui... Gli prometta tutto quello che può persuaderlo: meglio un inganno pietoso che un guaio inevitabile. Poi vi è di buono che questa fanciulla pare deliberata a soffrire ogni cosa piuttosto che sposarsi ad un altro... Io farò di saper meglio questa faccenda dell’Alemanno... e, alla fine delle fini, vuole che le ne dica una...? I Francesi sono a due passi da qui; la guerra alle volte rimedia a tante brutte cose! chi sa? calando di qua dai monti i Francesi troncheranno questa e molte altre storie!

Parve alla signora Maddalena che don Marco parlasse d’oro, e da quei discorsi pigliava consiglio e forza e, sino a un certo segno, consolazione.

Bianca intanto, tornava sull’altana, questa volta non conobbe più freno, si gettò ai piedi di damigella Maria; e questa volta le si aperse. Le si confidò d’un Alemanno che la guardava da parecchio tempo; che sempre a passeggio e nell’andare a messa se lo vedeva innanzi; e disse che la persona cui suo padre aveva parlato quel mattino in tanto segreto, era appunto colui e che di certo gliela aveva promessa. - Ma io non lo voglio - continuava, e narrò del l’amor suo per Giuliano; chiese perdono di non le aver mai detto nulla; parlò della signora Maddalena venuta a domandarla per il suo figliuolo, e ridisse che voleva bene a lui, e che sarebbe morta piuttosto che sposare un altro. La cieca piangeva con quei suoi occhi spenti lagrime di tenerezza e di paura; nella sua mente vide chiaro che i tempi delle lotte domestiche erano giunti; ma nel suo cuore sentì da madre e si mise dalla parte di Bianca.

Tutte queste cose accadevano in meno di due ore dalla venuta della signora Maddalena in Cairo; e l’orologio della chiesa provinciale batteva le diciassette, quando essa usciva dalla casa di don Marco, accompagnata da lui per tornare a Dego.

I due, camminando per una viuzza fuor di mano, giunsero al ponte, e, passando vicino alla cappelletta dove un par d’ore prima ruzzavano i monelli, videro gente a folla. Vi giaceva un soldato Alemanno, morto calpestato dai cavalli nel campo. I commilitoni l’avevano portato sugli schioppi sin là, dove, poveretto, era spirato. La donna infelice e don Marco si allontanarono essa pensando alla madre lontana di quel morto, la quale in quell’ora non aveva alcun sospetto di tanta sventura. La prese una profonda malinconia all’idea della fossa, in cui i soldati avrebbero sepolto quel misero; le si diffuse in faccia un’aria di rassegnazione più durevole e pietosa, e, volgendosi al prete, gli disse:

- Don Marco, vi sono al mondo madri più sventurate di me!

- Eh! signora - rispose il prete - la terra se la dividono in due, la sventura e la ingiustizia... e in tanti secoli che Gesù è morto, le sue promesse non sono ancora adempiute...

La signora lo guardò meravigliata, ma tocca da quelle parole; e tirarono innanzi senza dir altro, sin dove Anselmo col calesse aspettava, scerpando manate d’erba che dava a mangiare al cavallo. Essi s’accomiatarono ridicendo cogli occhi tutto quello che s’erano detto a voce; poi essa si mise dentro il legno, mentre Anselmo si chinò per baciare la mano al prete, che non volle lasciarlo fare. Come il cavallo partì don Marco diede di volta pensoso, e passo passo, lasciandosi menar dalle gambe, se ne tornò a casa.

Egli era, povero vecchio, il decano dei preti di Cairo; portava alla meglio i suoi settant’anni, e viveva da solo. Da lunga pezza aveva visto addensarsi la bufera che in quei giorni rumoreggiava terribile dalla Francia; e alcuni, che erano stati da lui a scuola, ora che udivano i fatti, rammentavano certe sue parole di molti anni prima come profezie avverate. Scoppiata la rivoluzione, egli ne aveva avuto un senso diverso da quello fatto agli altri del clero, perché la capiva nelle sue cause; perché egli aveva un cuore cost grande che, nato re, si sarebbe fatto mendico; perché pensava che il passato fosse stato un troppo lungo oltraggio alla dottrina di Gesù, ed ancora non gli pareva finito. Perciò il grido di quella rivoluzione gli era giunto come una voce nota; e gli aveva fatto chinare la fronte quasi somigliasse in qualche guisa ai tuoni del Sinai. A Parigi sarebbe stato coi Girondini sino alla morte, ma amava Danton, in cui, per quel poco che n’udiva così da lungi, ravvisava qualcosa di San Paolo. In Vandea avrebbe dato il cuore a Bonchamps realista, la mano a Marceau repubblicano; nel suo borgo oscuro, era un povero prete, poco capito, che viveva insegnando la buona latinità. Dal quale ufficio, e da un poderetto che aveva sui colli vicini, e formava il suo patrimonio ecclesiastico, gli veniva quel po’ di bene di cui godeva facendo a metà coi poveri che, di quei tempi, battevano numerosi alle porte. Molto aveva speso in libri e molto li aveva studiati; e così vissuto in certa maniera coi morti, s’era mescolato poco a quel volgo di ricchi sfaccendati e di preti ignoranti, de’ quali la borgata era ingombra. Questi, sebbene mostrassero d’onorarlo, lo scansavano volentieri; ed egli, esperto di sé e del mondo, non se ne aveva a male. Del sacerdozio pensava un po’ alla sua maniera.

Si narrava che un giovane, volendo farsi prete, ed essendo andato da lui per prendere consiglio, egli gli avesse detto: - Tirate innanzi un altro tantino colla vita, magari fino ai quaranta, e, se a quell’età vi tocchi qualche dolore, se Dio vi chiami colla voce severa della sventura, datevi a consolare le afflizioni altrui, parlando del cielo e pregando con tutti. Sarete buon sacerdote v’accerto io: ma a vent’anni farsi prete come altri si fa medico, soldato, o che so io... no... non istà.

- Ma, e lei? - si dice che interrogasse l’altro stupito. E don Marco si strinse nelle spalle.

Man mano che invecchiava si faceva più raccolto ed operoso, come chi si apparecchia il viatico per mettersi in cammino. La sua casa s’andava spogliando ed era ormai quasi vuota. Dormiva su d’un pagliericcio perché aveva dato il proprio letto a due poveri sposi; s’ammanniva da sé il cibo, mangiando da tenersi ritto; e nei detti, negli atti, in tutto, mostrava d’attendere la morte come l’ora dell’adempimento di un gran dovere.